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AVVENTO E NATALE CON BENEDETTO XVI

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2014 17:00
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11/12/2014 11:49

  Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI terza parte

 

per la prima parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI prima parte

per la seconda parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI seconda parte

(ricordiamo anche di cliccare sulle immagini per ingrandirle)

 

12 dicembre

Giovanni il Battista e Maria sono le due grandi figure tipiche dell’esistenza umana così come essa si modella in riferimento all'Avvento: perciò essi dominano la liturgia di questo periodo.

Ecco per primo Giovanni il Battista.

Esigente e attivo, egli sta dinanzi a noi come simbolo dell’uomo che sa di avere un compito.

Chiama severamente alla metànoia, al cambiamento della mentalità.

Chi vuol diventare cristiano deve continuamente « cambiare opinione ».

La nostra inclinazione naturale ci porta a voler affermare noi stessi, a rendere pan per focaccia, a porci sempre in mezzo. Chi vuol trovare Dio, deve continuamente convertirsi interiormente, andare controcorrente.

E questo vale per l’intero modo di concepire la vita. Ogni giorno ci imbattiamo nel mondo del visibile: esso ci invade, dai manifesti, dalla radio, nel traffico, in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di pensare che non ci sia altro che questo.

Ma, in realtà, l’invisibile è più grande e vale più di tutto il visibile. Una sola anima — ci dice una meravigliosa espressione di Pascal — vale più di tutto l’universo visibile.

Ma, per sperimentare nella vita questa verità, è necessario convertirsi, capovolgersi per così dire interiormente, superare l’illusione del visibile e farsi sensibili, attenti e delicati nei confronti dell’invisibile; considerarlo più importante di tutto ciò che ci assale così prepotentemente tutti i giorni.

Metanoieite: cambiate modo di pensare, affinché la presenza di Dio nel mondo resti visibile al vostro sguardo; cambiate modo di pensare, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di voi, nel mondo.

Neppure a Giovanni fu risparmiato questo pesante processo del cambiare modo di pensare, del dovere della conversione. Questo è anche il destino del sacerdote, di ogni cristiano che annuncia Cristo: anche noi lo conosciamo e non lo conosciamo!

(Dogma e predicazione, p. 305)

 

13     dicembre

Se finora non si è deciso di rendere pubblico il contenuto del terzo segreto di Fatima, non è perché i papi vogliano nascondere qualcosa di terribile.

Ma da Fatima è stato lanciato un segnale severo, che va contro la faciloneria imperante, un richiamo alla serietà della vita e della storia, ai pericoli che incombono sull'umanità.

È quanto Gesù stesso ricorda assai spesso, non temendo di dire: « Se non vi convertite, tutti perirete» (Le 13,3).

La conversione, e Fatima lo ricorda in pieno, è un'esigenza perenne della vita cristiana. Dovremmo già saperlo da tutta quanta la Scrittura. Il Santo Padre giudica che quel segreto non aggiungerebbe nulla a quanto un cristiano deve sapere dalla rivelazione e, anche, dalle apparizioni mariane approvate dalla Chiesa nei loro contenuti noti, che non fanno che riconfermare l’urgenza di penitenza, di conversione, di perdono, di giudizio.

Pubblicare il « terzo segreto » significherebbe anche esporsi al pericolo di utilizzazioni sensazionaliste del contenuto [...].

Nessuna apparizione è indispensabile alla fede, la rivelazione è terminata con Gesù Cristo, egli stesso è la Rivelazione. Ma non possiamo certo impedire a Dio di parlare a questo nostro tempo, attraverso persone semplici e anche per mezzo di segni straordinari che denuncino l’insufficienza delle culture che ci dominano, marchiate di razionalismo e di positivismo.

Le apparizioni che la Chiesa ha approvato ufficialmente — innanzitutto Lourdes e ancora Fatima — hanno un loro posto preciso nello sviluppo della vita della Chiesa nell'ultimo secolo. Mostrano tra l’altro che la rivelazione — pur essendo unica, conchiusa e dunque non superabile — non è cosa morta, è viva e vitale. (Rapporto sulla fede, pp. 110s)

 

14     dicembre

Tra i significati della parola «Avvento» vi è anche quello di visitatio, che significa di per sé semplicemente «visita», ma che da tempo in molte lingue — tra cui il tedesco e l’italiano — viene reso con vocaboli che propriamente significano «visitazione».

A questo proposito si è compiuta una curiosa oscillazione del nostro pensiero: la parola « visitazione » ha quasi del tutto perduto il contenuto gioioso delle espressioni « visita » e « visitare », e ora noi — non prestando più per niente attenzione al suo significato originario — la intendiamo per lo più nel senso di disgrazie e tribolazioni, che interpretiamo come punizioni di Dio.

A dire il vero, dovrebbe essere esattamente il contrario: la parola « visitazione » dovrebbe aiutarci a discernere che persino nei momenti difficili può nascondersi qualcosa della bellezza dell’Avvento.

Sofferenza e malattia possono essere — allo stesso modo che una grande gioia — qualcosa come un avvento del tutto personale: una visita che Dio fa alla mia vita, volendosi rivolgere proprio a me.

Anche se ci risulta difficile, tuttavia dovremmo per una volta cercare di comprendere i giorni della malattia in questo modo: il Signore ha interrotto per un po’ la mia attività, per riportarmi un momento alla calma e alla tranquillità.

Una visita del Signore: forse la malattia può rivelarci un altro suo volto, quando la consideriamo come un pezzo d’Avvento. Noi non ci ribelliamo a essa solo perché ci fa soffrire, perché lo star fermi e la solitudine ci sono pesanti: ci ribelliamo perché avremmo tante cose importanti da fare e perché essa ci sembra senza senso.

Ma la malattia non è affatto senza senso. Essa riveste una sua grande importanza nell’insieme della vita umana. Può essere il momento di Dio nella nostra vita: il tempo in cui ci apriamo a lui e così impariamo a ritrovare nuovamente noi stessi.(Licht, das uns leuchtet, pp. 13ss)

 

15     dicembre

L’amore si riferisce alla persona come essa è, anche con le sue debolezze. Ma un amore reale, al contrario del breve incanto di un momento, ha a che fare con la verità e si rivolge in tal modo alla verità di questa persona, che può essere anche non sviluppata o nascosta o deformata.

Certamente l’amore include una disponibilità inesauribile al perdono, ma il perdono presuppone il riconoscimento del peccato come peccato. Il perdono è guarigione, mentre l’approvazione del male sarebbe distruzione, sarebbe accettazione della malattia e proprio in tal modo non bontà per l’altro.

Ciò lo si vede subito se consideriamo l’esempio di un tossicodipendente, divenuto prigioniero del suo vizio.

Chi realmente ama non segue la distorta volontà di questo malato, il suo desiderio di autoavvelenamento, ma lavora per la sua vera felicità: farà di tutto per guarire l’amato dalla sua malattia, anche se costa dolore e anche contro la cieca volontà del malato.

Un altro esempio. In un sistema totalitario un tale ha salvato la sua pelle e forse anche la sua posizione, ma al prezzo del tradimento di un amico e del tradimento delle sue convinzioni, della sua anima. Il vero amore è pronto a comprendere, ma non ad approvare, dichiarando buono ciò che non si può approvare e non è buono.

Il perdono ha una sua strada interiore: perdono è guarigione, cioè esige il ritorno alla verità. Quando non lo fa, il perdono diventa un’approvazione dell’autodistruzione, si mette in contraddizione con la verità e in tal modo con l’amore. (Guardare Cristo, p. 75)

 

16     dicembre

Oggi è quasi un punto d’onore per chi voglia stimarsi buon predicatore o buon teologo sottoporre a critica più o meno pungente lo stile della nostra convenzionale celebrazione del Natale e, al placido e soddisfatto benessere dell’odierna festività, contrapporre a tinte forti la dura realtà del primo Natale.

La solennità del Natale, sentiamo dire, sarebbe stata deplorevolmente commercializzata, degenerando a rumoroso affare di compravendita e guastando la sua valenza religiosa [...].

Indubbiamente questa critica ha buone ragioni di esistere, sebbene non consideri forse abbastanza che, dietro la facciata del commercio e del sentimentalismo, non è andata totalmente perduta la nostalgia per ciò che di originario e di grande vi è nel Natale; anzi, la cornice sentimentale rappresenta spesso il rifugio nel quale si nasconde un sentimento grande e puro, trop-po timido per offrirsi allo sguardo altrui [...].

Dietro, però, a quel febbrile commercio che ci disgusta e che, in effetti, è così inadatto a ricordare il timido mistero di Betlemme — il mistero del Dio che si è fatto bisognoso per noi (cfr. 2Cor 8,9) — non vi è forse e pur sempre, come punto di partenza, il pensiero e l'intento del donare, e quindi quella profondissima esigenza dell’amore che costringe a comunicare, a uscire da se stessi e andare agli altri?

E con questa idea della donazione non ci troviamo forse già nel cuore del mistero del Natale?

La preghiera sulle offerte della Messa della vigilia di Natale chiede a Dio che noi riusciamo a ricevere con gioia i doni eterni, che ci giungono dalla celebrazione della nascita di Cristo.

Ciò àncora profondamente l’intenzione del donare nel nucleo della liturgia ecclesiale e richiama così alla nostra coscienza il gesto originario di quel dono che è il Natale: in questa Notte Santa Dio stesso ha voluto farsi dono per gli uomini, ha consegnato se stesso a noi.

Il vero dono natalizio all’umanità, alla storia, a ciascuno di noi è Gesù Cristo stesso. Persino chi non crede che egli sia il Dio incarnato dovrà ammettere che, di generazione in generazione, pure egli ha arricchito e realizzato uomini.(Dogma e predicazione, pp. 311ss)

 

17     dicembre

Nella Messa della vigilia di Natale, si eleva il canto del Salmo 24 (23), che celebra il Signore come re che viene: « Alzate, o porte, i vostri frontali, alzateli ancora, o porte antichissime, ed entri il re della gloria » (Sal. 24 [23];7; offertorio).

In origine quest'inno venne cantato quando l’arca santa fu portata nel tempio di Gerusalemme; forse apparteneva a una liturgia, nella quale le porte del tempio erano simbolicamente invitate ad aprirsi al re, a Dio.

Nella liturgia di Natale, l’evento di Betlemme viene visto come questo solenne ingresso del re, e il mondo stesso, tutto l’universo, che è il suo santuario, viene invitato a spalancare le sue porte, per lasciare entrare il suo Creatore. L’antifona d’ingresso e il canto al vangelo riprendono la potente promessa di Mosè, con la quale egli annunciava al popolo, che mormorava, il prodigio della manna nel deserto:

« Questa sera conoscerete che il Signore vi ha tratti fuori della terra d’Egitto e domattina vedrete la gloria del Signore» (Es 16,6s).

Analogamente, l’evento di Betlemme non è un commovente idillio familiare, ma una svolta storica che abbraccia cielo e terra: Dio non è più separato da noi dalla cortina di ferro della sua inviolabile trascendenza, egli ha oltrepassato il limite, per essere uno di noi.

D’ora innanzi, egli incontra me stesso nel mio prossimo e un’adorazione che dimenticasse il prossimo trascurerebbe anche Dio, che ha assunto volto umano. Pertanto, se ripensassimo fino in fondo questo concetto, ci accorgeremmo che, dietro la minimizzata felicità per Dio che si è fatto bambino, si trova una grande verità cristiana, che in effetti ci introduce nel vero e proprio nucleo centrale del mistero natalizio.

Si tratta del paradosso per cui la gloria di Dio non ha voluto manifestarsi nel trionfo di un sovrano, che assoggetta con potenza il mondo, ma nella povertà di un bambino che, ignorato dalla grande società, viene al mondo in una stalla. L’impotenza di un bambino è diventata l’espressione vera dell’onnipotenza di Dio, che non adopera altro potere se non quello della potenza silenziosa della verità e dell'amore. La bontà salvifica di Dio ha voluto venirci incontro nell’indifesa impotenza di un fanciullo.

E in effetti com'è consolante, in mezzo a tutto l’esibizionismo dei poteri del mondo, vedere questa calma serena di Dio e sperimentare così la sicurezza della sua potenza, che alla fine sarà superiore a tutte le altre potenze e che sopravviverà a tutti i chiassosi trionfi del mondo. Quale libertà deriva da un simile sapere e quale umanità vi è in esso! (Dogma e predicazione, pp. 313s)

 

18     dicembre

È purtroppo vero che per molti la religione si è dissolta in uno stato d’animo dietro al quale non vi è più alcuna realtà, perché è spenta la fede dalla quale era sgorgato un giorno quel sentimento.

Ma, per un certo aspetto, forse è molto più pericolosa ancora la condizione di coloro che si ritengono dei buoni credenti, ma che limitano la loro religione all’ambito del sentimento e non le permettono intromissione alcuna nel sistema della vita quotidiana, dove essi si comportano solo ed esclusivamente secondo il principio del loro utile personale.

È chiaro che una condotta del genere rappresenta soltanto una caricatura di ciò che la fede è in verità; l’inaudito realismo dell’amore divino, di cui parla il Natale — l’agire di Dio non si accontenta di parole, ma assume su di sé il bisogno e il peso della vita umana —         ci dovrebbe di anno in anno stimolare a interrogarci sul realismo della nostra fede e a cercare di andare oltre il puro sentimentalismo dell’emozione.

Una volta riconosciuto questo, dovrà essere facile anche liberarci da un’ingiusta diffamazione del sentimento..

Ancora nella Messa della vigilia di Natale troviamo un’espressione che ci deve far riflettere. Nella preghiera conclusiva, i fedeli chiedono a Dio che conceda loro di respirare per la celebrazione della nascita del Figlio suo. In rapporto a che cosa, e in che senso essi vogliano respirare e sentirsi sollevati non è specificato e così noi siamo liberi di prendere la parola come suona, sotto il profilo semplicemente e più completamente umano.

La festa ci deve far respirare. Certo, così come oggigiorno l’abbiamo colmala di cose da fare, essa piuttosto ci toglie il respiro e ci soffoca completamente con i suoi impegni prefissati. Ma, proprio in questo caso, ci viene detto che la festa ci è data per trovare un po’ di tranquillità e di gioia: dobbiamo accogliere come dono di Dio e senza timore il bel sentimento di festività offerto da questo giorno.

Forse, in quel respirare, ci toccherà persino di provare qualcosa del respiro dell’amore divino, della pace santa, della quale il Natale ci fa dono. Di conseguenza, a coloro che ritengono di non saper più credere, non dovremmo voler togliere quel sentimento che è rimasto forse come un'ultima risonanza della loro fede e che li fa partecipare a quel respirare della Notte Santa, per il quale arriva l’alito della pace divina. Dovremmo piuttosto esser grati che sia loro restato un ultimo frammento del dono divino del Natale, e dovremmo cercare di celebrare con tutti loro un Natale benedetto. (Dogma e predicazione, pp. 314s) 

 

19  dicembre

«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Le 3,6; Is 40,5).

Qui viene alla luce fin dal principio la sottolineatura particolare che Luca ha voluto porre: la luce di Gesù risplende per tutti i popoli; la sua salvezza è essenzialmente destinata all'universo intero e a tutti gli uomini, e perciò essa è sempre presente in ogni singolo individuo ma sempre con l'accento sul «per», cioè come destinata a essere comunicata ad altri.

Si possiede questo Dio solo se lo si possiede con gli altri; si parla con lui, soltanto quando lo si nomina Padre « nostro » e lo si fa nel noi di tutti i figli di Dio.

Gesù non appartiene solo a un popolo o a un'associazione, quanto piuttosto alla ecumene, cui si fa riferimento nell'accenno al mondo dell'impero romano. La fede è una strada aperta a tutti i popoli.

Per questo il tempo di Gesù, il tempo della Chiesa sono il tempo della missione. Noi siamo credenti al fianco di Gesù soltanto quando crediamo e viviamo in modo missionario: quando vogliamo che ogni uomo veda la salvezza di Dio.

Così questa parola di promessa e di gioia è anche una domanda rivolta a noi, che rende visibili il compito e il senso dell'Avvento. Solo quando tutti gli uomini lo vedranno, la venuta di Dio sarà compiuta; poiché potranno esserci « i nuovi cieli e la terra nuova» soltanto se ci saranno per tutti.

Quest'annuncio perciò vuole allargare ininterrottamente il cuore della cristianità, il nostro proprio cuore.

Recitiamo dunque bene l'invocazione che chiede la sua venuta — Adveniat regnum tuum — e che il Signore stesso ha posto sulle nostre labbra, quando da essa ci lasciamo aprire a tutti i figli di Dio: « ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». (Gottes Angesicht suchen, pp. 59s)

 

Sia lodato Gesù Cristo +  sempre sia lodato

 

Fonte:  Conferenze, Omelie, Discorsi del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) raccolta di testi "365 giorni con il Papa" - Ed.paoline 2006

Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

Benedetto XVI spiega il Concepimento del Verbo nei Vangeli

 

QUI per tornare all'indice dei Testi di Ratzinger Benedetto XVI

 

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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