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Insegnamenti di Benedetto XVI, grande Padre della Chiesa, ai suoi Figli

Ultimo Aggiornamento: 18/08/2014 19:32
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05/08/2013 19:38

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Visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore in occasione della Festa della Madonna della Fiducia (20 febbraio 2009)
[Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

è per me sempre una grande gioia essere nel mio Seminario, vedere i futuri sacerdoti della mia diocesi, essere con voi nel segno della Madonna della Fiducia. Con Lei che ci aiuta e ci accompagna, ci dà realmente la certezza di essere sempre aiutati dalla grazia divina, andiamo avanti!

Vogliamo vedere adesso che cosa ci dice San Paolo con questo testo: “Siete stati chiamati alla libertà”. La libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell’umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell’epoca moderna. Sappiamo che Lutero si è ispirato a questo testo della Lettera ai Galati e la conclusione è stata che la Regola monastica, la gerarchia, il magistero gli apparvero come un giogo di schiavitù da cui bisognava liberarsi. Successivamente, il periodo dell’Illuminismo è stato totalmente guidato, penetrato da questo desiderio della libertà, che si riteneva di aver finalmente raggiunto. Ma anche il marxismo si è presentato come strada verso la libertà.

Ci chiediamo stasera: che cosa è la libertà? Come possiamo essere liberi?

San Paolo ci aiuta a capire questa realtà complicata che è la libertà inserendo questo concetto in un contesto di visioni antropologiche e teologiche fondamentali. Dice: “Questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri”. Il Rettore ci ha già detto che “carne” non è il corpo, ma “carne” – nel linguaggio di San Paolo – è espressione della assolutizzazione dell’io, dell’io che vuole essere tutto e prendere per sé tutto. L’io assoluto, che non dipende da niente e da nessuno, sembra possedere realmente, in definitiva, la libertà. Sono libero se non dipendo da nessuno, se posso fare tutto quello che voglio. Ma proprio questa assolutizzazione dell’io è “carne”, cioè è degradazione dell’uomo, non è conquista della libertà: il libertinismo non è libertà, è piuttosto il fallimento della libertà.

E Paolo osa proporre un paradosso forte: “Mediante la carità, siate al servizio” (in greco: douléuete); cioè la libertà si realizza paradossalmente nel servire; diventiamo liberi, se diventiamo servi gli uni degli altri. E così Paolo mette tutto il problema della libertà nella luce della verità dell’uomo. Ridursi alla carne, apparentemente elevandosi al rango di divinità – “Solo io sono l’uomo” – introduce nella menzogna. Perché in realtà non è così: l’uomo non è un assoluto, quasi che l’io possa isolarsi e comportarsi solo secondo la propria volontà. E’ contro la verità del nostro essere. La nostra verità è che, innanzitutto, siamo creature, creature di Dio e viviamo nella relazione con il Creatore. Siamo esseri relazionali. E solo accettando questa nostra relazionalità entriamo nella verità, altrimenti cadiamo nella menzogna e in essa, alla fine, ci distruggiamo.

Siamo creature, quindi dipendenti dal Creatore. Nel periodo dell’Illuminismo, soprattutto all’ateismo questo appariva come una dipendenza dalla quale occorreva liberarsi. In realtà, però, dipendenza fatale sarebbe soltanto se questo Dio Creatore fosse un tiranno, non un Essere buono, soltanto se fosse come sono i tiranni umani. Se, invece, questo Creatore ci ama e la nostra dipendenza è essere nello spazio del suo amore, in tal caso proprio la dipendenza è libertà. In questo modo infatti siamo nella carità del Creatore, siamo uniti a Lui, a tutta la sua realtà, a tutto il suo potere. Quindi questo è il primo punto: essere creatura vuol dire essere amati dal Creatore, essere in questa relazione di amore che Egli ci dona, con la quale ci previene. Da ciò deriva innanzitutto la nostra verità, che è, nello stesso tempo, chiamata alla carità.

E perciò vedere Dio, orientarsi a Dio, conoscere Dio, conoscere la volontà di Dio, inserirsi nella volontà, cioè nell’amore di Dio è entrare sempre più nello spazio della verità. E questo cammino della conoscenza di Dio, della relazione di amore con Dio è l’avventura straordinaria della nostra vita cristiana: perché conosciamo in Cristo il volto di Dio, il volto di Dio che ci ama fino alla Croce, fino al dono di se stesso.

Ma la relazionalità creaturale implica anche un secondo tipo di relazione: siamo in relazione con Dio, ma insieme, come famiglia umana, siamo anche in relazione l’uno con l’altro. In altre parole, libertà umana è, da una parte, essere nella gioia e nello spazio ampio dell’amore di Dio, ma implica anche essere una cosa sola con l’altro e per l’altro. Non c’è libertà contro l’altro. Se io mi assolutizzo, divento nemico dell’altro, non possiamo più convivere e tutta la vita diventa crudeltà, diventa fallimento. Solo una libertà condivisa è una libertà umana; nell’essere insieme possiamo entrare nella sinfonia della libertà.

E quindi questo è un altro punto di grande importanza: solo accettando l’altro, accettando anche l’apparente limitazione che deriva alla mia libertà dal rispetto per quella dell’altro, solo inserendomi nella rete di dipendenze che ci rende, finalmente, un’unica famiglia, io sono in cammino verso la liberazione comune.

Qui appare un elemento molto importante: qual è la misura della condivisione della libertà? Vediamo che l’uomo ha bisogno di ordine, di diritto, perché possa così realizzarsi la sua libertà che è una libertà vissuta in comune. E come possiamo trovare questo ordine giusto, nel quale nessuno sia oppresso, ma ognuno possa dare il suo contributo per formare questa sorta di concerto delle libertà? Se non c’è una verità comune dell’uomo quale appare nella visione di Dio, rimane solo il positivismo e si ha l’impressione di qualcosa di imposto in maniera anche violenta. Da ciò questa ribellione contro l’ordine ed il diritto come se si trattasse di una schiavitù.

Ma se possiamo trovare l’ordine del Creatore nella nostra natura, l’ordine della verità che dà ad ognuno il suo posto, ordine e diritto possono essere proprio strumenti di libertà contro la schiavitù dell’egoismo. Servire l’uno all’altro diventa strumento della libertà e qui potremmo inserire tutta una filosofia della politica secondo la Dottrina sociale della Chiesa, la quale ci aiuta a trovare questo ordine comune che dà a ciascuno il suo posto nella vita comune dell’umanità. La prima realtà da rispettare, quindi, è la verità: libertà contro la verità non è libertà. Servire l’uno all’altro crea il comune spazio della libertà.


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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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20/08/2013 14:49

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"Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale. E qui desidero richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo".
(Benedetto XVI Messaggio per la Quaresima 2012)


I consigli e la correzione fraterna

Inoltre, quando ci si deve persuadere di qualcosa, si accetta più facilmente il parere di un amico e lo si ricorda meglio, perché la forza di persuasione di un amico è davvero grande. Non abbiamo nessun dubbio, infatti, sulla sua lealtà, e non c’è alcun sospetto di adulazione. L’amico dunque deve consigliare all’amico ciò che è onesto, con fermezza, con chiarezza e libertà. Gli amici, poi, non vanno solo ammoniti, ma se è il caso devono anche essere rimproverati.

A qualcuno, infatti, la verità dà fastidio, e può anche darsi che il dirla susciti risentimento, come sta scritto: “L’adulazione genera amici, la verità genera l’odio; l’adulazione tuttavia è molto più dannosa perché, essendo indulgente con gli errori, permette che l’amico precipiti nella rovina”. Un amico è gravemente colpevole, e quindi soprattutto in questo va rimproverato, se disprezza la verità e si lascia indurre da adulazioni e attrattive a commettere cose gravi. Non è che sia proibito accontentare con dolcezza gli amici, e spesso anche di lodarli, ma in tutto va rispettata la moderazione, cosicché l’ammonizione deve essere priva di asprezza, e il rimprovero non deve diventare un insulto. Nell’accondiscendenza e nei complimenti deve sempre esserci un’affabilità dolce e onesta. Invece si devono eliminare con decisione le moine, che sono fonte di vizi e indegne non solo di un amico, ma anche di un uomo libero.

Se poi uno ha proprio le orecchie chiuse alla verità, da non poterla ascoltare neppure da un amico, allora si deve temere per il bene della sua anima. Per cui, come dice sant’Ambrogio, “se scopri qualche difetto nell’amico, correggilo in privato; se non ti ascolta, correggilo in pubblico. Le correzioni, infatti, sono buone, e spesso sono meglio di un’amicizia troppo silenziosa. Anche se l’amico si sente offeso, tu correggilo lo stesso. Anche se l’amarezza della correzione gli ferisce l’animo, tu correggilo lo stesso. È meglio sopportare le ferite inflitte dagli amici, che i baci degli adulatori. Correggi, dunque, l’amico che va fuori strada”.
Nel correggere si devono evitare soprattutto l’ira e il risentimento acido, perché non sembri che, più che correggere un amico, uno voglia dar sfogo ad un eccesso d’ira. Ho visto infatti alcuni che nel correggere gli amici facevano passare per zelo e per sincerità la loro amarezza e il ribollire dell’esasperazione. Questo modo di correggere, che segue l’istinto e non la ragione, non ha mai fatto bene a nessuno, anzi, ha fatto spesso molti danni. Fra gli amici non c’è nessuna giustificazione possibile per questo vizio. L’amico deve infatti entrare in simpatia con il proprio amico, essere condiscendente, sentire come suo il difetto dell’altro, correggere in modo discreto, facendo propri i sentimenti dell’altro. Lo deve correggere con la tristezza del volto, con parole che sanno di afflizione, anche con il pianto che interrompe le parole. L’altro non deve solo vedere, ma anche sentire che la correzione sgorga dall’amore, e non dal rancore. Se l’amico rifiuta una prima correzione, accoglierà almeno la seconda. Tu intanto prega, piangi, mostra un volto rattristato, ma conserva un affetto pieno di carità.

Devi anche scrutare come è fatto il suo animo. Ci sono infatti quelli che si piegano più volentieri alle amorevolezze, altri che non ci fanno alcun caso, e si correggono più facilmente con la disciplina o con le parole. L’amico dunque si deve adattare all’amico, regolandosi secondo il suo carattere. E visto che deve stargli vicino nelle avversità che lo colpiscono da fuori, deve affrettarsi ancor più ad andargli incontro nelle difficoltà che affliggono il suo intimo. “Se dunque è proprio dell’amicizia ammonire ed essere ammoniti, fare una cosa con libertà ma senza asprezza, sopportare l’altro con pazienza, ma senza risentimento, dobbiamo star certi che nelle amicizie non c’è una peste più grande dell’adulazione e del servilismo. Queste cose sono tipiche di persone superficiali e bugiarde, che dicono sempre quello che vuole l’altro, ma mai la verità”.
Non deve esserci dunque nessuna esitazione tra gli amici, nessuna simulazione, cosa che più di qualsiasi altra ripugna all’amicizia. L’amico ha diritto alla “verità, senza la quale lo stesso nome di amicizia non ha alcun valore”. Dice il santo re Davide: “Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri, ma l’olio dell’empio non profumi il mio capo” (Sal 141,5). Chi fa il furbo e agisce con finzione provoca l’ira di Dio. Per cui il Signore dice per mezzo del Profeta: “Il mio popolo! Un fanciullo lo tiranneggia e le donne lo dominano. Popolo mio, le tue guide ti traviano, distruggono la strada che tu percorri” (Is 3,12).

Perché, come dice Salomone, il simulatore con le sue parole inganna l’amico. Si deve dunque praticare l’amicizia in modo che, se talvolta, per motivi precisi, si può ammettere la dissimulazione, non deve mai esserci posto per la simulazione.
 
- Ma dimmi, come è possibile che la dissimulazione sia necessaria, visto che è sempre, almeno mi sembra, un vizio?

- Ti sbagli, carissimo. Si dice infatti che Dio dissimula i peccati di chi sbaglia, non volendo la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

- Allora fammi capire che differenza c’è tra la simulazione e la dissimulazione.

La dissimulazione come forma di rispetto

  La simulazione, direi, è un consenso ingannevole, contrario al giudizio della ragione. Terenzio ha espresso con molta eleganza il concetto nel personaggio di Gnatone: “Qualcuno dice di no. Dico di no. Dice di si? Dico di si. Alla fine mi sono imposto di dar ragione a tutti”. Può darsi che questo pagano abbia attinto dal nostro tesoro, esprimendo con le sue parole quanto pensa un nostro profeta. Infatti è chiaro che il profeta intende la stessa cosa quando fa dire al popolo perverso: “Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni” (Is 30,10). E altrove: “I profeti predicono in nome della menzogna e i sacerdoti governano al loro cenno; eppure il mio popolo è contento di questo” (Ger 5,31).
Questo vizio è sempre detestabile, sempre e ovunque da evitare. La dissimulazione invece è una forma di sospensione, per cui la pena o la correzione vengono rimandate, senza per questo approvare interiormente l’errore, ma tenendo conto del luogo, del momento, della persona. Se infatti il tuo amico commette uno sbaglio in pubblico, non lo devi rimproverare subito e davanti a tutti; ma, considerato il luogo, devi dissimulare, anzi, per quanto è possibile, salva restando la verità, devi scusare quello che ha fatto, e aspettare di trovarti in un luogo privato e familiare per fargli il rimprovero che merita.
Così, quando una persona è occupata in molte cose, e si trova meno disposta ad ascoltare, oppure per un qualche motivo è emotivamente turbata e piuttosto agitata, è necessario dissimulare, fino a quando, finita l’agitazione, sia capace di accettare il rimprovero con più serenità.
Quando il re Davide, spinto dalla sensualità, aggiunse all’adulterio un omicidio, il profeta Natan, rispettoso della dignità del re, non andò subito né con l’agitazione nel cuore a rinfacciare a una persona così importante il crimine commesso, ma dissimulando tutto per un tempo conveniente, riuscì con la prudenza a strappare allo stesso re la sentenza che lo condannava (cfr. 2Sam 12,1 13).






[Modificato da Caterina63 20/08/2013 16:33]
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26/10/2013 15:06

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Premio Ratzinger. Il Papa: Benedetto XVI ha fatto teologia "in ginocchio", i suoi libri risvegliano la fede


I libri su Gesù scritti da Benedetto XVI hanno permesso di scoprire o di rafforzare la fede in molte persone e hanno aperto una nuova stagione di studi sui Vangeli. È la considerazione centrale espressa stamattina 26 ottobre 2013 da Papa Francesco, che ha insignito due teologi – un britannico e un tedesco – del “Premio Ratzinger”, giunto alla terza edizione e promosso dalla Fondazione vaticana "Joseph Ratzinger-Benedetto XVI".
Il servizio di Alessandro De Carolis:Radio Vaticana


Hanno fatto del bene a tanti, questo è indubbio, che fossero studiosi o gente semplice, vicini o lontani da Cristo. Questo è il risultato prodotto dai tre libri su Gesù di Nazaret, scritti da Benedetto XVI tra il 2007 e il 2012, e in generale il bene operato dalla sua sapienza teologica, frutto di preghiera prima che di impegno intellettuale. Papa Francesco lo ha riconosciuto e celebrato pubblicamente nel giorno e nel contesto più appropriati, al cospetto dei due teologi – il britannico Richard Burridge e il tedesco Christian Schaller – che hanno ricevuto dalle mani di Papa Francesco il Premio intitolato al Papa emerito. Ma la consegna del cosiddetto “Nobel della teologia – come viene considerato il Premio Ratzinger dalla sua istituzione, nel 2010 – ha fornito a Papa Francesco soprattutto l’occasione per una riflessione personale sul valore della trilogia scritta da Benedetto XVI-Joseph Ratzinger. Ricordando lo stupore di alcuni di fronte a testi che non erano propri del magistero ordinario, Papa Francesco ha osservato:

"Certamente Papa Benedetto si era posto questo problema, ma anche in quel caso, come sempre, lui ha seguito la voce del Signore nella sua coscienza illuminata. Con quei libri lui non ha fatto magistero in senso proprio, e non ha fatto uno studio accademico. Lui ha fatto dono alla Chiesa e a tutti gli uomini di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù, frutto di anni e anni di studio, di confronto teologico e di preghiera – perché Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio, e tutti lo sappiamo – e questa l’ha messa a disposizione nella forma più accessibile”.

“Nessuno può misurare quanto bene ha fatto con questo dono; solo il Signore lo sa”. E tuttavia, ha soggiunto Papa Francesco:

“Tutti noi ne abbiamo una certa percezione, per aver sentito tante persone che grazie ai libri su Gesù di Nazaret hanno nutrito la loro fede, l’hanno approfondita, o addirittura si sono accostati per la prima volta a Cristo in modo adulto, coniugando le esigenze della ragione con la ricerca del volto di Dio”.

E non solo il cuore alla ricerca o alla riscoperta di Gesù è stato toccato dalle parole del Papa emerito. Anche la mente di tanti studiosi – ha riconosciuto Papa Francesco – ha ricevuto nuova linfa:

“L’opera di Benedetto XVI ha stimolato una nuova stagione di studi sui Vangeli tra storia e cristologia, e in questo ambito si pone anche il vostro Simposio, di cui mi congratulo con gli organizzatori e i relatori”.

Con i vincitori del Premio Ratzinger 2013, Papa Francesco si è congratulato anche a nome di Benedetto XVI – con il quale ha detto di essersi incontrato "quattro giorni fa" – e li ha salutati con questo augurio: “Il Signore benedica sempre voi e il vostro lavoro al servizio del suo Regno”.


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10/12/2013 15:21


Il vescovo di Carpi vara un progetto di finanza sociale a favore dell'imprenditoria giovanile



Si chiama “Fides et Labor Benedetto XVI” il progetto di finanza sociale della diocesi di Carpi per sostenere le idee imprenditoriali di giovani che non possono accedere al finanziamento delle banche. Il fondo pari a 300mila euro nasce sulla spinta della donazione effettuata nel 2012 dal Papa emerito in visita nelle zone terremotate e dalla raccolta di offerte di privati. Una volta restituito, il denaro verrà rimesso in circolo per aiutare altre persone in difficoltà. Il progetto è stato presentato ieri mattina dal vescovo di Carpi, mons. Francesco Cavina. Ascoltiamolo al microfono di Paolo Ondarza:RealAudioMP3 

R. – L’idea mi è nata subito, dopo qualche mese che sono arrivato in diocesi, perché la nostra zona è molto ricca di industrie, di attività commerciali, e anche qui naturalmente la crisi si sta facendo sentire. Poi, c’è stato l’evento drammatico del terremoto e la cosa è passata in secondo piano. Quando è venuto il Santo Padre, Benedetto XVI, per la visita pastorale del 26 giugno del 2012, mi ha fatto avere una cifra di 100 mila euro, messa a disposizione del vescovo per quello che riteneva opportuno. Ho interpretato questa donazione come un segno della Provvidenza per riprendere quel progetto che avevo in mente appena arrivato in diocesi. Ho pensato di costituire un Comitato etico che favorisse l’occupazione giovanile. Questa idea ha trovato ancora più conferme, quando ho incontrato i giovani nelle visite in diocesi: ho toccato con mano il desiderio e la creatività di questi giovani, le belle idee anche da un punto di vista imprenditoriale, che non potevano realizzare perché non riuscivano ad ottenere i finanziamenti dalle banche, non assicurando un minimo di garanzia. 

D. – Questa iniziativa, nata come diceva dalla donazione di Papa Benedetto XVI, restituisce speranza ai giovani, che oggi non riescono a metter su un’impresa...

R. – Esattamente. Viene dato un finanziamento per un progetto che questi ragazzi presenteranno, senza interessi. Potremmo quasi dire che sono soldi dati a fondo perduto, che se potranno restituire, li restituiranno, altrimenti sarà stato un tentativo, che ha comunque un suo valore. E’ un’iniziativa totalmente nuova, della quale non esiste esempio in Italia. 

D. – Quali sono le categorie imprenditoriali oggi più a rischio nella diocesi di Carpi?

R. – Era molto sviluppata l’industria tessile. Carpi era una - e lo è ancora in parte – delle capitali della moda. Poi, la parte meccanica, l’industria meccanica è quella più in crisi.

D. – Faceva riferimento al terremoto. Qual è oggi la situazione?

R. – Io sono abbastanza soddisfatto, nel senso che la ricostruzione procede in termini piuttosto veloci. Abbiamo già riaperto una chiesa e ne riapriremo diverse altre entro la fine dell’anno. Il prossimo anno si riaprirà la cattedrale. Anche da un punto di vista industriale, devo dire che, le aziende che hanno subito danno, hanno ripreso tutte la loro attività. Insomma, dobbiamo ringraziare il Signore, le autorità, la nostra gente, perché è gente molto laboriosa, molto intraprendente, non si è fatta prendere dallo sconforto. Siamo, quindi, contenti. Certo, si può sempre fare di più, si può sempre fare di meglio. Questo Comitato etico che è stato costituito e questa iniziativa hanno lo scopo di favorire i giovani nel mondo del lavoro, perché è questo il dramma che la nostra società sta vivendo: la disoccupazione giovanile.


Per valutare e accompagnare nella realizzazione i singoli progetti ai quali verrà erogato un prestito massimo di 10mila euro è stato costituito un Consiglio Etico, presieduto da Giuseppe Torluccio, docente di Tecnica bancaria all’Università di Bologna. Paolo Ondarza lo ha intervistato:RealAudioMP3 

R. - È una forma di finanza sociale che cerca di raggiungere soprattutto i giovani che hanno iniziative che vorrebbero sviluppare. Viene richiesto che venga rimborsata la parte del finanziamento, ma non sono previsti oneri per interessi e per costi aggiuntivi.

D. - Qualora i singoli progetti non andassero in porto, non incontrassero successo, cosa accadrebbe…

R. - Non si esaurisce tutto nell’erogazione del finanziamento. Come tutti sanno, nelle varie forme di finanza sociale la parte del finanziamento è indispensabile ma è solo il primo passo; seguono poi attività di accompagnamento dove le singole iniziative vengono strutturate con quelle che sono un po’ le logiche di sviluppo di una piccola attività e di sviluppo dell’impresa. Come in tutte le operazioni non si dà per scontato che tutto venga rimborsato, però siamo abbastanza ottimisti sul fatto che persone di buona volontà si impegnino e riescano anche a rimborsare la quota ricevuta.

D. - Oltre alla buona volontà, che è sicuramente un buon presupposto, quali devono essere i requisiti per accedere al fondo?

R. - I requisiti riguardano la possibilità di mettere in piedi un’iniziativa imprenditoriale, uno studio professionale quindi di piccola dimensione, dove due o tre persone sono in grado di strutturare un’idea che abbia anche una sua sostenibilità economica. Il comitato etico valuterà quindi sia gli aspetti di finanza sociale, ma anche gli aspetti di economicità dell’iniziativa, per capire quali sono quelle che possono con maggiore facilità riuscire a portare a frutto il finanziamento ricevuto.

D. - Un progetto come questo dimostra che è possibile anche in altre parti d’Italia adottare analoghe iniziative a sostegno dell’imprenditoria giovanile?

R. - Certamente, è possibile realizzarlo anche in altre parti d’Italia. Si tratta di riuscire a costituire un fondo di una certa dimensione, poi poter aiutare queste iniziative anche in quelle che sono le fasi successive al finanziamento in senso stretto. Speriamo di mettere in piedi i primi finanziamenti già prima della fine del 2013.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/12/09/il_vescovo_di_carpi_vara_un_progetto_di_finanza_sociale_a_favore/it1-754151 
del sito Radio Vaticana 





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14/07/2014 10:13




   
 





"Dio non solo ci ama con una profondità e intensità che difficilmente possiamo immaginare: egli ci invita a rispondere a questo amore. 
Tutti voi sapete cosa accade quando incontrate qualcuno di interessante e attraente, come desideriate essere amici di quella persona. 
Sperate sempre che quella persona vi trovi a sua volta interessanti ed attraenti e voglia fare amicizia con voi. Dio desidera la vostra amicizia. E, una volta che voi siete entrati in amicizia con Dio, ogni cosa nella vostra vita inizia a cambiare. 
Mentre giungete a conoscerlo meglio, vi rendete conto di voler riflettere nella vostra stessa vita qualcosa della sua infinita bontà. 
Siete attratti dalla pratica della virtù. Incominciate a vedere l’avidità e l’egoismo, e tutti gli altri peccati, per quello che realmente sono, tendenze distruttive e pericolose che causano profonda sofferenza e grande danno, e volete evitare di cadere voi stessi in quella trappola. Incominciate a provare compassione per quanti sono in difficoltà e desiderate fare qualcosa per aiutarli. 
Desiderate venire in aiuto al povero e all’affamato, confortare il sofferente, essere buoni e generosi. Quando queste cose iniziano a starvi a cuore, siete già pienamente incamminati sulla via della santità." 
- Benedetto XVI, Indirizzo agli Alunni, 17 settembre 2010.  

   

 

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