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Laici? Europa? termine e radici cristiane, Benedetto XVI l'aveva ben spiegato....

Ultimo Aggiornamento: 11/01/2014 10:50
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11/08/2013 10:37



incontro sul pensiero di papa Benedetto XVI: Le radici dell’Europa, tra cristianesimo e razionalità


L’Europa, non un concetto geografico, ma culturale e storico. I motivi dei suoi cambiamenti “geografici” nel tempo

L’Europa. Che cos’è davvero l’Europa? Questa domanda è stata riproposta dal cardinale Józef Glemp in uno dei circoli linguistici del Sinodo Episcopale sull’Europa. Dove comincia, dove finisce l’Europa? Perché ad esempio la Siberia non appartiene all’Europa, sebbene sia abitata anche da europei, la cui modalità di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea? E dove si perdono i confini dell’Europa nel sud della comunità di popoli della Russia? Dove corre il suo confine nell’Atlantico? Quali isole sono Europa e quali invece non lo sono, e perché non lo sono? In questi incontro divenne perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l’Europa non è un continente definibile in termini soltanto geografici, ma è invece un concetto culturale e storico.

Questo risulta in modo assai evidente se tentiamo di risalire alle origini dell’Europa. Chi parla dell’origine dell’Europa rinvia tradizionalmente a Erodoto (ca. 484-425 a.C.), il quale certamente è il primo a designare l’Europa come concetto geografico e la definisce così: “I persiani considerano come cosa di loro proprietà l’Asia e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono che l’Europa e il mondo greco siano un paese a parte”. I confini dell’Europa non vengono indicati, ma è chiaro che terre che sono il nucleo dell’Europa odierna giacevano completamente al di fuori del campo visivo dell’antico storico. Di fatto, con la formazione degli stati ellenistici e dell’Impero Romano si era costituito un “continente” che divenne la base della successiva Europa, ma che esibiva tutt’altri confini: erano le terre affacciate al Mediterraneo, le quali, in virtù dei loro legami culturali, dei traffici e dei commerci, del comune sistema politico, formavano le une insieme alle altre un vero e proprio continente. Solo l’avanzata trionfale dell’islam nel VII e all’inizio dell’VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò che fino ad allora era stato un continente si suddivideva adesso in tre continenti: Asia, Africa, Europa.

In Oriente la trasformazione del mondo antico si compì più lentamente che in Occidente: l’Impero Romano, con Costantinopoli come punto centrale, resistette laggiù – anche se sempre più spinto ai margini – fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo, attorno all’anno 700, è completamente caduta fuori di quello che era stato per secoli un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una progressiva estensione verso il nord. Il limes, che era un confine continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio storico, che ora abbraccia la Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleo, e si protende in maniera crescente verso la Scandinavia. In questo processo di spostamento dei confini la continuità ideale con il precedente continente mediterraneo, diversamente situato, venne garantita dalla costruzione di una teologia della storia: in conformità con il libro di Daniele, si considerava l’Impero Romano rinnovato e trasformato dalla fede cristiana come l’ultimo regno della storia del mondo e perciò la compagine emergente di popoli e di stati si definiva come il permanente Sacrum Imperium Romanum.

Questo processo di una nuova identificazione storica e culturale è stato compiuto in maniera del tutto consapevole sotto il regno di Carlo Magno, e qui riemerge anche l’antico nome di Europa in un significato mutato: il nome venne impiegato addirittura come definizione del regno di Carlo Magno ed esprimeva la coscienza della continuità e insieme della novità con cui la nuova compagine di stati si presentava come forza carica di futuro. Carica di futuro proprio perché si concepiva in continuità con la storia del mondo fino ad allora ancorata in ciò che permane sempre.
Nella coscienza di sé che andava così formandosi è espressa la consapevolezza tanto della definitività quanto di una missione. E’ vero che il concetto di Europa è pressoché di nuovo scomparso dopo la fine del regno carolingio e si è conservato solamente nel linguaggio dei dotti; entra nel linguaggio popolare solo all’inizio dell’epoca moderna – certo in relazione al pericolo dei turchi, come modalità di autoidentificazione - per imporsi in generale nel XVIII secolo. Al di là della storia del nome, il costituirsi del regno dei franchi come Impero Romano, mai del tutto tramontato e ora rifondato, è di fatto il passo decisivo verso l’Europa quale oggi la intendiamo.

Peraltro non possiamo dimenticare che c’è anche un secondo ceppo dell’Europa, un’Europa non occidentale: a Bisanzio, l’Impero Romano aveva resistito alle tempeste delle migrazioni e dell’invasione islamica. Bisanzio si considerava la vera Roma; qui l’Impero non era mai tramontato e continuava ad avanzare una rivendicazione nei confronti dell’altra metà, quella occidentale, dell’Impero. Anche l’Impero Romano d’Oriente si è esteso verso il nord, fin dentro il mondo slavo, e si è creato un proprio mondo, greco-romano, che si differenzia dall’Europa latina dell’Occidente introducendo varianti nella liturgia e nella costituzione ecclesiastica, adoperando una diversa scrittura e rinunciando al latino come lingua comune. Ma ci sono anche sufficienti elementi unificanti, che possono fare dei due mondi un unico comune continente: in primo luogo l’eredità della Bibbia e della Chiesa antica, la quale in entrambi i mondi rinvia oltre se stessa verso un’origine che ora giace al di fuori dell’Europa, e cioè in Palestina; inoltre l’idea di Impero e dell’essenza della Chiesa e quindi anche del diritto e degli strumenti giuridici; infine, io menzionerei anche il monachesimo, che nei grandi sommovimenti della storia è rimasto l’insostituibile portatore non solo della continuità culturale, bensì soprattutto dei fondamentali valori religiosi e morali, degli orientamenti ultimi dell’uomo e, in quanto forza prepolitica e sovrapolitica, divenne portatore delle sempre necessarie rinascite.

Tra le due Europe, accanto alla comune eredità ecclesiale, permane tuttavia una profonda differenza, alla cui importanza ha accennato specialmente Endre von Ivanka: a Bisanzio, Impero e Chiesa appaiono quasi identificati l’uno con l’altro; l’imperatore è capo anche della Chiesa. Egli si considera rappresentante di Cristo e, sulla scia di Melchisedek, che era al tempo stesso re e sacerdote (Gen 14,18), porta dal VI secolo il titolo ufficiale di “re e sacerdote”. Dal momento in cui con Costantino l’imperatore lasciò Roma, nell’antica capitale dell’Impero poté svilupparsi la posizione autonoma del vescovo di Roma come successore di Pietro e pastore supremo della Chiesa; qui, già dall’inizio dell’era costantiniana, viene affermandosi una dualità di potestà: imperatore e papa hanno potestà separate, nessuno dispone di una potestà totale. Il papa Gelasio I (492-496) ha espresso la sua visione dell’Occidente nella famosa lettera all’imperatore bizantino Anastasio I e, ancora più chiaramente, nel suo quarto trattato, dove a proposito del modello bizantino di Melchisedek dichiara che l’unità delle potestà sta esclusivamente in Cristo: “Questi infatti, a causa della debolezza umana (superbia!), ha separato per i tempi successivi i due ministeri, affinché nessuno si insuperbisca” (c.11).
Per le cose della vita eterna, gli imperatori cristiani hanno bisogno dei sacerdoti (pontifices), e questi a loro volta si attengono, per il corso temporale delle cose, alle disposizioni imperiali. I sacerdoti devono seguire nelle cose mondane le leggi dell’imperatore insediato per decreto divino, mentre questi deve sottomettersi nelle cose divine al sacerdote. Con ciò è introdotta una separazione e distinzione delle potestà, la quale divenne di massima importanza per il successivo sviluppo dell’Europa ponendo le basi dei caratteri distintivi dell’Occidente. Poiché da ambo le parti, accanto a tali delimitazioni, rimase sempre vivo l’impulso alla totalità, la brama di imporre all’altro il proprio potere, il principio di separazione è divenuto anche sorgente di infinite sofferenze. Come debba essere vissuto correttamente, e concretizzato politicamente e religiosamente, rimane un problema fondamentale anche per l’Europa di oggi e di domani.

(da Marcello Pera-Joseph Ratzinger, Senza radici, Mondadori, Milano, 2004)



Ma la divisione storica delle Chiese è una ferita sempre aperta. Confessando, nella basilica di San Pietro di Roma, il 17 marzo 1926, il Credo cattolico, Ivanov aveva coscienza, come scrisse a Charles du Bos, di “sentirmi per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro, che era mio dal battesimo, e il cui godimento non era stato da anni libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico, che con un solo polmone” (V.Ivanov, Lettre à Charles Du Bos, 1930, dans V.Ivanov et M.Gerschenson, Correspondance d’un coin à l’autre, Lausanne, Ed. L’âge d’homme, 1979, p. 90). È la stessa cosa che dicevo anch’io a Parigi ai rappresentanti delle comunità cristiane non cattoliche, il 31 maggio 1980, ricordando la mia visita fraterna al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: “Non si può respirare come cristiani, direi di più, come cattolici, con un solo polmone; bisogna aver due polmoni, cioè quello orientale e quello occidentale” (Vjaceslav Ivanov poeta, filosofo e filologo russo).
(dall’Allocutio Lutetiae Parisiorum ad Christianos fratres a Sede Apostolica seiunctos habita, 31 maggio 1980: AAS 72 [1980] 704
di Giovanni Paolo II)




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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