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IL CRISTIANO E IL MONDO spiegato da Ratzinger in Dogma e Predicazione

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2014 15:07
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24/10/2014 15:03



I. Cosa significa «mondo»?


Se noi vogliamo pervenire ad una risposta, che non ammetta fin dal principio ogni genere di nebulosità e si ponga acriticamente al servizio di «desideri» alla moda — invece di contribuire alla purificazione critica di tali desideri — sarà necessario cercare, in primo luogo, dei concetti chiari. La prima domanda dev’essere dunque: che significa in realtà il termine «mondo»? L’oscurità che si nasconde qui dietro è, senza dubbio, uno dei punti di origine principali dei molteplici malintesi, che incombono sulla nostra domanda. Un’osservazione più attenta indica che il concetto di «mondo» (in relazione col problema «Cristo e mondo») comprende dei livelli molto eterogenei. Tra quelli in cui esso si manifesta se ne possono evidenziare quattro.


1. In primo luogo, mondo può indicare semplicemente il cosmo esistente, la realtà non fatta dall’uomo, ma la realtà extraumana a lui già preesistente. Se si prende come base questo significato, il problema dell’atteggiamento cristiano verso il mondo è chiaramente risolto. Il cristiano infatti considera il cosmo che gli sta davanti come una buona creazione di Dio e, di conseguenza, come idea di trasformatasi in immagine, come pienezza di Dio rivolta all’esterno; in essa egli incontra il suo Creatore. Partendo dalla fede nella creazione questa realtà viene vista nello stesso tempo come compito; nel racconto biblico della creazione la formazione dell’uomo è collegata al comando di assoggettare la terra (Gn 1,28) il mondo creato è assegnato all’uomo non soltanto come oggetto di contemplazione, ma come campo della sua progettazione. Ciò che viene dalla coscienza e dal pensiero di Dio, deve ugualmente venir penetrato dalla coscienza e dal pensiero umano e venir così portato alla sua piena interpretazione spirituale.


Si potrebbe naturalmente fermarsi già qui ed indagare se la cristianità ha realmente portato avanti, nei riguardi del mondo, questo ethos a lei offerto dalla fede nella creazione dei due Testamenti, il quale aveva in sé qualcosa di veramente rivoluzionario rispetto all’ethos greco. Malgrado tutto il suo entusiasmo cosmico l’uomo greco non concepisce affatto il mondo come un tutto spirituale, ma come materia; anche se formato dalle idee, lo vede nella sua entità materiale, come non-spirito, estraneo per essenza allo spirito, proprio come l’antagonista dello spirito. Per questo motivo il pensiero greco non conosce un dio creatore, ma solo una divinità minore, il demiurgo, che dà le forme alla materia. Dio non si sporca personalmente le mani col mondo.
Ne deriva la valutazione negativa del lavoro, caratteristica degli antichi; come presso gli dei, così presso gli uomini il lavoro può essere compito soltanto degli strati inferiori. All’uomo libero invece, al pari della più alta divinità, conviene dedicarsi solo alla meditabonda contemplazione dell’eterna verità. Tutta la grandezza della rivoluzione cristiana, d’altra parte, si manifesta nel vangelo di Giovanni, quando Gesù, in difesa del suo «lavoro» nel giorno di sabato, si rifà al Padre, al Dio creatore, che «continua ad agire ed anch’io agisco» (Gv 5,17). Qui dietro sta una realtà che per gli antichi, in fin dei conti, fu uno scandalo incomprensibile, il fatto cioè che Cristo, riconosciuto dalla fede come Figlio di Dio, vivesse nel mondo come figlio di un operaio (tekton), sia, come operaio (Mc 6,3; cfr. Mt 13,55) e per questa ragione fu disdegnato dal suo stesso popolo.

Ora però dobbiamo proseguire chiedendoci quanto tempo passò prima che la cristianità capisse quale cambiamento di valori era qui avvenuto. Fu necessaria la spinta dall’esterno, la quale, in fin dei conti, trovò alimento nelle nuove realtà, che vennero dalla fede: la spinta derivante dal mondo scientifico ed operaio del XIX e XX secolo. In questo contesto, d’altronde, si dovrebbe ricordare anche che il rapporto scientifico col mondo, quale lo hanno sviluppato le scienze naturali, dovette conquistarsi il terreno in contrapposizione all’immagine storica della fede, ma nello stesso tempo non sarebbe concepibile senza la trasformazione della comprensione del mondo, operata dalla fede. Poiché soltanto il mondo che non è più zeppo di divinità, ma, come cosa creata, è in sé soltanto mondo, solo un mondo, nel quale sole e luna non sono più divini signori del cosmo, ma unicamente dei luminari, posti nel cielo dal Creatore (Gen. 1,14-18), solo un mondo, che deriva nella sua interezza dal Logos e che perciò è tutto «logico», poteva diventare punto di partenza di una ricerca scientifica e positiva sul mondo, la quale si è sviluppata, non a caso, proprio nei paesi di stampo cristiano. Ma quanto terreno ha preso anche qui la cristianità nei confronti di se stessa!

2. Ma se si osserva con un po’ più di precisione quel reale rapporto dell’uomo col «mondo», che abbiamo appena terminato di descrivere, si scoprirà molto in fretta che al fondo della semplice comprensione del «mondo» come creazione sta una certa astrazione ed il superamento di essa d porta ad un secondo grado del concetto di mondo. «Mondo» può voler indicare anche la realtà che sta di fronte all’uomo, già plasmata da lui. E soltanto qui il discorso diventa veramente concreto, perché l’uomo che vive nella storia non ha a che fare con il puro mondo della creazione. Il mondo, che egli incontra ed al quale si richiama il suo comportamento, non è mai infatti la pura creazione di Dio, ma è sempre un mondo già plasmato ed improntato dall’uomo.

Se si cerca di arrivare, sotto questo aspetto più realistico, ad una valutazione del «mondo», che produca l'ethos, il problema si pone già in termini molto più differenziati di prima. Dato che lo dovremo affrontare anche da un altro punto di vista, accontentiamoci per il momento di un’idea, che sorge osservando la Bibbia.

La Sacra Scrittura indica il fratricida Caino, oppure suo figlio (il testo non è molto chiaro in questo punto), come il fondatore della prima città sulla terra. La città rappresenta qui l’incarnazione del mondo costruito dall’uomo, il compendio di tutte le opere civilizzatrici. La Bibbia le pone sullo stesso piano, quando inserisce i primi inventori nell’albero genealogico di Caino. Questa classifica non è una coincidenza; è il mezzo stilistico dello scrittore biblico per esprimere un giudizio sulle realtà tecniche. Egli vede in queste cose l’opera della volontà umana indipendente, della superbia di colui che vuole fare a meno di Dio. Il racconto della costruzione della torre di Babele (Gen. 11,1-9) ripete ancora una volta, in modo efficace, questo giudizio.

Ciononostante non si può affatto definire l’atteggiamento globale della Bibbia come nemico della cultura. La Sacra Scrittura termina con l’immagine della città santa che discende dal cielo e vede così nella figura della città il compimento del mondo. Il carattere della cultura umana appare, nello stesso tempo, come la ricchezza del compimento, nella quale deve sfociare il mondo, come la rappresentazione esterna della sicurezza definitiva di un mondo modellato per sempre dallo spirito. Il giudizio su quello, che noi possiamo denominare tecnica, cultura, civilizzazione, rimane dunque contraddittorio. Queste realtà sono insieme promesse e pericoli. Ad ogni modo la Sacra Scrittura non offre delle prove né per una unilaterale demonizzazione né per un’esclusiva glorificazione della tecnica e della civilizzazione.

3. Tutto diventa più chiaro se facciamo un terzo passo, rendendoci conto del fatto che anche il mondo civilizzato non esiste per sé, ma soltanto in unione con gli uomini che lo formano e lo producono. Questo vuol dire che il nostro secondo aspetto comporta ancora una certa astrazione, dal momento che noi consideravamo, in un certo qual modo, il mondo plasmato dall’uomo solo in sé, mentre esso non esiste in sé ma soltanto in unione con l’uomo che di continuo lo forma. «Mondo» include necessariamente gli uomini, non è affatto qualcosa che si potrebbe separare di netto dall'uomo ed a lui contrapporre; significa piuttosto un determinato complesso di modi di agire umani, nel loro riferirsi alla realtà extra-umana, assegnata all’uomo. Noi potremmo senz’altro definire «mondo» l’insieme di quei modi di agire umani, nei quali l’uomo è messo in rapporto con la configurazione delle sue forme di esistenza terrene.

Si può affermare che noi, di solito, quando diciamo mondo, abbiamo davanti agli occhi il «mondo» che esiste negli uomini e nel loro atteggiamento verso il mondo. È importante riconoscerlo perché se il mondo non si deve separare dall’uomo, vuol dire che non può venir staccato e contrapposto nemmeno alla chiesa ed ai cristiani. Il mondo esiste anche in loro, essi pure sono una parte di quell’entità che si chiama mondo e il conflitto con il mondo è sempre, di conseguenza, un aspetto del conflitto dei cristiani con se stessi (cfr Gv. 15,18-26). Il concetto di mondo descrive semplicemente un polo della loro particolare esistenza; il problema «Cristo e mondo» non è altra, alla fin fine, che il problema della polarizzazione insita nell’esistenza cristiana stessa, cioè il vedere come devono venir coordinati nella vita dell’uomo cristiano i due poli, la configurazione delle determinatezze dell’esistenza terrena e l’incentramento nell’eterno.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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