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IL CRISTIANO E IL MONDO spiegato da Ratzinger in Dogma e Predicazione

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2014 15:07
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24/10/2014 15:07



Il critico sì, infine, che non esclude, ma anzi esige la dedizione totale, avrà per conseguenza un’azione del cristiano nel mondo del lavoro così profonda da farne un mezzo di maggiore libertà. Questo è anche lo scopo specifico di quel mondo, ma finché la libertà, ridotta a tempo libero, è soltanto un punto programmatico di contrasto tecnico, essa rimane vana ed, in fin dei conti, è una schiavitù mascherata. Una libertà diventa piena solo là dove diventa spazio dell’eterno; è ancora una speranza inappagata, ma costituisce appunto un compito di primo ordine per il cristiano il far diventare il disimpegno fisico e temporale dell’uomo, ottenuto per mezzo della tecnica, vera «liberazione» dell’uomo nel senso suddetto, cioè diventare liberi di nuovo per l’eterno.


2. Per quanto concerne il compito della Chiesa, la teologia moderna degli ultimi dieci anni ha percorso un cammino singolare. Esso iniziò con l’idea, sviluppata nel movimento giovanile, di «portare in casa» il mondo e i suoi valori. Ma i valori «portati in casa» si dimostrarono più forti della casa, nella quale li si aveva introdotti e si passò, di conseguenza, dall’idea di mondo portato in casa a quella di mondo secolare: il cristianesimo vorrebbe la mondanità del mondo, non la sua cristianità; cristianizzare significherebbe secolarizzare, dissacrare, togliere i tabù, liberare il mondo in ciò che gli è peculiare. Solo l’ultimo passo comporta la completa inversione del movimento iniziale: non è più il mondo che viene introdotto nella chiesa, ma adesso, viceversa, la chiesa stessa deve venir coinvolta nel movimento di secolarizzazione; suo incarico sarebbe quello di operare come critica della società, come critica istituzionalizzata di fronte alle istituzioni primarie. Questa critica, infine, riceve la sua peculiare dogmatica e la chiesa viene vista come una grande politica, come una componente del movimento di liberazione di questo mondo.


In questo schizzo dello sviluppo teologico di un decennio si nota tutta quanta la miseria della teologia, concentratasi nel nostro tema. Una fondata discussione con essa costituisce il compito più urgente del giorno d’oggi. Non è possibile però svolgerlo qui, in una riflessione sulla disputa conciliare su chiesa e mondo.


Al suo posto aggiungeremo soltanto, senza dimostrarla, una breve osservazione, che deve indicare la direzione generale in cui dovrebbe svilupparsi, a mio avviso, la discussione.


A partire dal vangelo non è difficile accertare che il compito della chiesa in quanto chiesa non può essere un radicarsi nelle cose terrene, e, in questo modo, cercare, quasi come regista, di costruire un qualcosa di simile ad un particolare mondo cattolico. Il mondo, al contrario, può essere solo una cosa unica per tutti gli uomini; il compito del cristiano (ed anche del cattolico) non può essere quello di crearsi un proprio mondo.


Suo impegno, piuttosto, è quello di compenetrare dello spirito di Gesù Cristo runico mondo di tutti gli uomini. Ciò che la chiesa deve dare al mondo non è un modello privato di mondo, il quale, in effetti, diventerebbe di nuovo e molto in fretta un reale e tipico mondo umano; lo hanno dimostrato a sufficienza nella storia tutti i tentativi di questo genere. Ciò che essa deve dare al mondo, invece, è ciò che essa soltanto può dare: la parola di Dio, del cui nutrimento l’uomo ha bisogno non meno che del pane di questa terra.


L’uomo è e rimane un essere, nel quale non soltanto lo stomaco, ma anche lo spirito e il cuore hanno fame; un essere che ha fame non soltanto di cibo, ma di idee, di amore, di infinità, e che non può vivere senza questi doni veramente umani, o meglio divini. Anche nel mondo tecnico, e particolarmente in esso, rimane questa fame dell’uomo. La Chiesa non ha il compito di tenerlo a bada con l’immaginaria edificazione di un mondo terreno migliore, che essa non è in grado di effettuare, ma deve rispondere alla sua fame e svelargli questa fame, se egli per caso dovesse dimenticarla.


Dalle istituzioni, dalla realtà radicata nella carne della terra essa dovrebbe scegliersi solo quel tanto che è veramente necessario per questo servizio della parole. La misura delle concrete istituzionalizzazioni e degli impegni terreni sta nelle necessità della parola di Dio, e da nessun altra parte.


Siamo così rimandati di nuovo, senza accorgercene, al punto di partenza, ai compiti, di fronte ai quali si trovò il concilio nel suo tentativo di elaborare un documento sulla chiesa nel mondo con-temporaneo. Quanto sia difficile questo compito lo hanno mostrato, forse con maggior chiarezza, i tentativi di risposta farfugliati sul finire di questo articolo più che lo sviluppo dei problemi, che li precede.


E ciononostante neppur qui si può dimenticare che non potrebbe costituire il compito della chiesa (rappresentata nel concilio) la creazione di un qualcosa di simile ad un modello intellettuale ed ufficiale del mondo,' la formazione scientifica di una sintesi di tutti i problemi vitali dell’uomo d’oggi, la quale dovrebbe senz’altro entusiasmare tutti. Dando imo sguardo all’indietro si dovrà rimproverare al concilio (dimenticando l’umiltà di concili precedenti) di aver cercato troppo in questa direzione e perciò di aver voluto troppo.
Molte affermazioni di un testo, in sé ben concepito ed anche realmente utile, andranno così in disuso più o meno in fretta. Determinante è il tentativo di svegliare le coscienze e di chiamarle alla responsabilità di fronte al Dio, che si è mostrato in Gesù Cristo come parola e come amore, il quale è divenuto sulla croce sia crisi che speranza del mondo.

Note
1) cardinale J. Ratzinger Dogma e Predicazione 1973 - 2005 terza edizione Queriniana - da pag. 154-173


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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