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RAPPORTO SULLA FEDE (libro completo)

Ultimo Aggiornamento: 05/02/2014 15:56
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Sesso: Femminile
28/05/2013 19:28

Spirito e anti-spirito

Ma, dico, quanto al Concilio "vero", i pareri sono discordi: a parte casi di quel "neo-trionfalismo" irresponsabile cui accennava e che si rifiuta di guardare la realtà, si è in generale d'accordo che la situazione attuale della Chiesa sia di difficoltà. Ma le opinioni si dividono sia per la diagnosi che per la terapia. La diagnosi di alcuni è che gli aspetti della difficoltà, se non della crisi, non sono che benefiche febbri di un periodo di crescita; per altri sono invece sintomi di una malattia grave. Quanto alla terapia, gli uni chiedono una maggiore applicazione del Vaticano II, anche al di là dei testi; gli altri una dose minore di riforme e cambiamenti. Come scegliere? A chi dare ragione?

Risponde: "Come chiarirò ampiamente, la mia diagnosi è che si tratti di un'autentica crisi che va curata e guarita. Così, confermo che per questa guarigione il Vaticano II è una realtà da accettare in pieno. A condizione però che non sia considerato come un punto di partenza dal quale allontanarsi correndo, bensì come una base sulla quale saldamente costruire. Oggi, poi, stiamo scoprendo la sua funzione profetica: alcuni testi del Vaticano II al momento della loro proclamazione sembravano davvero in anticipo sui tempi che allora si vivevano. Sono venute poi rivoluzioni culturali e terremoti sociali che i Padri non potevano assolutamente prevedere ma che hanno mostrato come quelle loro risposte - allora anticipate - erano quelle che ci volevano in seguito. Ecco dunque che ritornare ai documenti è di particolare attualità: ci danno strumenti giusti per affrontare i problemi d'oggi. Siamo chiamati a ricostruire la Chiesa non malgrado, ma grazie al Concilio vero".

A questo Concilio "vero" , stando ancora alla sua diagnosi, "già durante le sedute e poi via via sempre di più nel periodo successivo si contrappose un sedicente "spirito del Concilio" che in realtà ne è un vero "anti-spirito". Secondo questo pernicioso anti-spirito - Konzils-Ungeist per dirlo in tedesco - tutto ciò che è "nuovo" (o presunto tale: quante antiche eresie sono riapparse in questi anni, presentate come novità!) sarebbe sempre e comunque migliore di ciò che c'è stato o c'è. E l'anti-spirito secondo il quale la storia della Chiesa sarebbe da far cominciare dal Vaticano II, visto come una specie di punto zero".

"Non rottura ma continuità"

Su questo mi conferma che vuol essere ben preciso: "Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità del cattolicesimo. Non c'è una Chiesa "pre" o "post", conciliare: c'è una sola e unica Chiesa che cammina verso il Signore, approfondendo sempre di più e capendo sempre meglio il bagaglio di fede che Egli stesso le ha affidato. In questa storia non ci sono salti, non ci sono fratture, non c'è soluzione di continuità. Il Concilio non intendeva affatto introdurre una divisione del tempo della Chiesa". Continuando nella sua analisi, ricorda che "l'intenzione del Papa che prese l'iniziativa del Vaticano II, Giovanni XXIII, e di quello che lo continuò fedelmente, Paolo VI, non era affatto di mettere in discussione un depositum fidei che, anzi, entrambi davano per indiscusso, ormai messo al sicuro".

Vuol forse, come alcuni fanno, sottolineare l'intenzione soprattutto pastorale più che dottrinale del Vaticano II?

"Voglio dire che il Vaticano II non voleva di certo "cambiare" la fede, ma ripresentarla in modo efficace. Voglio dire inoltre che il dialogo con il mondo è possibile solo sulla base di una identità chiara: che ci si può, ci si deve "aprire", ma solo quando si è acquisita la propria identità e si ha quindi qualcosa da dire. L'identità ferma è condizione dell'apertura. Così intendevano i Papi e i Padri conciliari, alcuni dei quali certamente indulsero a un ottimismo che noi, a partire dalla nostra prospettiva attuale, giudicheremmo come poco critico e poco realistico. Ma se hanno pensato di potersi aprire con fiducia a quanto c'è di positivo nel mondo moderno, è proprio perché erano sicuri della loro identità, della loro fede. Mentre da parte di molti cattolici c'è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositum fidei che per molti non erano più chiare".

Continua: "Il Vaticano II aveva ragione di auspicare una revisione dei rapporti tra Chiesa e mondo. Ci sono infatti dei valori che, anche se nati fuori della Chiesa, possono trovare il loro posto - purché vagliati e corretti - nella sua visione. In questi anni si è adempiuto a questo compito. Ma mostrerebbe di non conoscere né la Chiesa né il mondo chi pensasse che queste due realtà possono incontrarsi senza conflitto o addirittura identificarsi".

Sta forse proponendo di ritornare alla vecchia spiritualità di "opposizione al mondo"?

"Non sono i cristiani che si oppongono al mondo. È il mondo che si oppone a loro quando è proclamata la verità su Dio, su Cristo, sull'uomo. Il mondo si rivolta quando il peccato e la grazia sono chiamati con il loro nome. Dopo la fase delle "aperture" indiscriminate, è tempo che il cristiano ritrovi la consapevolezza di appartenere a una minoranza e di essere spesso in contrasto con ciò che è ovvio, logico, naturale per quello che il Nuovo Testamento chiama - e non certo in senso positivo - "lo spirito mondano". E' tempo di ritrovare il coraggio dell'anticonformismo, la capacità di opporsi, di denunciare molte delle tendenze della cultura circostante, rinunciando a certa euforica solidarietà postconciliare".

Restaurazione?

A questo punto - anche qui, come durante tutto il colloquio, il registratore frusciava nel silenzio della stanza sul giardino del seminario - ho posto al card. Ratzinger la domanda la cui risposta ha suscitato reazioni vivacissime nel mondo intero. Reazioni dovute anche ai modi incompleti con cui è stata spesso riferita e al contenuto emotivo della parola in gioco ("restaurazione") che rinvia a epoche storiche certamente non ripetibili né - a nostro avviso, almeno - neppure auspicabili.

Ho chiesto dunque al Prefetto della Fede: ma allora, riguardando quanto lei dice, sembrerebbero non avere torto coloro che affermano che la gerarchia della Chiesa intenderebbe chiudere la prima fase del dopo Concilio; e che (seppure ritornando non certo al pre-Concilio ma ai documenti "autentici" del Vaticano II) la stessa gerarchia intenderebbe procedere a una sorta di "restaurazione".

Ecco la risposta testuale del Cardinale: "Se per restaurazione, si intende un tornare indietro, allora nessuna restaurazione è possibile. La Chiesa va avanti verso il compimento della storia, guarda innanzi al Signore che viene. No: indietro non si torna né si può tornare. Nessuna "restaurazione", dunque, in questo senso. Ma se per "restaurazione" intendiamo la ricerca di un nuovo equilibrio (die Suche auf ein neues Gleichgewicht) dopo le esagerazioni di un'apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo positive di un mondo agnostico e ateo; ebbene, allora una "restaurazione" intesa in questo senso (un rinnovato equilibrio, cioè, degli orientamenti e dei valori all'interno della totalità cattolica) è del tutto auspicabile ed è del resto già in atto nella Chiesa. In questo senso si può dire che è chiusa la prima fase dopo il Vaticano II" (1).

Effetti imprevisti

E che per lui, come mi spiega, "la situazione è cambiata, il clima è molto peggiorato rispetto a quello che sorreggeva una euforia i cui frutti stanno davanti a noi, ammonendoci. Il cristiano è tenuto a quel realismo che non è che attenzione completa ai segni del tempo. Per questo escludo che si possa pensare (irrealisticamente) di riprendere la strada come se il Vaticano II non ci fosse mai stato. Molti degli effetti concreti quali li vediamo ora non corrispondono alle intenzioni dei Padri conciliari, ma non possiamo certo dire: "Sarebbe stato meglio che non ci fosse stato". Il card. John Henry Newman, lo storico dei concili, il grande studioso passato dall'anglicanesimo al cattolicesimo, diceva che il concilio è sempre un rischio per la Chiesa, che bisogna dunque convocarlo solo per poche cose e non protrarlo troppo a lungo. È vero che le riforme esigono tempo, pazienza, espongono a dei rischi, ma non è lecito neppure dire: "Non facciamole perché sono pericolose". Credo anzi che il tempo vero del Vaticano II non sia ancora venuto, che la sua ricezione autentica non sia ancora cominciata: i suoi documenti sono stati subito sepolti da un cumulo di pubblicazioni spesso superficiali o francamente inesatte. La rilettura della lettera dei documenti potrà farci riscoprire il loro vero spirito. Se riscoperti così nella loro verità, quei grandi testi potranno permetterci di capire ciò che è successo e di reagire con nuovo vigore. Lo ripeto: il cattolico che con lucidità, e dunque con sofferenza, vede i guasti prodotti nella sua Chiesa dalle deformazioni del Vaticano II, in quello stesso Vaticano II deve trovare la possibilità della ripresa. Il Concilio è suo, non è di coloro che vogliono continuare su una strada i cui esiti sono stati catastrofici; non è di coloro che non a caso non sanno più che farsene del Vaticano II al quale guardano come a un "fossile dell'era clericale"".

È stato osservato, dico, che il Vaticano II è un unicum anche perché è forse il primo Concilio della storia convocato non sotto la spinta di esigenze pressanti, di crisi, ma in un momento che sembrava di tranquillità per la vita ecclesiale. Le crisi sono venute dopo, e non solo nella Chiesa, ma nella società tutta intera. Non crede si possa dire che la Chiesa avrebbe dovuto fronteggiare in ogni caso quelle rivoluzioni culturali ma che, senza il Concilio, la sua struttura sarebbe stata più rigida e i danni avrebbero potuto essere più gravi? La sua struttura postconciliare più flessibile, elastica, non ha forse potuto meglio assorbire l'impatto, pur pagando uno scotto comunque necessario? "impossibile dirlo - risponde -. La storia, soprattutto la storia della Chiesa, che Dio guida attraverso percorsi misteriosi, non si fa con i "se", dobbiamo accettarla così come essa è. In quell'inizio degli anni Sessanta stava per apparire sulla scena la generazione del dopoguerra, quella che non aveva partecipato direttamente alla ricostruzione, che trovava un mondo già ricostruito e cercava dunque altrove motivi di impegno, di rinnovamento. C'era un'atmosfera generale di ottimismo, di fiducia nel progresso. Tutti poi, nella Chiesa, condividevano l'attesa di un'evoluzione tranquilla della sua dottrina. Non bisogna dimenticare che anche il mio predecessore al S. Uffizio, card. Ottaviani, appoggiava il progetto di un Concilio ecumenico. Dopo l'annuncio della sua convocazione, dato da Papa Giovanni, la Curia romana lavorò insieme ai rappresentanti più stimati dell'episcopato mondiale a preparare quegli schemi che poi furono accantonati dai Padri conciliari come "troppo teorici, manualistici e troppo poco pastorali".

Papa Giovanni non aveva messo in conto la possibilità di un rifiuto: si attendeva una votazione rapida e senza difficoltà di questi progetti che egli aveva letti e accolti tutti con favore. È chiaro che nessuno di quei testi voleva cambiare la dottrina; si trattava piuttosto di ripresentarla, al più di giungere a un chiarimento in qualche punto non ancora precisamente definito e in tal modo di svilupparla ulteriormente. Anche il rifiuto di questi testi da parte dei Padri conciliari non riguardava la dottrina come tale, ma piuttosto il modo insufficiente della sua presentazione e certamente anche alcune definizioni che non si erano mai avute fino a quel momento e che anche ora non si ritengono necessarie. Bisogna dunque riconoscere che il Vaticano II sin da subito non prese la piega che Giovanni XXIII prevedeva (si ricordi che Paesi come l'Olanda, la Svizzera, gli Stati Uniti erano vere roccaforti del tradizionalismo e della fedeltà a Roma!). E bisogna anche riconoscere che - almeno sinora - non è stata esaudita la preghiera di Papa Giovanni perché il Concilio significasse per la Chiesa un nuovo balzo in avanti, una vita e un'unità rinnovate".

La speranza dei "movimenti"

Ma, chiedo inquieto, la sua immagine negativa della realtà della Chiesa del dopo Concilio non lascia spazio a qualche elemento positivo?

"Paradossalmente - risponde - è proprio il negativo che può trasformarsi in positivo. Molti cattolici, in questi anni, hanno fatto l'esperienza dell'esodo, hanno vissuto i risultati del conformismo alle ideologie, hanno provato che significhi attendersi dal mondo redenzione, libertà, speranza. Che aspetto avesse una vita senza Dio, un mondo senza Dio, finora lo si era saputo solo in teoria. Ora lo si è constatato nella realtà. È a partire da questo vuoto che noi possiamo nuovamente scoprire la ricchezza della fede, la sua indispensabilità. Per molti, questi anni sono stati come un'ardua purificazione, quasi una via attraverso il fuoco che ha aperto la possibilità nuova di una fede più profonda".

"Non dimenticando mai - continua - che ogni concilio è prima di tutto una riforma dal vertice che deve poi espandersi alla base. Ogni concilio, cioè, per dare davvero frutto, deve essere seguito da un'ondata di santità. Così è stato dopo Trento che proprio grazie a questo raggiunse il suo scopo di vera riforma. La salvezza per la Chiesa viene dal suo interno, ma non è affatto detto che venga dai decreti della gerarchia. Dipenderà da tutti i cattolici, chiamati a dargli vita, se il Vaticano II e i suoi esiti saranno considerati un periodo luminoso per la storia della Chiesa. Come ha ripetuto di frequente Giovanni ,Paolo II: "La Chiesa di oggi non ha bisogno di nuovi riformatori. La Chiesa ha bisogno di nuovi santi"".

Non vede dunque, insisto, altri segni positivi oltre a quelli che vengono dal negativo di questo periodo della storia ecclesiale?

"Certamente ne vedo. Non mi soffermo qui a parlare dello slancio delle giovani chiese (come quella della Corea del Sud) o della vitalità delle chiese perseguitate, perché ciò non può essere ricondotto immediatamente al Vaticano II; così come non possono essere direttamente attribuiti a esso i fenomeni di crisi. Ciò che apre alla speranza a livello di Chiesa universale - e ciò avviene proprio nel cuore della crisi della Chiesa nel mondo occidentale - è il sorgere di nuovi movimenti, che nessuno ha progettato, ma che sono scaturiti spontaneamente dalla vitalità interiore della fede stessa. Si manifesta in essi - per quanto sommessamente - qualcosa come una stagione di pentecoste nella Chiesa".

A che pensa in particolare?

"Mi riferise o al Movimento carismatico, ai Cursillos, al Movimento dei Focolari, alle Comunità neocatecumenali, a Comunione e Liberazione, ecc. Certamente tutti questi movimenti sollevano anche qualche problema; comportano anche, in misura maggiore o minore, dei pericoli. Ma questo accade per ogni realtà vitale. In numero crescente, mi capita ora di incontrare gruppi di giovani, nei quali c'è una cordiale adesione a tutta la fede della Chiesa. Giovani che vogliono vivere pienamente questa fede e che portano in loro un grande slancio missionario. Tutta l'intensa vita di fede presente in questi movimenti non implica una fuga nell'intimismo o un riflusso nel privato, ma semplicemente una piena e integrale cattolicità. La gioia della fede che vi si sperimenta ha in sé qualcosa di contagioso. E qui crescono ora in maniera spontanea nuove vocazioni al sacerdozio ministeriale e alla vita religiosa".

Nessuno ignora però che tra i problemi suscitati da questi nuovi movimenti c'è anche il loro inserimento nella pastorale generale. La sua risposta è pronta: "Ciò che stupisce è che tutto questo fervore non è stato elaborato da alcun ufficio di programmazione pastorale, ma è apparso in qualche modo da solo. Questo dato di fatto ha come conseguenza che gli uffici di programmazione - proprio quando vogliono essere molto "progressisti" - non sanno che cosa fare con loro: essi non rientrano nel loro piano. Così, mentre sorgono tensioni nell'inserimento dei movimenti all'interno delle istituzioni attuali, non vi è assolutamente nessuna tensione con la Chiesa gerarchica come tale".

Un giudizio il suo, dunque, pieno di simpatia. Il cardinale lo conferma: "Emerge qui una nuova generazione della Chiesa, a cui guardo con grande speranza. Trovo meraviglioso che lo Spirito sia ancora una volta più forte dei nostri programmi e valorizzi ben altro da ciò che noi ci eravamo immaginati.

In questo senso il rinnovamento è sommessamente ma efficacemente in cammino. Vecchie forme, che si erano arenate nell'auto-contraddizione e nel gusto della negazione, escono di scena e il nuovo sta già facendosi strada. Naturalmente esso non ha ancora piena voce nel grande dibattito delle idee dominanti. Cresce nel silenzio. Il nostro compito - in quanto incaricati di un ministero nella Chiesa e in quanto teologi - è quello di tenergli aperte le porte di preparargli lo spazio. Infatti le tendenze, che attualmente sono ancora prevalenti, si muovono in tutt'altra direzione. Se si guarda proprio a questa "situazione meteorologica generale" dello Spirito, si deve parlare, come facevamo prima, di una crisi della fede e della Chiesa. Solo se noi ci poniamo davanti ad essa senza pregiudizi, potremo anche superarla".



(1) In molti commenti giornalistici a questa risposta, il termine "restaurazione" non è stato colto con tutte le precisazioni necessarie qui riportate. Pertanto, interpellato da un giornale, il card. Ratzinger dichiarava con una lettera quanto segue:

"Innanzitutto voglio semplicemente ricordare quel che ho detto veramente: non si dà nessun ritorno al passato, una restaurazione così intesa non solo è impossibile, ma non è neppure auspicabile. La Chiesa va avanti verso il compimento della storia, guarda innanzi al Signore che viene. Se però il termine "restaurazione" si intende secondo il suo contenuto semantico, vale a dire come recupero di valori perduti all'interno di una nuova totalità, allora direi che è proprio questo il compito che si impone oggi, nel secondo periodo del post-concilio. Tuttavia la parola "restaurazione" per noi uomini contemporanei è determinata linguisticamente in modo tale che risulta difficile attribuirle questo significato. Essa in realtà vuol letteralmente dire la stessa cosa della parola "riforma", termine quest'ultimo che per noi suona dei tutto diverso.

"Forse posso chiarire la cosa con un esempio tratto dalla storia. Per me Carlo Borromeo è l'espressione classica di una vera riforma, cioè di un rinnovamento che conduce in avanti proprio perché insegna a vivere in modo nuovo i valori permanenti, tenendo presente la totalità del fatto cristiano e la totalità dell'uomo. Si può certo dire che Carlo ha ricostruito ("restaurato") la Chiesa cattolica, la quale anche dalle parti di Milano era ormai pressoché distrutta, senza per questo esser ritornato al medioevo; al contrario egli ha creato una forma moderna di Chiesa. Quanto poco "restauratrice" fosse una tale "riforma" lo si vede ad esempio dal fatto che Carlo soppresse un ordine religioso ormai al tramonto ed assegnò i suoi beni a nuove comunità vive. Chi oggi possiede un coraggio simile, da dichiarare definitivamente appartenente al passato ciò che è interiormente morto (e continua a vivere solo esteriormente) e da affidarlo con chiarezza alle energie del tempo nuovo? Spesso nuovi fenomeni di risveglio cristiano vengono osteggiati proprio da parte di sedicenti riformatori, i quali a loro volta difendono spasmodicamente delle istituzioni che continuano ad esistere ormai solo in contraddizione con se stesse.

"In Carlo Borromeo si può dunque vedere quel che io ho inteso dire con "riforma" o "restaurazione" nel suo significato originario: vivere protesi verso una totalità, vivere di un "sì" che riconduce all'unità le forze reciprocamente in conflitto dell'esistenza umana; un "sì", che conferisce loro un senso positivo all'interno della totalità. In Carlo si può anche vedere qual è il presupposto essenziale per un simile rinnovamento. Carlo poté convincere altri perché lui stesso era un uomo convinto. Poté resistere con la sua certezza in mezzo alle contraddizioni del suo tempo perché egli stesso le viveva. E le poteva vivere perché era cristiano nel più profondo senso della parola, cioè era totalmente centrato su Cristo. Ristabilire questa integrale relazione a Cristo è quel che veramente conta. Di questa relazione integrale a Cristo non si può convincere nessuno solo argomentando; la si può però vivere e attraverso ciò renderla credibile agli altri, invitare gli altri a condividerla".

 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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