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7.7.2007 Benedetto XVI donava alla Chiesa il MP Summorum Pontificum.....

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2013 09:10
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07/07/2013 00:53

[SM=g28004]  7.7.2007 /7.7.2013 Sei anni fa Benedetto XVI donava alla Chiesa il MP Summorum Pontificum.....
 lodiamo Dio per questo dono immenso e siamo eternamente grati all'amato Pontefice Benedetto,
egli ha consegnato nelle nostre mani, nelle mani dei Sacerdoti santi un ricco patrimonio liturgico da far fruttare....
coraggio allora, anche il suo successore ha detto chiaramente che non opporrà alcun veto alla sua applicazione - come certi vescovi avevano sfacciatamente chiesto - bando alle ciance, chi può si dia da fare....


Così si esprimeva il cardinale Darío Castrillón Hoyos, allora presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e per molti anni prefetto della Congregazione per il Clero


D. – Alla vigilia dell’entrata in vigore del Motu Proprio, quali sono i suoi auspici?


R. – I miei auspici sono questi: l’Eucaristia è la cosa più grande che noi abbiamo, è la manifestazione più grande dell’amore, dell’amore redentore di Dio che ci vuole accompagnare con questa presenza eucaristica.
Questo non deve essere mai un motivo di discordia: lì ci deve essere solo l’amore.
 Io auspico che questo possa essere un motivo di gioia per tutti coloro che amano la tradizione, un motivo di gioia per tutte quelle parrocchie che non avranno più divisioni, ma avranno – al contrario – una molteplicità di santità con un rito che è stato certamente il fattore e lo strumento di santificazione per più di mille anni.
Ringraziamo, quindi, il Santo Padre che ha recuperato per la Chiesa questo tesoro. Non viene imposto niente agli altri. Il Papa non impone l’obbligo; il Papa impone però di offrire questa possibilità laddove i fedeli lo richiedono.
Se ci fosse un conflitto, perché umanamente due gruppi possono entrare in contrasto, l’autorità del vescovo – come dice il Motu Proprio – deve intervenire per evitarlo, ma senza cancellare il diritto che il Papa ha dato a tutta la Chiesa.








                                                                      


Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il
Motu proprio Summorum Pontificum (sopra riportato) 
sull’uso della Liturgia romana anteriore alla riforma del 1970.


* * *
Cari Fratelli nell’Episcopato,

con grande fiducia e speranza metto nelle vostre mani di Pastori il testo di una nuova Lettera Apostolica "Motu Proprio data" sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970. Il documento è frutto di lunghe riflessioni, di molteplici consultazioni e di preghiera. Notizie e giudizi fatti senza sufficiente informazione hanno creato non poca confusione. Ci sono reazioni molto divergenti tra loro che vanno da un’accettazione gioiosa ad un’opposizione dura, per un progetto il cui contenuto in realtà non era conosciuto. A questo documento si opponevano più direttamente due timori, che vorrei affrontare un po’ più da vicino in questa lettera.

In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero "due Riti". Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.

Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso. Al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non è sembrato necessario di emanare norme proprie per l’uso possibile del Messale anteriore. Probabilmente si è supposto che si sarebbe trattato di pochi casi singoli che si sarebbero risolti, caso per caso, sul posto. Dopo, però, si è presto dimostrato che non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare. Ciò avvenne, innanzitutto, nei Paesi in cui il movimento liturgico aveva donato a molte persone una cospicua formazione liturgica e una profonda, intima familiarità con la forma anteriore della Celebrazione liturgica.

Tutti sappiamo che, nel movimento guidato dall’Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II si vide, perciò, obbligato a dare, con il Motu Proprio "Ecclesia Dei" del 2 luglio 1988, un quadro normativo per l’uso del Messale del 1962, che però non conteneva prescrizioni dettagliate, ma faceva appello, in modo più generale, alla generosità dei Vescovi verso le "giuste aspirazioni" di quei fedeli che richiedevano quest’uso del Rito romano. In quel momento il Papa voleva, così, aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita; tuttavia una serie di comunità hanno utilizzato con gratitudine le possibilità di questo Motu Proprio. Difficile è rimasta, invece, la questione dell’uso del Messale del 1962 al di fuori di questi gruppi, per i quali mancavano precise norme giuridiche, anzitutto perché spesso i Vescovi, in questi casi, temevano che l’autorità del Concilio fosse messa in dubbio. Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia. Così è sorto un bisogno di un regolamento giuridico più chiaro che, al tempo del Motu Proprio del 1988, non era prevedibile; queste Norme intendono anche liberare i Vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come sia da rispondere alle diverse situazioni.

In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione "Ecclesia Dei" in contatto con i diversi enti dedicati all’ "usus antiquior" studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.

Sono giunto, così, a quella ragione positiva che mi ha motivato ad aggiornare mediante questo Motu Proprio quello del 1988. Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa. Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente. Mi viene in mente una frase della Seconda Lettera ai Corinzi, dove Paolo scrive: "La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi. Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto… Rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!" (2 Cor 6,11–13). Paolo lo dice certo in un altro contesto, ma il suo invito può e deve toccare anche noi, proprio in questo tema. Apriamo generosamente il nostro cuore e lasciamo entrare tutto ciò a cui la fede stessa offre spazio.

Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto. Ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso.

In conclusione, cari Confratelli, mi sta a cuore sottolineare che queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria diocesi (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 22: "Sacrae Liturgiae moderatio ab Ecclesiae auctoritate unice pendet quae quidem est apud Apostolicam Sedem et, ad normam iuris, apud Episcopum").

Nulla si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio. Inoltre, vi invito, cari Confratelli, a scrivere alla Santa Sede un resoconto sulle vostre esperienze, tre anni dopo l’entrata in vigore di questo Motu Proprio. Se veramente fossero venute alla luce serie difficoltà, potranno essere cercate vie per trovare rimedio.

Cari Fratelli, con animo grato e fiducioso, affido al vostro cuore di Pastori queste pagine e le norme del Motu Proprio. Siamo sempre memori delle parole dell’Apostolo Paolo dirette ai presbiteri di Efeso: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come Vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue" (Atti 20,28).

Affido alla potente intercessione di Maria, Madre della Chiesa, queste nuove norme e di cuore imparto la mia Benedizione Apostolica a Voi, cari Confratelli, ai parroci delle vostre diocesi, e a tutti i sacerdoti, vostri collaboratori, come anche a tutti i vostri fedeli.

Dato presso San Pietro, il 7 luglio 2007
BENEDICTUS PP. XVI


Benedetto XVI ci ha veramente fatto un immenso dono.....


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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07/07/2013 00:54


LETTERA APOSTOLICA
MOTU PROPRIO DATA

 

BENEDETTO XVI

SUMMORUM PONTIFICUM

Sull'uso straordinario dell'antica forma del Rito Romano*



 

I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, "a lode e gloria del Suo nome" ed "ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa".


Da tempo immemorabile, come anche per l'avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede" [1].


Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di San Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell'Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l'Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell'Urbe. Promosse con la massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di San Benedetto, dovunque unitamente all'annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: "Nulla venga preposto all'opera di Dio" (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l'uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell'età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.


Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca S. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell'esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l'edizione dei libri liturgici, emendati e "rinnovati secondo la norma dei Padri" e li diede in uso alla Chiesa latina.


Fra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

"Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l'aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all'inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale" [2]. Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, San Pio X [3], Benedetto XV, Pio XII e il Beato Giovanni XXIII.


Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato "perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia" [4].


Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell'anno 1984 con lo speciale indulto Quattuor abhinc annos, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal Beato Giovanni XXIII nell'anno 1962; nell'anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica Ecclesia Dei, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.


A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull'aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:


Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della "lex orandi" ("norma della preghiera") della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII deve venire considerato come espressione straordinaria della stessa "lex orandi" e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella "lex credendi" ("norma della fede") della Chiesa; sono infatti due usi dell'unico rito romano.

Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l'edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa.

Le condizioni per l'uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori Quattuor abhinc annos e Ecclesia Dei, vengono sostituite come segue:


Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.


Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o "comunitaria" nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l'edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.


Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all'art. 2, possono essere ammessi - osservate le norme del diritto - anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.


Art. 5. § 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del canone 392, evitando la discordia e favorendo l'unità di tutta la Chiesa.


§ 2. La celebrazione secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una sola celebrazione di tal genere.


§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.


§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del Beato Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.


§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.


Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del Beato Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche in lingua volgare, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.


Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all'art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".


Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione "Ecclesia Dei", perché gli offra consiglio e aiuto.


Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell'amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell'Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.


§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.


§ 3. Ai chierici costituiti "in sacris" è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.


Art. 10. L'Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del canone 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.


Art. 11. La Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", eretta da Giovanni Paolo II nel 1988 [5], continua ad esercitare il suo compito. Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.


Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l'autorità della Santa Sede, vigilando sulla osservanza e l'applicazione di queste disposizioni.


Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come "stabilito e decretato" e da osservare dal giorno 14 settembre di quest'anno, festa dell'Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.


Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato
.

BENEDETTO PP. XVI



[1] Ordinamento generale del Messale Romano, III ed., 2002, n. 397.

[2] Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3: AAS 81 (1989), 899.

[3] Ibid.

[4] San Pio X, Lett. Ap. motu proprio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913: AAS 5 (1913), 449-450; cfr. Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Vicesimus quintus annus, n. 3: AAS 81 (1989), 899.

[5] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS 80 (1988), 1498.


__________________

* Traduzione italiana rivista e corretta alla stregua del testo ufficiale del Motu proprio, pubblicato in AAS 99 (2007), p. 777-781





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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07/07/2013 09:10

7.7.2007 /7.7.2013

l titolo: LA TUNICA STRACCIATA esprime già di per se il senso della riflessione riportata in questo spazio...

Tito Casini.... chi era?
interessante che il curatore del sito è:

Fra Pier Damiani Maria obl. O.S.B. Cam. una consolazione dal momento che non si tratta di un laico...

Scriveva così Tito Casini:

I protestanti, ho detto (dimenticando che dovevo dire i «fratelli separati», e di quale fraternità si tratti è palese presentemente in Irlanda), per dire appunto i padri e maestri di questi nostri riformatori da cui essi, come il paggio Fernando della famosa partita, si riconoscono di gran lunga superati, e ricordare ciò che il santo pontefice pur ora citato diceva e prediceva, in quella sua prima enciclica alle soglie del secolo: «L'errore dei protestanti diè il primo passo su questo sentiero; il secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire l'ateismo».

Siamo prossimi a questo, all'ultimo stadio, la «morte di Dio», e la Riforma, la «nostra», n'è la propellente: il principio protestante, cuius regio illius et religio, ogni regione la sua religione, ha nel «pluralismo liturgico» - nella legge del culto autonoma, regionale, lingua e riti, rispetto a quella del Credo - il suo equivalente, con la conseguenza che la religione, la vera, la buona, langue in ogni regione, che il pluralismo si risolve in nullismo, avverandosi in tutte, anche in quelle dove il volgare è meno volgare, meno barbaro, ciò che il Marshall scriveva, per i cattolici riformisti, dell'Inghilterra riformata: «Non c'illudiamo: non sarà la liturgia in volgare a far venire gl'invitati al festino di nozze. La Chiesa anglicana canta il più bell'inglese davanti ai banchi più vuoti, mentre il (cattolico) più ignorante in latino intende benissimo ciò che fanno i monaci di Solesmes».

e ancora scriveva profeticamente negli anni '70:

Risorgerà, vi dicevo... [la Santa Messa Tridentina] risorgerà, come rispondo ai tanti che vengono da me a sfogarsi (e lo fanno, a volte, piangendo), e a chi mi chiede com'è che io ne sono certo, rispondo (da «poeta», se volete) conducendolo sulla mia terrazza e indicandogli il sole... Sarà magari sera avanzata e là nella chiesa di San Domenico i frati, a Vespro, canteranno: Iam sol recedit igneus; ma tra qualche ora gli stessi domenicani miei amici canteranno, a Prima: Iam lucis orto sidere e così sarà tutti i giorni.

Il sole, voglio dire, risorgerà, tornerà, dopo la notte, a brillare, a rallegrar dal cielo la terra, perché... perché è il sole e Dio ha disposto che così fosse a nostra vita e conforto. Così, aggiungevo, è e sarà della Messa - la Messa «nostra», cattolica, di sempre e di tutti: il nostro sole spirituale, così bello e santo e santificante - contro l'illusione dei pipistrelli, stanati dalla Riforma, che la loro ora, l'ora delle tenebre, non debba finire; e ricordo: su questa mia ampia terrazza eravamo in molti, l'altr'anno, a guardar l'eclisse totale del sole; ricordo, e quasi mi par di risentire, il senso di freddo, di tristezza e quasi di sgomento, a vedere, a sentir l'aria incaliginarsi e addiacciarsi via via, ricordo il silenzio che si fece sulla città, mentre le rondini, mentre gli uccelli scomparivano, impauriti, e ricomparivano svolazzando nel cielo i ripugnanti chirotteri.

A uno che disse, quando il sole fu interamente coperto: - E se non si rivedesse più? - rammento che nessuno rispose, quasi non si addicesse, in questo, lo scherzo... Il sole si rivide, infatti, il sole risorse, dopo la breve diurna notte, bello come prima e, come ci parve, più di prima, mentre l'aria si ripopolava di uccelli e i pipistrelli tornavano a rintanarsi.

*************************************

Tito Casini era scrittore, magari anche poeta, squisitamente Cattolico che pur rimanendo fedele alla Chiesa non accettò tuttavia gli eventi che susseguirono al Concilio, denunciandoli attraverso questi scritti malinconici se vogliamo, ma anche profetici e poetici... Occhiolino
Scrisse negli anni '30 "Storia Sacra", in tomo di 500 pagine impregnate di Tradizione pura da lui riportata in tono poetico, come si porta un gioiello ad una sposa...

Nato a Cornacchiaia, frazione di Firenzuola, il 23 novembre 1897, da una famiglia di antiche tradizioni rurali e religiose, Tito Casini fin dalle prime classi elementari dimostrò una particolare attitudine alla letteratura.

Nella notizia biografica redatta da Nicola Lisi, in "Antologia degli scrittori cattolici", è definito "Avvocato per la laurea e per gli occhiali a stanghetta, per tutto il resto colto, intelligentissimo montanaro, esaltatore e difensore di tutto ciò che vive e si muove all'ombra dei suo campanile".

Ben presto, infatti, depose la toga di avvocato, una professione che necessitava di compromessi che maL si confacevano al suo carattere, e si unì a un gruppo di scrittori fiorentini, tra i quali Papini, Bargellini, Giuliotti e Betocchi. Insieme fondarono il "Frontespizio", la famosa rivista pubblicata a Firenze tra il 1929 e il 1940. Muore nel 1987.

L'uscita de "La vigilia dello sposo", uno dei libri più gradevoli di Tito Casini, veniva, sul "Frontespizio" del giugno 1930, così salutata:

"E' un diario quaresimale, dove, con squisitezza d'animo l'autore canta, in pulitezza trecentesca di lingua e spontaneità di affetti, la vita liturgica dei periodo di penitenza che precede la Pasqua, armonizzandola in sapiente vigilia ed attesa della Resurrezione, massimo e sublime evento per il cristiano... Lo stile, ravvivato specialmente dal brio e dalla belle proprietà dei parlare toscano, fiorisce spontaneo sotto la penna dei giovane e brioso scrittore, al quale va dato atto di farsi leggere con gusto". Per chi scrive libri è davvero il massimo.

 

Ne "La Tunica stracciata" troviamo così una raccolta di brani, scritti poeticamente, che descrivono di una grande apostasia nella Chiesa a seguire dopo il Concilio...

"sublime" per le parole usate, ma drammatico al tempo stesso è questo racconto della "prima messa riformata di Paolo VI" intilolato: IL GRANDE SACRIFICIO che vi invito  a meditare:

" Non questo, non così egli, Paolo VI, aveva creduto o mostrato di credere - allorché, parlando dalla finestra quel non limpido mezzogiorno del 7 marzo 1965, aveva detto: «Questa domenica segna una data memorabile nella storia spirituale della Chiesa, perché la lingua parlata entra ufficialmente nel culto liturgico, come avete già visto questa mattina. La Chiesa ha ritenuto doveroso questo provvedimento... Il bene del popolo esige questa premura».

E quasi dolendosi, quasi rimpiangendo, al contempo, ciò che si è obbligato a immolare (come Iefte l'amata figlia che ignara del voto paterno gli è venuta incontro festosa con cembali e danze e saputolo gli chiede di poter prima andare con le compagne sui monti a piangere la sua giovinezza): «È un sacrificio che la Chiesa ha compiuto della propria lingua, il latino: lingua sacra, grave, bella, estremamente espressiva ed elegante».

E ancora, ancora e più conscio della gravità di ciò che diceva: «Ha sacrificato, la Chiesa, tradizioni di secoli e soprattutto sacrifica l'unità di linguaggio nei vari popoli...»
Così aveva parlato e scritto il devoto suo antecessore Giovanni, dimenticando la sua nota mitezza per percuotere con le più dure parole e minacce chi avesse parlato o scritto, o lasciato, da Superiore o da Vescovo, che si dicesse o scrivesse in contrario, «contra linguam Latinam in sacris habendis ritibus»; così il suo ascetico predecessore, pio XII; così il forte Pio XI; così tutti i sommi Pontefici - nel loro cognome di «romani» - con ragioni e sanzioni come quelle che la Veterum Sapientia confermava poc'anzi nel nome stesso della civiltà universale... Tutti, fino a lui, e d'essere stato lui a spezzar la catena, a chiuder la tradizione, a privar la Chiesa di quella sua «propria lingua», pareva non essere interamente tranquillo, come di un cambiamento che i fatti avrebbero potuto giustificare o condannare: «Questo per voi, fedeli... e se saprete davvero...»

Aveva visto da sé, poche ore innanzi, nell'àrribito di una chiesa, che cosa comportasse nell'àmbito della Chiesa il sacrificar, col latino, «l'unità di linguaggio nei vari popoli».
Vari popoli, d'Europa e d'altre parti del mondo, riconoscibili al colore, all'accento, alla foggia degli abiti, erano infatti casualmente presenti, quella mattina, nella chiesa d'Ognissanti, in via Appia Nuova, dov'egli s'era portato a celebrar la sua prima messa riformata. Erano stranieri, di religione cattolica, affluiti per diporto a Roma ai primi richiami della primavera in arrivo, e si trovavano lì per assolvere il precetto festivo; ma, differentemente dal loro solito di ferventi cristiani, essi se ne stavan lì muti e come smarriti, stranieri, anche lì, tra quei pur fratelli di fede ch'erano i fedeli romani, dai quali li separava, precisamente, ciò che prima li univa, li affratellava; e il Papa sentiva con pena, pena di padre comune, il loro silenzio, le loro mancate risposte ai suoi auguri, detti in lingua italiana, che il Signore fosse con essi, che il Signore desse loro la pace; li sentiva, li vedeva assenti, quasi dissenzienti, quando nella lingua degli italiani diceva ciò che nella lingua di tutti si era detto - o cantato, nelle dolci universali note del gregoriano - fino a stamani: ... unum Deum... unum Dominum... unam Ecclesiam... conforme al monito dell'Apostolo: ut unanimes, uno ore honorificetis Deum... Con pena aveva sentito, il Papa, quel loro muto lamento: Extraneus factus sum fratribus meis, et peregrinus filiis matris meae, avvertendo com'egli stesso, il padre, si fosse, così, fatto loro straniero e pellegrino, in quella Roma patria spirituale di tutti.

Con pena aveva così visto e sentito - in quella sua prima messa dalla brutta denominazione di «riformata», che nei paesi di molti fra quegli stranieri equivaleva a «protestante» - i primi effetti del «sacrificio» detto poi in quel discorso, la rinunzia della Chiesa alla sua univocità, temendone di conseguenza quello dell'unanimità...

Con pena, e si tradiva nel tono stesso della sua voce: voce di chi dubita, entro sé, dubita di ciò che afferma: voce che si fece sicura, giulivamente sincera, allorché, terminando, disse: «Noi pregheremo la Madonna, la pregheremo ancora in latino», e in latino intonò il Saluto dell'Angelo, a cui si uni, dalla piazza, la folla cosmopolita, fatta, per quella comune lingua, non più di stranieri gli uni agli altri, ma di fedeli, di credenti, gli uni agli altri fratelli.




LA TUNICA STRACCIATA 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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