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Insegnamenti di Benedetto XVI, grande Padre della Chiesa, ai suoi Figli

Ultimo Aggiornamento: 18/08/2014 19:32
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Sesso: Femminile
20/08/2013 14:49

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"Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo".
(Benedetto XVI Messaggio per la Quaresima 2012)


I consigli e la correzione fraterna

Inoltre, quando ci si deve persuadere di qualcosa, si accetta più facilmente il parere di un amico e lo si ricorda meglio, perché la forza di persuasione di un amico è davvero grande. Non abbiamo nessun dubbio, infatti, sulla sua lealtà, e non c’è alcun sospetto di adulazione. L’amico dunque deve consigliare all’amico ciò che è onesto, con fermezza, con chiarezza e libertà. Gli amici, poi, non vanno solo ammoniti, ma se è il caso devono anche essere rimproverati.

A qualcuno, infatti, la verità dà fastidio, e può anche darsi che il dirla susciti risentimento, come sta scritto: “L’adulazione genera amici, la verità genera l’odio; l’adulazione tuttavia è molto più dannosa perché, essendo indulgente con gli errori, permette che l’amico precipiti nella rovina”. Un amico è gravemente colpevole, e quindi soprattutto in questo va rimproverato, se disprezza la verità e si lascia indurre da adulazioni e attrattive a commettere cose gravi. Non è che sia proibito accontentare con dolcezza gli amici, e spesso anche di lodarli, ma in tutto va rispettata la moderazione, cosicché l’ammonizione deve essere priva di asprezza, e il rimprovero non deve diventare un insulto. Nell’accondiscendenza e nei complimenti deve sempre esserci un’affabilità dolce e onesta. Invece si devono eliminare con decisione le moine, che sono fonte di vizi e indegne non solo di un amico, ma anche di un uomo libero.

Se poi uno ha proprio le orecchie chiuse alla verità, da non poterla ascoltare neppure da un amico, allora si deve temere per il bene della sua anima. Per cui, come dice sant’Ambrogio, “se scopri qualche difetto nell’amico, correggilo in privato; se non ti ascolta, correggilo in pubblico. Le correzioni, infatti, sono buone, e spesso sono meglio di un’amicizia troppo silenziosa. Anche se l’amico si sente offeso, tu correggilo lo stesso. Anche se l’amarezza della correzione gli ferisce l’animo, tu correggilo lo stesso. È meglio sopportare le ferite inflitte dagli amici, che i baci degli adulatori. Correggi, dunque, l’amico che va fuori strada”.
Nel correggere si devono evitare soprattutto l’ira e il risentimento acido, perché non sembri che, più che correggere un amico, uno voglia dar sfogo ad un eccesso d’ira. Ho visto infatti alcuni che nel correggere gli amici facevano passare per zelo e per sincerità la loro amarezza e il ribollire dell’esasperazione. Questo modo di correggere, che segue l’istinto e non la ragione, non ha mai fatto bene a nessuno, anzi, ha fatto spesso molti danni. Fra gli amici non c’è nessuna giustificazione possibile per questo vizio. L’amico deve infatti entrare in simpatia con il proprio amico, essere condiscendente, sentire come suo il difetto dell’altro, correggere in modo discreto, facendo propri i sentimenti dell’altro. Lo deve correggere con la tristezza del volto, con parole che sanno di afflizione, anche con il pianto che interrompe le parole. L’altro non deve solo vedere, ma anche sentire che la correzione sgorga dall’amore, e non dal rancore. Se l’amico rifiuta una prima correzione, accoglierà almeno la seconda. Tu intanto prega, piangi, mostra un volto rattristato, ma conserva un affetto pieno di carità.

Devi anche scrutare come è fatto il suo animo. Ci sono infatti quelli che si piegano più volentieri alle amorevolezze, altri che non ci fanno alcun caso, e si correggono più facilmente con la disciplina o con le parole. L’amico dunque si deve adattare all’amico, regolandosi secondo il suo carattere. E visto che deve stargli vicino nelle avversità che lo colpiscono da fuori, deve affrettarsi ancor più ad andargli incontro nelle difficoltà che affliggono il suo intimo. “Se dunque è proprio dell’amicizia ammonire ed essere ammoniti, fare una cosa con libertà ma senza asprezza, sopportare l’altro con pazienza, ma senza risentimento, dobbiamo star certi che nelle amicizie non c’è una peste più grande dell’adulazione e del servilismo. Queste cose sono tipiche di persone superficiali e bugiarde, che dicono sempre quello che vuole l’altro, ma mai la verità”.
Non deve esserci dunque nessuna esitazione tra gli amici, nessuna simulazione, cosa che più di qualsiasi altra ripugna all’amicizia. L’amico ha diritto alla “verità, senza la quale lo stesso nome di amicizia non ha alcun valore”. Dice il santo re Davide: “Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l’olio dell’empio non profumi il mio capo” (Sal 141,5). Chi fa il furbo e agisce con finzione provoca l’ira di Dio. Per cui il Signore dice per mezzo del Profeta: “Il mio popolo! Un fanciullo lo tiranneggia e le donne lo dominano. Popolo mio, le tue guide ti traviano, distruggono la strada che tu percorri” (Is 3,12).

Perché, come dice Salomone, il simulatore con le sue parole inganna l’amico. Si deve dunque praticare l’amicizia in modo che, se talvolta, per motivi precisi, si può ammettere la dissimulazione, non deve mai esserci posto per la simulazione.
 
- Ma dimmi, come è possibile che la dissimulazione sia necessaria, visto che è sempre, almeno mi sembra, un vizio?

- Ti sbagli, carissimo. Si dice infatti che Dio dissimula i peccati di chi sbaglia, non volendo la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

- Allora fammi capire che differenza c’è tra la simulazione e la dissimulazione.

La dissimulazione come forma di rispetto

  La simulazione, direi, è un consenso ingannevole, contrario al giudizio della ragione. Terenzio ha espresso con molta eleganza il concetto nel personaggio di Gnatone: “Qualcuno dice di no. Dico di no. Dice di si? Dico di si. Alla fine mi sono imposto di dar ragione a tutti”. Può darsi che questo pagano abbia attinto dal nostro tesoro, esprimendo con le sue parole quanto pensa un nostro profeta. Infatti è chiaro che il profeta intende la stessa cosa quando fa dire al popolo perverso: “Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni” (Is 30,10). E altrove: “I profeti predicono in nome della menzogna e i sacerdoti governano al loro cenno; eppure il mio popolo è contento di questo” (Ger 5,31).
Questo vizio è sempre detestabile, sempre e ovunque da evitare. La dissimulazione invece è una forma di sospensione, per cui la pena o la correzione vengono rimandate, senza per questo approvare interiormente l’errore, ma tenendo conto del luogo, del momento, della persona. Se infatti il tuo amico commette uno sbaglio in pubblico, non lo devi rimproverare subito e davanti a tutti; ma, considerato il luogo, devi dissimulare, anzi, per quanto è possibile, salva restando la verità, devi scusare quello che ha fatto, e aspettare di trovarti in un luogo privato e familiare per fargli il rimprovero che merita.
Così, quando una persona è occupata in molte cose, e si trova meno disposta ad ascoltare, oppure per un qualche motivo è emotivamente turbata e piuttosto agitata, è necessario dissimulare, fino a quando, finita l’agitazione, sia capace di accettare il rimprovero con più serenità.
Quando il re Davide, spinto dalla sensualità, aggiunse all’adulterio un omicidio, il profeta Natan, rispettoso della dignità del re, non andò subito né con l’agitazione nel cuore a rinfacciare a una persona così importante il crimine commesso, ma dissimulando tutto per un tempo conveniente, riuscì con la prudenza a strappare allo stesso re la sentenza che lo condannava (cfr. 2Sam 12,1 13).






[Modificato da Caterina63 20/08/2013 16:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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