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Udienze del Mercoledì Anno 2005

Ultimo Aggiornamento: 23/04/2013 11:40
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23/04/2013 11:34

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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 18 maggio 2005

18 maggio 2005, Salmo 112: Lodate il nome del Signore
[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

 

Salmo 112
Lodate il nome del Signore
Primi Vespri - Domenica 3a settimana

Cari Fratelli e Sorelle,

prima di introdurci in una breve interpretazione del Salmo ora cantato, vorrei ricordare che oggi è il genetliaco del nostro amato Papa Giovanni Paolo II. Avrebbe compiuto 85 anni e siamo sicuri che dall'Alto ci vede ed è con noi. In questa occasione vogliamo dire al Signore un grande grazie per il dono di questo Papa e vogliamo dire grazie al Papa stesso per tutto quello che ha fatto e sofferto.

1. È risuonato ora nella sua semplicità e bellezza il Salmo 112, vero portale d’ingresso a una piccola raccolta di Salmi che va dal 112 al 117, convenzionalmente chiamata «l’Hallel egiziano». È l’alleluia, ossia il canto di lode, che esalta la liberazione dalla schiavitù del faraone e la gioia di Israele nel servire il Signore in libertà nella terra promessa (cfr Sal 113).

Non per nulla la tradizione giudaica aveva connesso questa serie di Salmi alla liturgia pasquale. La celebrazione di quell’evento, secondo le sue dimensioni storico-sociali e soprattutto spirituali, era sentita come segno della liberazione dal male nella molteplicità delle sue manifestazioni.

Il Salmo 112 è un breve inno che nell’originale ebraico consta solo di una sessantina di parole, tutte attraversate da sentimenti di fiducia, di lode, di gioia.

2. La prima strofa (cfr Sal 112,1-3) esalta «il nome del Signore» che - come è noto - nel linguaggio biblico indica la persona stessa di Dio, la sua presenza viva e operante nella storia umana.

Per tre volte, con insistenza appassionata, risuona «il nome del Signore» al centro della preghiera di adorazione. Tutto l’essere e tutto il tempo - «dal sorgere del sole al suo tramonto», dice il Salmista (v. 3) - è coinvolto in un’unica azione di grazie. È come se un respiro incessante salisse dalla terra al cielo per esaltare il Signore, Creatore del cosmo e Re della storia.

3. Proprio attraverso questo movimento verso l’alto, il Salmo ci conduce al mistero divino. La seconda parte (cfr vv. 4-6) infatti, celebra la trascendenza del Signore, descritta con immagini verticali che superano il semplice orizzonte umano. Si proclama: il Signore è «eccelso», «siede nell’alto», e nessuno può stargli alla pari; anche per guardare i cieli deve «chinarsi», perché «più alta dei cieli è la sua gloria» (v. 4).

Lo sguardo divino si dirige su tutta la realtà, sugli esseri terreni e su quelli celesti. Tuttavia i suoi occhi non sono altezzosi e distaccati, come quelli di un freddo imperatore. Il Signore - dice il Salmista - «si china a guardare» (v. 6).

4. Si passa, così, all’ultimo movimento del Salmo (cfr vv. 7-9), che sposta l’attenzione dalle altezze celesti al nostro orizzonte terreno. Il Signore si abbassa con premura verso la nostra piccolezza e indigenza che ci spingerebbe a ritrarci timorosi. Egli punta direttamente col suo sguardo amoroso e col suo impegno efficace verso gli ultimi e i miseri del mondo: «Solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero» (v. 7).

Dio si china, quindi, sui bisognosi e sofferenti per consolarli. Al povero egli conferisce il più grande onore, quello di «sedere tra i principi»; sì, «tra i principi del suo popolo» (v. 8). Alla donna sola e sterile, umiliata dalla antica società come se fosse un ramo secco e inutile, Dio dà l’onore e la grande gioia di avere parecchi figli (cfr v. 9). Il Salmista, quindi, loda un Dio ben diverso da noi nella sua grandezza, ma insieme molto vicino alle sue creature che soffrono.

È facile intuire in questi versetti finali del Salmo 112 la prefigurazione delle parole di Maria nel Magnificat, il cantico delle scelte di Dio che «guarda all’umiltà della sua serva». Più radicale del nostro Salmo, Maria proclama che Dio «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili» (cfr Lc 1,48.52; cfr Sal 112,6-8).

5. Un «Inno vespertino» molto antico, conservato nelle cosiddette Costituzioni degli Apostoli (VII,48), riprende e sviluppa l’avvio gioioso del nostro Salmo. Lo ricordiamo qui, al termine della nostra riflessione, per porre in luce la rilettura «cristiana» che la comunità degli inizi faceva dei Salmi: «Lodate, fanciulli, il Signore, / lodate il nome del Signore. / Ti lodiamo, ti cantiamo, ti benediciamo / per la tua gloria immensa. / Signore re, Padre di Cristo agnello immacolato, / che toglie il peccato del mondo. / A te si addice la lode, a te l’inno, a te la gloria, / a Dio Padre per tramite del Figlio nello Spirito Santo / nei secoli dei secoli. Amen» (S. Pricoco - M. Simonetti, La preghiera dei cristiani, Milano 2000, p. 97).



Saluto in lingua polacca:

Dzisiaj przypada dzień urodzin Jana Pawła II, niezapomnianego Papieża, który pozostaje w sercach wszystkich. Obecnym tu Polakom życzę wszelkiego dobra w Chrystusie. Niech Bóg wam błogosławi.

Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Oggi sarebbe stato il compleanno di Giovanni Paolo II, l’indimenticabile Pontefice che è nel cuore di tutti. Auguro ai Polacchi qui presenti ogni bene nel Signore. Dio vi benedica.

 

***

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i pellegrini di lingua italiana. In particolare, ai sacerdoti dell’Arcidiocesi di Trento, ai Monaci formatori dei Monasteri Trappisti, e alla delegazione del Pellegrinaggio militare italiano a Lourdes, guidata dall’Ordinario militare Mons. Angelo Bagnasco.

Si compie oggi in Abruzzo un atto quanto mai significativo, al quale spiritualmente mi unisco. Viene intitolata una cima del Gran Sasso d’Italia all’indimenticabile Papa Giovanni Paolo II, che ha amato e più volte visitato queste splendide montagne. Saluto e ringrazio i promotori di tale lodevole iniziativa ed auspico che quanti sosteranno presso questa vetta siano spinti ad elevare lo spirito a Dio, la cui bontà risplende nella bellezza del Creato.

Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli, esortando tutti ad approfondire la pia pratica del santo Rosario, specialmente in questo mese di maggio dedicato alla Madre di Dio.

Il Rosario è preghiera evangelica, che ci aiuta a meglio comprendere i fondamentali misteri della storia della salvezza.  

Concludiamo il nostro incontro, cantando la preghiera del Pater noster.


[SM=g27998]

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 25 maggio 2005

25 maggio 2005, Salmo 115: Rendimento di grazie nel tempio
[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

 

 

Salmo 115
Rendimento di grazie nel tempio
Primi Vespri - Domenica 3a settimana

1. Il Salmo 115 col quale abbiamo ora pregato è stato sempre in uso nella tradizione cristiana, a partire da san Paolo che, citandone l’avvio nella traduzione greca della Settanta, così scrive ai cristiani di Corinto: «Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo» (2Cor 4,13).

L’Apostolo si sente in spirituale accordo col Salmista nella serena fiducia e nella sincera testimonianza, nonostante le sofferenze e debolezze umane. Scrivendo ai Romani, Paolo riprenderà il v. 2 del Salmo e delineerà un contrasto tra il Dio fedele e l’uomo incoerente: «Resti fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore» (Rm 3,4).

La tradizione successiva trasformerà questo canto in una celebrazione del martirio (cfr Origene, Esortazione al martirio, 18: Testi di Spiritualità, Milano 1985, pp. 127-129) a causa dell’affermazione della «morte preziosa dei fedeli» (cfr Sal 115,15). Oppure ne farà un testo eucaristico in considerazione del riferimento al «calice della salvezza» che il Salmista eleva invocando il nome del Signore (cfr v. 13). Questo calice è identificato dalla tradizione cristiana col «calice della benedizione» (cfr 1Cor 10,16), col «calice della nuova alleanza» (cfr 1Cor 11,25; Lc 22,20): sono espressioni che nel Nuovo Testamento rimandano appunto all’Eucaristia.

2. Il Salmo 115 nell’originale ebraico costituisce un’unica composizione col Salmo precedente, il 114. Ambedue costituiscono un ringraziamento unitario, rivolto al Signore che libera dall’incubo della morte.

Nel nostro testo affiora la memoria di un passato angoscioso: l’orante ha tenuta alta la fiaccola della fede, anche quando sulle sue labbra affiorava l’amarezza della disperazione e dell’infelicità (cfr Sal 115,10). Attorno, infatti, si levava come una cortina gelida di odio e di inganno, perché il prossimo si manifestava falso e infedele (cfr v. 11). La supplica, però, ora si trasforma in gratitudine perché il Signore ha sollevato il suo fedele dal gorgo oscuro della menzogna (cfr v. 12).

L’orante si dispone, perciò, ad offrire un sacrificio di ringraziamento, nel quale si berrà al calice rituale, la coppa della libagione sacra che è segno di riconoscenza per la liberazione (cfr v. 13). È quindi la Liturgia la sede privilegiata in cui innalzare la lode grata al Dio salvatore.

3. Infatti si fa cenno esplicito, oltre che al rito sacrificale, anche all’assemblea di «tutto il popolo», davanti al quale l’orante scioglie il voto e testimonia la propria fede (cfr v. 14). Sarà in questa circostanza che egli renderà pubblico il suo ringraziamento, ben sapendo che, anche quando incombe la morte, il Signore è chino su di lui con amore. Dio non è indifferente al dramma della sua creatura, ma spezza le sue catene (cfr v. 16).

L’orante salvato dalla morte si sente «servo» del Signore, «figlio della sua ancella» (ibidem), una bella espressione orientale per indicare chi è nato nella stessa casa del padrone. Il Salmista professa umilmente e con gioia la sua appartenenza alla casa di Dio, alla famiglia delle creature unite a lui nell’amore e nella fedeltà.

4. Il Salmo, sempre attraverso le parole dell’orante, finisce evocando di nuovo il rito di ringraziamento che sarà celebrato nella cornice del tempio (cfr vv. 17-19). La sua preghiera si collocherà così in ambito comunitario. La sua vicenda personale è narrata perché sia per tutti di stimolo a credere e ad amare il Signore. Sullo sfondo, pertanto, possiamo scorgere l’intero popolo di Dio mentre ringrazia il Signore della vita, il quale non abbandona il giusto nel grembo oscuro del dolore e della morte, ma lo guida alla speranza e alla vita.

5. Concludiamo la nostra riflessione affidandoci alle parole di san Basilio Magno che, nell’Omelia sul Salmo 115, così commenta la domanda e la risposta presenti nel Salmo: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza. Il Salmista ha compreso i moltissimi doni ricevuti da Dio: dal non essere è stato condotto all’essere, è stato plasmato dalla terra e dotato di ragione… ha poi scorto l’economia di salvezza a favore del genere umano, riconoscendo che il Signore ha dato se stesso in redenzione al posto di tutti noi; e rimane incerto, cercando fra tutte le cose che gli appartengono, quale dono possa mai trovare che sia degno del Signore. Che cosa dunque renderò al Signore? Non sacrifici, né olocausti… ma tutta la mia stessa vita. Per questo dice: Alzerò il calice della salvezza, chiamando calice il patire nel combattimento spirituale, il resistere al peccato sino alla morte. Ciò che, del resto, insegnò il nostro Salvatore nel Vangelo: Padre, se è possibile, passi da me questo calice; e di nuovo ai discepoli: potete bere il calice che io berrò?, significando chiaramente la morte che accoglieva per la salvezza del mondo» (PG XXX, 109).



* * *

Saluto ora i pellegrini di lingua italiana. In particolare, rivolgo un cordiale e grato pensiero alle Suore di Maria Bambina, impegnate nel loro Capitolo generale, durante il quale stanno riflettendo su come la loro Famiglia religiosa debba proseguire il proprio cammino apostolico, percorrendo fedelmente le orme delle Fondatrici. Care Sorelle, la Vergine Santa renda fruttuoso ogni vostro sforzo spirituale. Il Papa vi è vicino e vi accompagna con la preghiera.

Saluto poi l’Ordine Antoniano Maronita e le Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento, anch’essi intenti nella celebrazione dei loro rispettivi Capitoli generali. Su ciascuno e su tutti invoco i doni dello Spirito.

Saluto inoltre il folto gruppo di alunni del Liceo scientifico di Castellamare di Stabia, i fedeli della parrocchia di S. Giacomo in Barletta e quelli della parrocchia Santi Martiri dell’Uganda in Roma. Ringrazio tutti per la gradita presenza e auspico che questo incontro susciti in ciascuno rinnovati propositi di testimonianza cristiana.

Mi rivolgo, infine, a voi cari giovani, cari ammalati, cari sposi novelli, augurandovi di servire Dio nella gioia e di amare il prossimo con spirito evangelico.

* * *

Alle ore 19,00 di domani, solennità del Corpus Domini, sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano presiederò la Messa, cui seguirà la tradizionale processione fino a Santa Maria Maggiore. Invito tutti a partecipare numerosi a tale celebrazione, per esprimere insieme la fede in Cristo, presente nell’Eucarestia.


[SM=g27998]

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 1° giugno 2005

1° giugno 2005, Lettera ai Filippesi 2, 6-11: Cristo servo di Dio
[Croato, Francese, Inglese, Italiano, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]

 

Cantico cfr Fil 2, 6-11
Cristo servo di Dio

Primi Vespri della Domenica della 3a Settimana

1. In ogni celebrazione domenicale dei Vespri la liturgia ci ripropone il breve ma denso inno cristologico della Lettera ai Filippesi (cfr 2,6-11). È l’inno ora risuonato che consideriamo nella sua prima parte (cfr vv. 6-8), ove si delinea la paradossale «spogliazione» del Verbo divino, che depone la sua gloria e assume la condizione umana.

Cristo incarnato e umiliato nella morte più infame, quella della crocifissione, è proposto come un modello vitale per il cristiano. Questi, infatti, - come si afferma nel contesto - deve avere «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (v. 5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità.

2. Egli, certo, possiede la natura divina con tutte le sue prerogative. Ma questa realtà trascendente non è interpretata e vissuta all’insegna del potere, della grandezza, del dominio. Cristo non usa il suo essere pari a Dio, la sua dignità gloriosa e la sua potenza come strumento di trionfo, segno di distanza, espressione di schiacciante supremazia (cfr v. 6). Anzi, egli «spogliò», svuotò se stesso, immergendosi senza riserve nella misera e debole condizione umana. La «forma» (morphe) divina si nasconde in Cristo sotto la «forma» (morphe) umana, ossia sotto la nostra realtà segnata dalla sofferenza, dalla povertà, dal limite e dalla morte (cfr v. 7).

Non si tratta quindi di un semplice rivestimento, di un’apparenza mutevole, come si riteneva accadesse alle divinità della cultura greco-romana: quella di Cristo è la realtà divina in un’esperienza autenticamente umana. Egli è veramente il «Dio-con-noi», che non si accontenta di guardarci con occhio benigno dal trono della sua gloria, ma si immerge personalmente nella storia umana, divenendo «carne», ossia realtà fragile, condizionata dal tempo e dallo spazio (cfr Gv 1,14).

3. Questa condivisione radicale della condizione umana, escluso il peccato (cfr Eb 4,15), conduce Gesù fino a quella frontiera che è il segno della nostra finitezza e caducità, la morte. Questa non è, però, frutto di un meccanismo oscuro o di una cieca fatalità: essa nasce dalla scelta di obbedienza al disegno di salvezza del Padre (cfr Fil 2,8).

L’Apostolo aggiunge che la morte a cui Gesù va incontro è quella di croce, ossia la più degradante, volendo così essere veramente fratello di ogni uomo e di ogni donna, costretti a una fine atroce e ignominiosa.

Ma proprio nella sua passione e morte Cristo testimonia la sua adesione libera e cosciente al volere del Padre, come si legge nella Lettera agli Ebrei: «Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8).

Fermiamoci qui nella nostra riflessione sulla prima parte dell’inno cristologico, concentrato sull’incarnazione e sulla passione redentrice. Avremo occasione in seguito di approfondire l’itinerario successivo, quello pasquale, che conduce dalla croce alla gloria.

4. Concludiamo la nostra riflessione con un grande testimone della tradizione orientale, Teodoreto che fu Vescovo di Ciro, in Siria, nel V secolo: «L’incarnazione del nostro Salvatore rappresenta il più alto compimento della sollecitudine divina per gli uomini. Infatti né il cielo né la terra né il mare né l’aria né il sole né la luna né gli astri né tutto l’universo visibile e invisibile, creato dalla sua sola parola o piuttosto portato alla luce dalla sua parola conformemente alla sua volontà, indicano la sua incommensurabile bontà quanto il fatto che il Figlio unigenito di Dio, colui che sussisteva in natura di Dio (cfr Fil 2,6), riflesso della sua gloria, impronta della sua sostanza (cfr Eb 1,3), che era in principio, era presso Dio ed era Dio, attraverso cui sono state fatte tutte le cose (cfr Gv 1,1-3), dopo aver assunto la natura di servo, apparve in forma di uomo, per la sua figura umana fu considerato come uomo, fu visto sulla terra, con gli uomini ebbe rapporti, si caricò delle nostre infermità e prese su di sé le nostre malattie» (Discorsi sulla provvidenza divina, 10: Collana di testi patristici, LXXV, Roma 1988, pp. 250-251).

Teodoreto di Ciro prosegue la sua riflessione, mettendo in luce proprio lo stretto legame sottolineato dall’inno della Lettera ai Filippesi fra l’incarnazione di Gesù e la redenzione degli uomini. «Il Creatore con saggezza e giustizia lavorò per la nostra salvezza. Poiché egli non ha voluto né servirsi soltanto della sua potenza per elargirci il dono della libertà né armare unicamente la misericordia contro colui che ha assoggettato il genere umano, affinché quegli non accusasse la misericordia d’ingiustizia, bensì ha escogitato una via carica di amore per gli uomini e al contempo adorna di giustizia. Egli infatti, dopo aver unito a sé la natura dell’uomo ormai vinta, la conduce alla lotta e la dispone a riparare alla sconfitta, a sbaragliare colui che un tempo aveva iniquamente riportato la vittoria, a liberarsi dalla tirannide di chi l’aveva crudelmente fatta schiava e a recuperare la primitiva libertà» (ibidem, pp. 251-252).

 



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi qui presenti. Iniziamo il mese dedicato alla preghiera al Sacro Cuore di Gesù. Questa preghiera faccia crescere la fede, la speranza e la carità nelle vostre famiglie. Il Sacro Cuore di Gesù vi benedica.

* * *

Rivolgo un cordiale pensiero ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Cagliari, accompagnati dal loro Pastore Mons. Giuseppe Mani, come pure i rappresentanti dell’Associazione Scautistica Cattolica Italiana. Cari amici, nel ringraziarvi per questa vostra visita, auguro a tutti di impegnarsi generosamente nel testimoniare Cristo e il suo Vangelo.

Saluto ora i giovani, i malati e gli sposi novelli. Iniziamo proprio oggi il mese di giugno, dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Soffermiamoci spesso a contemplare questo profondo mistero dell'Amore divino.

Voi, cari giovani, alla scuola del Cuore di Cristo imparate ad assumere con serietà le responsabilità che vi attendono. Voi, cari malati, trovate in questa sorgente infinita di misericordia il coraggio e la pazienza per compiere la volontà di Dio in ogni situazione. E voi, cari sposi novelli, restate fedeli all’amore di Dio e testimoniatelo con il vostro amore coniugale.

[SM=g27998]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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