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Ratzinger e il dramma della libera docenza e gli anni di Frisinga

Ultimo Aggiornamento: 23/08/2015 11:07
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22/08/2015 23:01



Di che cosa si trattava?

Fin dal suo sorgere e per ragioni legate alla sua evoluzione interna, il movimento francescano si era mostrato molto sensibile alla profezia storica dell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Questo pio e colto monaco credeva di poter desumere dalla Sacra Scrittura che la storia si sarebbe sviluppata in tre diverse fasi: 1. dal severo regno del Padre (Antico Testamento),

2. attraverso il regno del Figlio (la Chiesa esistita fino a quel tempo),

3. fino al terzo regno, quello dello Spirito, in cui finalmente si sarebbero compiute le promesse dei profeti e ci sarebbe stato il pieno dominio della libertà e dell'amore.

Aveva anche creduto di trovare nella Bibbia delle basi di calcolo per la venuta della Chiesa dello Spirito. Detti calcoli sembravano indicare in Francesco d'Assisi il principio e nella comunità da lui fondata i portatori della nuova epoca.

Fin dalla metà dèi secolo XIII si svilupparono delle interpretazioni radicali di questa idea, che alla fine portarono gli "Spirituali" fuori dall'ordine e a un conflitto aperto con il Papato.

In una delle sue opere tardive, in due volumi, Henri de Lubac ha studiato la posterità spirituale di Gioacchino, che arriva fino a Hegel e ai sistemi totalitari del nostro secolo. Fino a quel momento, però, si era sempre sostenuto che Bonaventura non avesse mai citato Gioacchino; l'edizione critica delle sue opere non contiene il nome di Gioacchino. Ma questa tesi, considerata con attenzione, non poteva non risultare discutibile, dal momento che Bonaventura, come generale del suo Ordine, dovette inevitabilmente affrontare la polemica sulla relazione tra Francesco e Gioacchino; infine, Bonaventura era arrivato a far chiudere in regime di carcere conventuale il suo predecessore, Giovanni da Parma, incline alle idee gioachimite, per prevenire gli estremismi che avrebbero potuto cercare degli appoggi pretestuosi nella sua persona.

Nel mio lavoro dimostravo, per la prima volta, che Bonaventura nella sua interpretazione dell'opera dei sei giorni (il racconto della creazione) si era minuziosamente confrontato con Gioacchino e, come uomo di centro, aveva cercato di accogliere quanto poteva essere utile, ma integrandolo nell'ordinamento della Chiesa.

Come si può capire, inizialmente queste conclusioni non furono accolte entusiasticamente da tutti, ma nel frattempo hanno finito per imporsi. Schmaus, come detto, non aveva mosso nessuna critica a tutta questa sezione della mia opera.

Ebbi così un'idea per salvare il mio lavoro.

Quel che avevo scritto sulla teologia della storia di Bonaventura era strettamente legato all'insieme del libro, ma possedeva comunque una sua autonomia; lo si poteva senza grossi problemi separare dal resto dell'opera e strutturarlo come un tutto a sé stante. Con le sue duecento pagine un libro di questo genere era più breve della media delle tesi di abilitazione alla libera docenza, ma era, comunque, sufficientemente esteso per dimostrare la capacità di condurre autonomamente un'indagine teologica, e questo era, in definitiva, il vero scopo di quel genere di lavori. Nonostante le dure critiche al mio lavoro, questa parte era rimasta senza osservazioni negative, di conseguenza ora non era più possibile, a posteriori, dichiararla scientificamente inaccettabile.

Gottlieb Sóhngen, a cui presentai il mio piano, fu subito d'accordo. Purtroppo, la mia agenda per le ferie estive era già piena di impegni; riuscii comunque a liberarmi per due settimane, durante le quali apportai i necessari interventi di rielaborazione. Riuscii così, con grande meraviglia del consiglio di facoltà, a ripresentare già ad ottobre la mia tesi, sia pure in forma ridotta. Seguirono altre settimane di attesa impaziente.

 

Finalmente il giorno 11 febbraio 1957seppi che la mia tesi di abilitazione era stata accettata; la lezione pubblica di abilitazione avrebbe avuto luogo il 21 febbraio. In base ai regolamenti allora in vigore a Monaco per l'esame di abilitazione alla libera docenza, questa lezione e la discussione che a essa  faceva seguito erano ancora considerate come delle condizioni necessarie per ottenere la libera docenza; ciò significava che era ancora possibile - e questa volta in pubblico - mancare l'obiettivo, cosa che, di fatto, dalla fine della guerra era già successa due volte.

Mi apprestai quindi a quella giornata non senza preoccupazioni, dal momento che, tenuto conto dei miei numerosi impegni di insegnamento a Frisinga, mi restava davvero poco tempo per prepararmi. La grande aula, che era stata scelta per quell'occasione, era stracolma; nell'aria si sentiva una strana tensione quasi fisica. Dopo la mia lezione la parola spettava al relatore e al correlatore. Ben presto la discussione con me si trasformò in un'appassionata disputa tra loro due. Essi si rivolgevano al pubblico presente, come se stessero tenendo una lezione. Io me ne stavo in disparte, senza essere interpellato. La riunione consiliare in cui doveva essere presa la decisione durò a lungo; alla fine, il decano raggiunse il corridoio dove io stavo aspettando con mio fratello e alcuni amici, e mi comunicò in maniera del tutto informale che avevo superato l'esame ed ero abilitato.

Sul momento non riuscii quasi a provare gioia, tanto si faceva ancora sentire l'incubo di quel che avevo passato. Ma a poco a poco si sciolse l'ansia che si era accumulata in me; ora, finalmente, potevo continuare in pace il mio lavoro a Frisinga e non dovevo più temere di aver trascinato i miei genitori in una triste avventura.

Poco tempo dopo fui nominato libero docente all'università di Monaco e il 1° gennaio 1958 seguì la mia nomina a professore di teologia fondamentale e dogmatica presso il seminario filosofico-teologico di Fri- singa - non senza un previo fuoco di disturbo da parte interessata.

Come si può facilmente capire, le relazioni con il professor Schmaus in un primo tempo restarono tese, ma poi, negli anni Settanta, migliorarono progressivamente, fino a divenire amichevoli.

In ogni caso, anche in seguito non ritenni mai scientificamente giustificati i suoi giudizi e le sue decisioni di allora, ma ho riconosciuto che la prova di quel difficile anno fu per me umanamente salutare e seguì una logica più elevata di quella puramente scientifica.

In un primo momento la distanza da Schmaus fu all'origine di un avvicinamento a Karl Rahner; soprattutto, però, mi restò il proposito di non consentire tanto facilmente alla ricusazione di tesi di laurea o di abilitazioni alla libera docenza,ma di prendere le parti del più debole, quando ve ne fossero state le ragioniun atteggiamento che, come dirò più avanti, ebbe delle conseguenze nella mia carriera accademica.

 

Presto venne il tempo di nuove decisioni e anche di nuove pene.

Già nell'estate del 1956, nel pieno delle traversie della mia abilitazione, mi era pervenuta una richiesta del decano della facoltà di teologia cattolica di Magonza, che intendeva saggiare, ancora senza impegno, se fossi interessato ad accettare la cattedra di teologia fondamentale presso di loro.

Risposi subito di no, anzitutto perché non potevo fare una cosa simile ai miei genitori, in secondo luogo perché non volevo ritirarmi dalla lotta per la mia abilitazione, come un disertore che in futuro si sarebbe potuto bollare come fallito.

Nell'estate del 1958, invece, fui invitato alla cattedra di teologia fondamentale a Boon - la cattedra che il mio maestro, Sohngen, aveva sempre desiderato, ma che nelle circostanze di quegli anni gli era rimasta preclusa. Giungere a quella cattedra era per me quasi un sogno.

Rispetto al 1956 la situazione era cambiata per ambedue i motivi che allora avevano escluso una mia partenza da Frisinga.

Ancora una volta era avvenuto qualcosa che io potevo considerare solo come disposizione della Provvidenza.

Nel 1957 mio fratello aveva concluso i suoi studi presso la scuola superiore di musica di Monaco, che aveva portato avanti insieme con i suoi impegni pastorali. Gli venne quindi assegnato il posto di direttore del coro della parrocchia di St. Oswald, nella nostra Traunstein; fu inoltre incaricato dell'educazione musicale nel seminario minore di Traunstein e di altri compiti pastorali. Come responsabile delle Messe del mattino, ottenne in beneficio la bella casetta parrocchiale, dove in precedenza aveva abitato il predicatore della chiesa parrocchiale.

La casa si trovava proprio al centro della città, era bella e tranquilla, e offriva non meno spazio della nostra vecchia casa di Hufschlag. Quel che fino ad allora era apparso impossibile, spostare ancora una volta i nostri genitori, era ora ragionevole, dato che si trattava di un ritorno nell'indimenticata e sempre cara Traunstein.

Ne parlai dapprima con mio fratello, che si trovò pienamente d'accordo con il mio trasferimento a Bonn e si rallegrò di poter avere presso di sé i nostri genitori; poi confidammo la cosa a mio padre, per il quale la decisione non fu semplice, ma che insistette perché io   accettassi la possibilità che mi veniva offerta. Purtroppo, informammo troppo tardi nostra madre, che non volevamo inquietare prima del tempo, così che ella venne a sapere da altri quello che si stava preparando, e soffrì a lungo per la mancanza di fiducia che le sembrava di percepire nei suoi confronti. Si chiudeva così un'altra stagione della nostra vita. Ancora una volta avevo potuto vivere con i miei buoni genitori, trovando nella loro benevola compagnia quella confidente sicurezza di cui avevo tanto bisogno proprio nelle circostanze tanto travagliate in cui ero venuto a trovarmi.

Il Domberg di Frisinga, l'altura sulla quale sorge la cattedrale e su cui ora, purtroppo, non c'è più alcun seminario, è rimasto in me come qualcosa di profondamente mio, a cui si legano i ricordi di un inizio grande, anche se gravato da tanti rischi, insieme con le immagini della convivenza quotidiana e delle ore gioiose, che là abbiamo potuto vivere.

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(*)  Dal libro La mia vita Autobiografia  Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - nuova edizione riveduta ed ampliata 2013 - Ed. sanpaolo pagg.92-103

si proceda alla lettura delle pagine seguenti in questo link: Concilio Ratzinger contro K. Rahner

Per altri Testi di Ratzinger, cliccare l'indice da qui

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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