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IL CRISTIANO E IL MONDO spiegato da Ratzinger in Dogma e Predicazione

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2014 15:07
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Sesso: Femminile
24/10/2014 15:04



Mi sembra molto importante questa conoscenza, anche perché essa mette in luce come l’essere cristiano non si dia mai a prescindere dal mondo. Dal momento che si concretizza in uomini, il cui comportamento è «mondo», anch’esso appare concretamente sempre e soltanto in relazioni comprendenti il mondo. Questo intreccio tra essere cristiano e mondo porta facilmente a costatare che in un apparente contrasto tra fede e mondo, in realtà, non viene difeso contro il mondo che è cristiano, ma soltanto una determinata forma storica della relazione cristiana col mondo in raffronto ad una altra; ad esempio, l’apparente contrasto tra fede e mondo nasconde l’opposizione tra XIII e XX secolo, perciò la polarizzazione dell’esistenza cristiana raggiunta nel XIII secolo a torto viene parificata alla fede come tale. Nei conflitti tra fede e mondo, che si presentano in continuazione, sarà necessario di volta in volta, avere un occhio attento a pericoli del genere.


4. Nelle nostre precedenti riflessioni il concetto di mondo ha già acquistato, in misura crescente, un contenuto antropologico e quindi anche etico. Ora dovremo verificare se è possibile un ulteriore approfondimento del concetto di mondo, che permetta di dargli una formulazione ancora più rigorosa. È possibile restringere il concetto di mondo in modo da non vedervi inserite, come abbiamo fatto noi, le forme generali di comportamento dell’uomo nei confronti della esistenza terrena, ma esclusivamente quell’atteggiamento dell’uomo in base al quale egli si decide solo a favore dell’intra-mondano, contro il divino e l’eterno. È questo l’uso del concetto di mondo che di solito incontriamo nel vangelo di Giovanni e nella prima lettera di Giovanni. Il mondo, di cui qui si parla, potrebbe venir definito come l’intero complesso degli atteggiamenti dell’uomo contrari alla fede. Giovanni, quando pone l’accento su «questo mondo», pensa a questa realtà, che, a suo modo, forma un «mondo»; anche Paolo si riferisce ad essa quando parla del presente eone e anche di Satana come del dio di questo mondo (2Cor 4,4).


Benché il mondo così concepito sia proprio l’opposto di ciò che per sua essenza vuole e deve essere Chiesa, anche questo mondo, tuttavia, non costituisce un’area isolata, che esiste accanto alla chiesa, rigorosamente separata da essa. Al contrario, in quanto e per quel tanto che la volontà di indipendenza, l’inclinazione a staccarsi da Dio, a trascurarlo, a lasciarlo in disparte, è presente anche in noi, il mondo esiste in noi, in mezzo ai credenti e in mezzo alla chiesa (sempre cfr Gv.15, 1-26). E viceversa, in quanto esistono presso i non-cristiani la semplicità dell’ubbidiente, la pazienza del sopportarci l’un l’altro, la veracità, che non ricerca il proprio profitto, e la semplicità del vero amore, lì viceversa è presente non il mondo, l’essenza di dò che deve essere, in fin dei conti, la chiesa. Da questo esame risultano alcune conseguenze significative per la chiarificazione del nostro problema.


a) Se mondo viene inteso nel senso appena descritto, come l’insieme dei modi di agire contrari alla fede e, di conseguenza, come contraddizione per essenza della fede, allora è evidente che esso è un concetto negativo, che richiama l’attenzione sulla necessità della croce, sulla legge del chicco di frumento, che deve cadere nella terra e morire, per portare frutto.


b) Il mondo così inteso non è, però, qualcosa di chiuso, che si contrappone alla chiesa, che starebbe semplicemente fuori di essa e si dovrebbe quindi combattere; esso è piuttosto la forza autonoma, che si manifesta di continuo in noi stessi, che ci vuole allontanare da Dio e perciò pone ognuno di noi sotto la legge della croce. Indicando con il concetto di mondo questa tendenza contraria a Dio, si esprime proprio la sua universalità, in forza della quale essa non può venir contrapposta alla chiesa, ma deve venir valutata come una componente della peculiare condizione di ogni uomo, anche del cristiano.


c) Da questo concetto negativo di mondo non si può perciò dedurre semplicemente l’ethos cristiano nei confronti delle realtà terrene, perché il punto di partenza ed il contenuto del concetto portano in una direzione affatto diversa. Io credo che questo criterio sia di grande importanza ed elimini una serie di confusioni, che non di raro ingombrano la discussione del nostro problema. Si scambiano con facilità e senza accorgersi i significati elencati qui, al secondo ed al terzo posto, con quelli ricordati nell’ultimo punto e si arriva così a delle commistioni senza prospettive, che finiscono o in vanificazioni della profonda contestazione della fede ad opera del mondo, o anche in un improprio pessimismo, o in singolari commistioni dei due punti di vista.


2. Le caratteristiche del mondo contemporaneo


Quanto detto finora ha illustrato, in una certa misura, il concetto di «mondo», quale si presenta nella tradizione della fede biblica; rimane ora da svolgere la seconda — e più difficile — metà del nostro compito, il problema di individuare ciò che è caratteristico nel mondo di «oggi». È impossibile fare, su quest’argomento, delle affermazioni anche solo lontanamente esaustive. Quello che si può tentare è un esame della particolarità storica del periodo che parte dal XIX secolo in confronto con le precedenti tappe della storia. Senza alcuna pretesa di completezza, si possono ricordare due caratteristiche certezze, che danno l’impronta al rapporto col mondo dell’era moderna: l’esperienza dell’unità del mondo e della sua secolarità e l’esperienza della «producibilità del mondo». Cerchiamo ora di ripensare un po’ più da vicino il senso di queste due formule.


1. L’esperienza dell’unità del mondo. La scoperta dell’America, all’inizio dell’era moderna, portò in certo qual modo alla «demitizzazione» della terra e dell'oceano. La terra viene svelata come terra, come l'unico mondo dell'unico uomo. Un breve richiamo alla storia del pensiero può illustrare meglio quello che intendo dire. Nel XXVI canto dell’inferno Dante descrive il suo incontro con Ulisse (Odisseo), che gli racconta il suo ultimo destino; non troviamo nessun accenno ad esso nell’Odissea omerica. Dopo il suo ritorno il grande viaggiatore non sopportò a lungo la permanenza in casa, egli partì di nuovo per un viaggio molto più temerario. Attraversa lo Stretto di Gibilterra, oltrepassa il cippo del confine fissato per l’uomo, che lo stesso Ercole, il semidio, aveva rispettato, e prosegue sull’oceano che delimita il mondo. Alla fine del «folle viaggio» (come lo definisce Dante), Odisseo si sfracella con la sua nave contro la montagna del Purgatorio; egli non ha superato impunemente i confini che sono fissati per l’uomo. Il vero «Ulisse», cioè Colombo, che, un secolo e mezzo dopo Dante, navigò sull’oceano, non si sfracellò presso la montagna del Purgatorio, ma scoprì l’America.


In questa contrapposizione si cela ben di più di un piccolo scherzo della storia del pensiero. Essa esprime una scossa spirituale, che da non molto tempo è stata superata dall’interno. Il mondo che, un tempo, in prossimità dei suoi confini si trasformava naturalmente nel metafisico e nell’eterno, grazie alle scoperte dell’era moderna, viene svelato ovunque come puro mondo. In tutte le sue parti non è nient'altro che mondo. Alla demitizzazione della terra, iniziata da Colombo, segue, con lo sviluppo della scoperta di Copernico, la demitizzazione del cielo. Il misurabile progredire dell’astronomia dimostra inesorabilmente che anche il «cielo», che noi vediamo sulle nostre teste, non è «cielo», ma di nuovo soltanto «mondo». Neppur esso è un cosmo — come lo aveva descritto Dante, in accordo con la teologia del suo tempo — che, partendo da una struttura metafisica sempre più alta, giunga fino all’«empireo», all’abitazione di Dio; anche il cielo è un mondo della stessa specie di quello da noi abituato.


A partire dal secolo scorso, a questa demitizzazione locale dell’immagine del mondo se ne aggiunge, in misura crescente, anche una temporale. Il mondo viene visto in divenire, in esso non trovano più posto le distinzioni tra prima e dopo il peccato originale, tra prima e dopo la salvezza. L’esperto in scienze naturali afferma che la struttura del mondo e il comportamento degli esseri viventi non presentano nessuna differenza prima e dopo la comparsa dell’uomo.


Lo storico sostiene che la struttura della storia e il modo d’agire dell’uomo rimangono identici per tutta la durata della storia. Tutti e due negano le distinzioni che costituiscono il sistema di coordinate della concezione storica della teologia: il teologico è scomparso sia dalla «geografia» temporale, esattamente calcolabile, sia da quella locale. Anche qui il mondo è diventato un unico, identico «mondo».


Queste due conclusioni non sopprimono la fede, ma cambiano i presupposti di base, dai quali essa deve svilupparsi ed estendersi. In ambedue le occasioni la fede potrebbe fraintendere pericolosamente se stessa, se volesse negare le nuove scoperte reali; essa deve piuttosto assumerle come premesse delle sue affermazioni, se non vuole degradare se stessa al punto da diventare anacronismo. E qui le resta ancora molto da fare.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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