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Dal Magistero di Benedetto XVI - la dolcezza, le meditazioni, la gioia della fede

Ultimo Aggiornamento: 27/07/2015 16:31
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06/01/2014 19:26





«Caritas in veritate»
Come un lampo nel malessere della società

di Xavier Darcos
Membro dell'Institut - Ministro francese del Lavoro, delle relazioni sociali, della solidarietà e della città

Rivolgendosi a un mondo disorientato, non egualitario e traumatizzato dagli spasmi di una crisi globale, l'enciclica Caritas in veritate arriva al momento opportuno, come un lampo che squarcia nubi nere. Essa permette a Benedetto XVI di precisare di nuovo la dottrina della Chiesa di fronte alle realtà sociali di questo tempo, che si lascia andare alle leggi ciniche del profitto e a un'interdipendenza economica senza regole. Essa viene ad annunciare che altre strade sono possibili e necessarie. Essa attinge, alla fonte del messaggio cristiano, la speranza di orientamenti e di soluzioni innovatrici.

Benedetto XVI celebra la carità, virtù cardinale della fede, slancio dell'anima verso l'altro, "via maestra della dottrina sociale della Chiesa". Egli si colloca dunque nel solco di luce della Rerum novarum di Leone XIII e della Populorum progressio di Paolo VI. Il Papa recupera prima di tutto il fondamento del cristianesimo - l'amore, la condivisione e la giustizia - per trovarvi rimedio alle tattiche egoiste del ciascuno per sé. Ricorda che il Vangelo apre un cammino verso una società di libertà e di eguaglianza. Poiché "un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali".

Giovanni Paolo II aveva colpito l'opinione pubblica per la lotta dello Spirito, che egli incarnò, contro il marxismo sovietico e staliniano. Ma egli criticò anche le derive del capitalismo generalizzato e anomico. Con lo stesso slancio, Benedetto XVI fa un bilancio severo delle derive criminali della mondializzazione, dovute a una finanza fondata sul guadagno immediato di pochi. Le sue analisi sono precise, documentate e di ampio respiro. Esse dimostrano l'alienazione di un'umanità devastata da una diseguaglianza insopportabile tra gli esseri, le società e le nazioni.

Tale bilancio, reso più cupo dalla crisi attuale, esige una ridefinizione dello sviluppo che non si saprebbe ridurre a una semplice crescita economica continua. Il Papa ne stigmatizza, nelle loro diverse forme visibili, gli evidenti fallimenti: esclusione, marginalizzazione, miseria e disprezzo dei diritti umani fondamentali. Il processo di sviluppo ha bisogno di una guida: la verità. "L'amore nella verità", è "la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell'umanità intera". Altrimenti, "l'agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società".

Apriamo gli occhi: il progresso vorace, fondato su risorse materiali e speculative, ha fallito. Il mondo sta divorando se stesso, come Chrònos che divora i suoi figli. La Chiesa propone un'altra scelta: uno "sviluppo integrale", che assicura un'emancipazione umanistica condivisa. Poiché la crescita è un beneficio, la mondializzazione non genera necessariamente una catastrofe, la tecnica non è in sé perversa, ma queste forze brute devono essere subordinate a un'etica. In questo mondo scombussolato, le esperienze più promettenti hanno cominciato a stabilire nuove relazioni tra gli uomini.
Benedetto XVI chiede di generalizzare tali tentativi, di esplorare le vie del dono, della gratuità, della ripartizione. Condanna la vacuità di un relativismo cieco che priva gli uomini di un senso alla loro vita collettiva. Egli biasima così i due pericoli che minacciano la cultura: un eclettismo dove ogni cosa vale l'altra, senza riferimenti né gerarchie, e una uniformizzazione degli stili di vita.


Di fronte al fallimento dell'avere e al caos dell'essere, Benedetto XVI reclama una nuova alleanza tra fede e ragione, tra la luce divina e l'intelligenza umana. Anche se "non ha soluzioni tecniche da offrire", la Chiesa ha "una missione di verità da compiere" in vista di una "società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione".

Poiché, se si va al di là delle apparenze, le cause del sottosviluppo non sono prima di tutto di ordine fisico. Esse risiedono più che altro nella mancanza di fratellanza tra gli uomini e i popoli: "La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli". Il Papa lancia un appello perché questa crisi ci obblighi a riconsiderare il nostro itinerario, poiché, mentre la ricchezza mondiale cresce, le disparità aumentano. Tale magma, erodendo i valori, porta a disprezzare la vita nelle sue specificità, a scoraggiare la natalità, a opprimere la libertà religiosa, a terrorizzare la spiritualità, a frenare la fiducia e l'espansione. Si tratta semplicemente di far sì che gli uomini prendano coscienza di essere parte di una sola famiglia, il che esige il ritorno a dei valori inusitati: il dono, il rifiuto del mercato come legame di dominazione, l'abbandono del consumismo edonista, la ridistribuzione, la cooperazione e così via.

Il pensiero del Papa scorge l'incubo di un'umanità inebriata dalla pretesa prometeica di "potersi "ri-creare" avvalendosi dei prodigi della tecnologia", quali la clonazione, la manipolazione genetica, l'eugenismo. La fonte di queste devianze resta la stessa: la disumanizzazione. Poiché, ovunque noi viviamo e a qualsiasi grado di responsabilità ci collochiamo, ciascuno di noi può riconciliarsi con l'amore e il perdono, la rinuncia al superfluo, l'accoglienza del prossimo, la giustizia e la pace. Tale condotta dipende dall'esigenza morale. Essa è divenuta una condizione di sopravvivenza.

La lettura di questa enciclica, pervasa di un fervore spirituale magnifico, non dà l'impressione di una meditazione astratta o di una preghiera. Raramente un Papa ha toccato da così vicino la realtà per analizzarne a fondo i mali e per proporre, con pragmatismo e lucidità, gli antidoti più utili. Che il suo messaggio possa essere compreso!

(L'Osservatore Romano 3-4 agosto 2009)



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In un libro di Benedetto XVI
Coscienza e verità

di Lucetta Scaraffia

Non è certo una novità che il Papa intervenga per rendere più chiara ai fedeli la comprensione dei problemi del tempo in cui vivono, ma possiamo dire senza timore di esagerare che nessuno l'ha fatto con l'acutezza e la profondità di Benedetto XVI. Al punto che i suoi scritti dedicati alla lettura critica del presente sono ormai considerati dei classici che possono - e dovrebbero - interessare quanti vogliano capire meglio l'epoca in cui vivono, e non solo i cattolici.
Proprio per questo sono particolarmente illuminanti i saggi raccolti in un libro da poco pubblicato in Italia (Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, L'elogio della coscienza.

La Verità interroga il cuore, Siena, Cantagalli, 2009, pagine 175, euro 13,50). Con il consueto stile limpido e semplice, di quella semplicità che raggiunge solo il pensiero sedimentato e profondo, l'autore vi affronta i principali problemi teorici del nostro tempo, denunciandone i limiti e le manipolazioni, e proponendo una risposta chiara, tratta dal tesoro della tradizione cristiana. Tutti gli scritti ruotano intorno a due questioni intimamente legate: la coscienza e la verità, entrambe cancellate dalla cultura contemporanea, che le sostituisce con la soggettività e il relativismo, pensando di garantire in questo modo la libertà individuale, unico vero feticcio moderno.

Nel primo saggio, L'elogio della coscienza, viene chiarito un tema complesso e mistificato, quello cioè del ruolo della coscienza. In una cultura che tende a contrapporre una "morale della coscienza" a una "morale dell'autorità", slegando il problema della coscienza da quello della verità, l'unica garanzia di libertà appare essere la giustificazione della soggettività, mentre l'autorità sembra "restringere, minacciare o addirittura negare tale libertà". Qui tocchiamo il punto veramente critico della modernità: "L'idea della verità è stata nella pratica eliminata e sostituita con quella di progresso" che però, in apparenza esaltato, viene invece privato di ogni direzione. In un mondo senza punti fissi di riferimento, senza verità, non ci sono più direzioni.
La rinuncia ad ammettere che, per l'essere umano, sia possibile conoscere la verità conduce al disinteresse per i contenuti, per dare la preminenza alla tecnica, alla formalità. Un esempio chiaro in questo senso è quello dell'arte: oggi "ciò che l'opera esprime è del tutto indifferente: l'unico criterio è la sua esecuzione tecnico-formale".

Vivendo in una società che influenza e condiziona gli individui, è difficile sentire quella che veniva considerata "la voce della coscienza", cioè "la presenza percepibile ed imperiosa della voce della verità all'interno del soggetto stesso". Anche se la via alla verità e al bene è stata abbandonata perché ardua, scomoda, considerata troppo difficile da seguire, non per questo dobbiamo rinunciarvi: "dissolveremmo il cristianesimo in un moralismo se non fosse chiaro un annuncio che supera il nostro proprio fare".

In queste condizioni, la stessa verità del bene diventa inattingibile, perché l'unico riferimento per ciascuno è ciò che egli può da solo concepire come bene, rinunciando così a quel minimo di diritti oggettivamente fondati, non accordati tramite convenzioni sociali, sui quali soli si può fondare l'esistenza di ogni comunità politica. In sostanza, dove Dio scompare, "scompare anche la dignità assoluta della persona umana", e la dignità di ognuno non viene più a dipendere dal solo fatto di esistere, per essere stato voluto e creato da Dio. Ecco perché "la radice ultima dell'odio e di tutti gli attacchi contro la vita umana è la perdita di Dio".
Benedetto XVI rivela una delle sue preoccupazioni principali, che ha varie volte ripetuta: il timore che la nozione moderna di democrazia non sappia emanciparsi dall'opzione relativista, in un mondo in cui il relativismo appare come l'unica garanzia della libertà. Mentre il Papa sa bene e ripete senza sosta che "un fondamento di verità - di verità in senso morale - appare irrinunciabile per la stessa sopravvivenza della democrazia". E non dobbiamo dimenticare che, di fatto, "tutti gli stati hanno attinto le evidenze morali razionali - permettendo loro di dispiegare i propri effetti - dalle tradizioni religiose ad essi preesistenti".

Di frequente Benedetto XVI ritorna sul tema della ricerca della verità: "Se Dio è la verità, se la verità è il vero "sacro", la rinuncia alla verità diventa una fuga da Dio". Persino quando avviene all'interno di una confessione religiosa perché - denuncia il Papa - esiste anche un "positivismo fideista" che "ha paura di perdere Dio nell'esporsi alla verità delle creature". La verità è il presupposto fondamentale di ogni morale, ma se invece il criterio dell'utilità o del risultato, sostenuto da correnti di teoria politica affermate, prende il posto della verità, il mondo si frantuma in tante parzialità, perché l'utilità dipende sempre dal punto di vista del soggetto che agisce.

Cosa significa allora fare il teologo, in questa situazione culturale? E come si può pensare una nuova evangelizzazione? A queste domande rispondono in modo inedito ed esauriente gli ultimi saggi di un volume che si rivela fondamentale per comprendere il mondo di oggi, e per vivervi da cristiano. Peccato che l'editore a cui si deve l'ammirevole iniziativa di avere raccolto questi testi li abbia pubblicati senza precisare quando sono stati scritti, se dal cardinale Ratzinger o dal Papa. Come se per il lettore questa precisazione fosse irrilevante.

(L'Osservatore Romano 14 giugno 2009)


   


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Per una fede consapevole
Ritorno a Montecassino


L'ultima volta di Joseph Ratzinger a Montecassino fu per cinque giorni, nel febbraio del 2000. L'occasione per il futuro Papa di maturare - come egli scrisse di suo pugno, ricordando una lunga intervista poi pubblicata in un libro dal titolo Dio e il mondo. Essere cristiani nel nuovo millennio - "un piccolo tentativo di introduzione nella fede per l'uomo d'oggi".
Il ritorno di Benedetto XVI a Montecassino, oggi non si discosta da quel disegno che rimane l'unico, vero segreto per leggere nella giusta luce il suo pontificato.

Egli torna a una delle più antiche fonti della spiritualità benedettina radicata nella sua formazione cristiana e spiega l'insistenza con la quale richiama i cristiani a una fede consapevole, se vogliono davvero concorrere a risvegliare la capacità culturale delle società europee in una fase di cambiamento dagli esiti imprevedibili.

Come al tempo di Benedetto - il padre del monachesimo occidentale - la società ereditata dall'impero romano era messa alla prova dai nuovi popoli venuti da fuori e non sempre amichevolmente, così anche oggi l'Europa si trova a dover fare i conti con decine di migliaia di immigrati sospinti dal bisogno. La ricomposizione del tessuto umano, che le migrazioni richiedono di realizzare nel tempo, trova nell'esempio benedettino un paradigma di metodo ancora efficace. Fin dalle elementari, ai bambini delle terre di san Benedetto, restava impressa la figura di Totila, re dei goti che depone la spada ai piedi del patriarca Benedetto. Per quale ragione - ci si potrebbe chiedere - un re, in quel momento vittorioso, si inginocchia davanti a un uomo inerme in un territorio calpestato da combattenti contrapposti? Era la saggia prospettiva di ricostruzione del tessuto sociale e religioso uscito frammentato dalle invasioni che dava credito a san Benedetto. Ed era la sua vita cristiana spesa per gli altri alla luce dell'esortazione di "niente anteporre all'amore di Cristo" indicata quale regola di vita dei nuovi monaci.

Benedetto XVI è strettamente collegato con lo stile benedettino e con la visione cristiana del santo fondatore di Montecassino. Ne ha scelto il nome, si è impegnato da subito per la comprensione tra i popoli e le religioni, ha chiesto alla Chiesa una conversione sincera verso una fede vissuta: nulla anteporre a Dio. Con la semplice motivazione dell'amore. Convertirsi per amore a un Dio che ama e vuole farsi percepire quale Dio d'amore anche nel XXI secolo.
Il Pontefice che intende armonizzare fede e ragione, preghiera e lavoro, così da intercettare la ricerca dell'assoluto presente anche fuori dei recinti religiosi, pensa di riuscirvi convertendo anzitutto i cristiani al primato dell'amore di Dio. L'attivismo dei credenti senza un'anima spirituale resterà, infatti, sterile.

La forza della testimonianza cristiana, un tempo affidata al fiorente monachesimo, è minore per le ridotte dimensioni della vita consacrata. In linea con la Chiesa del concilio il Papa chiede perciò a ogni cristiano di farsi carico del vangelo nella vita ordinaria. L'incontro con i fedeli di Montecassino e di tutto il Cassinate è ispirato da questa visione. Poiché è mosso da tale spirito di colloquio con tutti per consolidare la pace, Benedetto XVI può essere ormai annoverato tra quei profeti disarmati di un mondo più fraterno e solidale per il quale tantissime persone si adoperano e spendono la vita.

(L'Osservatore Romano 24 maggio 2009)



   



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Alla vigilia del viaggio in Terra Santa
Un sogno di Papa Benedetto


Pubblichiamo un articolo uscito su "La Croix" del 2-3 maggio 2009. L'autore, religioso dei frati minori, insegna allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme.


L'orologio di piazza San Pietro aveva battuto le undici. La luce soffusa dalla finestra del Palazzo apostolico si era appena spenta. Papa Benedetto andava finalmente a riposarsi un po', dopo una giornata trascorsa a preparare il suo viaggio in Terra Santa. Un cielo stellato scintillava sulla Città eterna. Sul colonnato del Bernini le statue dei santi continuavano a vegliare sulla città. La vastità della piazza che si disegnava con le sue ombre dava l'impressione di condurre a ben altro che al più piccolo Stato del mondo: là batteva il cuore della cristianità.

All'improvviso una stella più brillante delle altre s'illuminò. Guardai quell'apparizione con occhi spalancati dalla meraviglia. Era una stella cadente? No, perché illuminava una per una le statue del colonnato. Probabilmente un nuovo asteroide, che era appena apparso nel cielo di Roma. Curiosamente le statue si animavano e cominciavano a parlarsi (gli adulti non mi crederanno: si credono più importanti dei cedri del Libano; quindi consiglio loro di non leggere il seguito, poiché potrebbero sentirsi a disagio).

Francesco d'Assisi prese la parola. Le altre statue si voltarono verso di lui per ascoltarlo. Un mormorio, come un cinguettio di uccelli, percorse la piazza in ogni senso: "Il Santo Padre ha deciso di visitare la Terra Santa dove i miei figli operano in mezzo a tante difficoltà da otto secoli. Oggi ha preparato questo viaggio nei minimi dettagli. Ho cercato di sussurrare al suo orecchio ciò che doveva dire e ciò che doveva tacere. L'Oriente è un vulcano in piena attività. "Gli uomini dimenticano di spazzare il camino dei vulcani" diceva il Piccolo Principe".

Santa Chiara l'interpellò: "Anche le mie figlie sono presenti in Terra Santa, Francesco. Tu sai che fu privilegio di una donna essere la prima testimone della resurrezione di Cristo. La preghiera delle mie figlie l'illuminerà più dei consigli dei tuoi figli. - Hai ragione, Chiara. Esse dovranno pregare molto perché la visita di Papa Benedetto si svolga bene e rechi frutto. La loro presenza silenziosa, e quella delle altre contemplative, è più preziosa dei tanti lavori dei miei figli. Sì, Papa Benedetto ha deciso di visitare i Luoghi santi e i cristiani coraggiosi che con il loro Patriarca si sacrificano e vivono in mezzo ai musulmani e agli ebrei. È questo il vero dialogo tra le religioni di ogni giorno di cui la Chiesa ha tanto bisogno".

Antonio, il santo di Padova, si voltò verso Francesco. "Padre Francesco, tu che hai avuto il merito di vivere la Passione di Cristo portando le sue stimmate, sai quanto il Santo Padre soffre in questo momento. La stampa si è scatenata contro di lui come mai prima d'ora. Il nuovo sport degli uomini politici in Europa consiste nello sparare sul Papa. -
Sì, frate Antonio, riprese san Francesco, tutto deve essere subordinato allo spirito della santa preghiera, che manca tanto in questa Europa, scossa dalla crisi economica e che trova nel Papa un capro espiatorio".

San Domenico intervenne: "I miei figli sono anch'essi presenti nel paese di Gesù. Ma dove va la Chiesa? Essa deve parlare di eternità mentre si vorrebbe che sposasse le cause del nostro tempo. Oggi è al centro, persino tra i suoi fedeli, di un dibattito tanto importante quanto appassionato. I miei figli a Gerusalemme, grazie al lavoro meraviglioso realizzato a prezzo dell'obbedienza da fratel Joseph-Marie Lagrange, continuano a ricordare al mondo l'importanza della Parola di Dio. Il Sinodo, lo scorso anno, ha d'altronde voluto rimettere nuovamente la parola di Gesù al centro della vita cristiana".

San Benedetto si girò verso san Francesco: "Il Santo Padre, prendendo il mio nome, ha voluto mettersi sotto la mia protezione. I miei figli e le mie figlie danno una testimonianza meravigliosa in Terra Santa. Insegnano ai cristiani a pregare e a lavorare. Ricordano l'urgenza di celebrare la nuova liturgia nei Luoghi santi".

Prima che Francesco avesse il tempo di rispondere, sant'Ignazio di Loyola intervenne: "Anche i miei figli insegnano le Sacre Scritture. Hanno avuto per lungo tempo il privilegio di essere i soli a farlo, prima che i tuoi reclamassero tale diritto. Sosteniamo questo Papa della tolleranza, paladino del dialogo fra le religioni: egli è andato in Turchia, deve fare il viaggio a Gerusalemme. Non è Giovanni Paolo II, protagonista dell'attualità, ma non è nemmeno l'oscurantista che si vorrebbe denigrare. Alcuni anticlericali non accettano più che l'autorità morale del Papa sussista mentre quella dei capi di Stato non esiste più. È l'ultimo bastione dell'autorità che la stampa intende combattere e distruggere. Ma la Chiesa è costruita sulla roccia. Non abbiamo nulla da temere. I miei figli hanno sempre difeso il Santo Padre...".

Francesco intervenne: "Fratelli miei, se continuiamo a conversare tutta la notte, sveglieremo il Santo Padre che fatica a prendere sonno! La nostra preghiera silenziosa l'accompagnerà e farà tacere le critiche infondate dei giornalisti. Don Bosco mi ricorderà che anche i suoi figli sono attivi in Terra Santa e hanno difeso Pio XII che ha salvato tanti ebrei... Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di visitare i Luoghi santi e di portare parole di speranza al piccolo gregge di cristiani che è lì testimone vivente della morte e della resurrezione di Cristo. Benedetto XVI seguirà i loro passi e porterà anche lui un messaggio di pace a questo Oriente lacerato dall'odio e dalla guerra. Ricorderà che non vi sarà pace senza riconciliazione né riconciliazione senza perdono. Isacco e Ismaele si rallegreranno nel vedere il Papa invitare i loro figli al dialogo, affinché il padre Abramo possa gioire nel vedere il giorno del Signore".

La notte scura ripiombò sulla città. Le statue del colonnato del Bernini tornarono di pietra e il Papa comprese che il suo sogno stava per diventare realtà.

(L'Osservatore Romano 6 maggio 2009)

   


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[Modificato da Caterina63 06/01/2014 20:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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