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Trasmissione della fede e fonti della fede - di J.Ratzinger 1983

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2013 12:18
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16/04/2013 12:18

 
  La nostra Fede in Dio Creatore e nella creazione

Il primo punto è quello della nostra fede in Dio creatore e nella creazione, come elementi del simbolo di fede della Chiesa. Di tanto in tanto compare il timore che una troppo forte insistenza su tale aspetto della fede possa compromettere la cristologia (questo timore è ricordato dalla Conferenza Episcopale Francese, La catéchèse des enfants. Texte de reference. cit., p. 37, che sottolinea, per altro giustamente, "che si può parlare cristianamente di Dio creatore soltanto nella luce di Gesù Cristo risorto"). Considerando qualche presentazione della teologia neoscolastica, questo timore potrebbe sembrare giustificato.

Oggi, tuttavia, è il timore inverso che mi sembra giustificato. La emarginazione della dottrina della creazione riduce la nozione di Dio e, di conseguenza, la cristologia. Il fenomeno religioso non trova, allora, altra spiegazione al di fuori dello spazio psicologico e sociologico; il mondo materiale è confinato nel campo di indagine della fisica e della tecnica. Ora, soltanto se l’essere, ivi compresa la materia, è concepito come uscito dalle mani di Dio e conservato nelle mani di Dio, Dio è anche, realmente, nostro Salvatore e nostra Vita, la vera Vita.

Oggi si tende a evitare la difficoltà dovunque il messaggio della fede ci mette in presenza della materia, e si tende ad attenersi a una prospettiva simbolica: questo comincia con la creazione, continua con la nascita verginale di Gesù e la sua resurrezione, finisce con la presenza reale di Cristo nel pane nel vino consacrati, con la nostra stessa resurrezione e con la parusìa del Signore. Non si tratta di una discussione teologica di poca importanza quando si situa la resurrezione individuale al momento della morte, negando così non soltanto l'anima, ma anche la realtà della salvezza per il corpo (su questa problematica, cfr. J. RATZINGER, La Mort et l’Au-delà Court traile d'esperance chretienne; trad. francese, Fayard, 1979, e il mio articolo Entre la mort et la resurrection, in Revue catholique internationale Communio, V 1980, 3, pp. 4-19, dove sintetizzo e approfondisco tale problema). Per questo un rinnovamento decisivo della fede nella creazione costituisce una condizione necessaria e preliminare alla credibilità e all'approfondimento sia della cristologia che della escatologia.

Il decalogo

Il secondo punto che vorrei sottolineare concerne il decalogo. Fu a causa di una incomprensione fondamentale della critica fatta da Paolo alla Legge che molti sono giunti a pensare che il decalogo, in quanto legge, doveva essere eliminato dalla catechesi e sostituito dalle beatitudini del discorso della Montagna. Si misconosceva così non solo il decalogo, ma anche il discorso della Montagna, come pure tutta la struttura interna della Bibbia. Paolo, al contrario, ha caratterizzato il passaggio dalla Legge al Nuovo Testamento dicendo che "pieno compimento della Legge è l'amore", e per spiegare questo compimento si è espressamente riferito al decalogo (Rom. 13,8-10; cfr. Lev. 19,8; Es. 20,13 ss.; Deut. 5,17. Cfr. anche H. GESE, Zur biblischen Theologie. cit.).

Dove il decalogo è espulso dalla catechesi, viene intaccata la struttura fondamentale di essa. Non vi e più, allora, alcuna introduzione reale alla fede della Chiesa (è merito del testo di riferimento della Conferenza Episcopale Francese avere situato con esattezza l’attualità del decalogo - La catéchèse des enfants. Texte de reference, cit., p. 59 -; così pure è in rapporto con il nostro discorso quanta e detto della catechesi come "processo strutturato sacramentalmente", ibid.. p. 57).

c. La struttura formale della catechesi

Vorrei terminare le mie rif1essioni con due osservazioni sui problemi teologici essenziali, che sono stati oggetto della nostra considerazione nella prima parte della esposizione.

Rapporti tra esegesi dogmatica ed esegesi storica

La prima riflessione concerne i rapporti della esegesi dogmatica con la esegesi storica. All'origine del ritorno alla Scrittura che fu in pari tempo un abbandono della catechesi dogmatica tradizionale, vi era la paura che il legame con il dogma non lasciasse vera libertà a una lettura comprensiva della Bibbia. Il modo con il quale la tradizione dogmatica aveva effettivamente praticato la esegesi scritturale giustificava ampiamente, infatti, questo timore. Ma oggi constatiamo che solo il contesto della tradizione ecclesiale mette il catechista in condizione di attenersi a tutta la Bibbia e alla vera Bibbia.

Oggi vediamo che solo nel contesto della fede comunitaria della Chiesa si può prendere la Bibbia alla lettera, ritenere ciò che essa dice come realtà attuale, tanto per il nostro mondo di oggi che per la sua storia. Questa circostanza legittima l'interpretazione dogmatica della Bibbia anche da un punta di vista storico: il luogo ermeneutico costituito dalla Chiesa è il solo che possa fare accettare gli scritti della Bibbia come Sacra Scrittura, e le loro dichiarazioni come significative e vere. Vi sarà, nondimeno, sempre una certa tensione tra i nuovi problemi della storia e la continuità della fede. Ma, nello stesso tempo, ci sembra chiaro che la fede tradizionale non costituisce il nemico, bensì il garante di una fedeltà alla Bibbia che sia conforme ai metodi della storia.

Rapporto tra metodo e contenuto della catechesi

La seconda e ultima riflessione ci fa tornare al problema dei rapporti tra metodo e contenuto della catechesi. Il lettore di oggi può stupirsi che il Catechismo Romano del secolo XVI abbia avuto una coscienza assai viva del metodo catechetico.

Vi si legge, infatti, che importava enormemente sapere se tale

insegnamento dovesse essere impartito in questa o in quella maniera. Per questo la catechesi doveva essere esattamente adeguata all'età, alle capacita di comprensione, alle abitudini di vita e alla situazione sociale degli uditori, per essere veramente tutto a tutti. Il catechista doveva sapere chi aveva bisogno di latte, chi aveva bisogno di alimenti solidi, al fine di adattare il suo insegnamento alla capacita di ciascuno.

[SM=g28002]  Lo stupefacente per noi è che il Catechismo Romano abbia lasciato al catechista molta più libertà di quanto non faccia generalmente la catechetica attuale.

Infatti, esso lascia all'iniziativa dell'insegnante l’ordine da adottare nella sua catechesi in funzione delle persone e delle circostanze. Esso presuppone anche, è vero, che il catechista viva e faccia sua la materia del suo insegnamento attraverso una meditazione continua e una assimilazione interiore e che - nella scelta del proprio piano - non perda di vista la necessità di ordinarlo in funzione delle quattro componenti principali della catechesi (Catechismo Tridentino, prefazione, n. 13: "Docendi autem ordinem eum adhibebit, qui et personis et temporis accomodatum videbitur" - trad. it. cit., p.30 -; gli altri riferimenti sono alla prefazione, n. 12 - trad. it. cit., pp. 27-28).

+ Il Catechismo Romano non esige certo di prescrivere tale metodo didattico. Esso dice piuttosto: quale che sia l’ordine scelto dal catechista, noi abbiamo scelto per questo libro la via dei Padri (Ibid., n. 13; trad. it. cit., p. 30). In altre parole, mette a disposizione del catechista il dispositivo fondamentale indispensabile, come pure i materiali con cui riempirlo; ma non lo dispensa dal trovare lui stesso quale via sia più appropriata alla sua trasmissione nella tale situazione concreta. Senza alcun dubbio, il Catechismo Romano presupponeva già, così, l'esistenza di una letteratura di secondo grado, grazie alla quale il catechista poteva essere aiutato nel suo compito, senza che si potessero tuttavia programmare anticipatamente tutte le situazioni particolari.

Questa distinzione di livelli è, ai miei occhi, essenziale. Il guaio della nuova catechesi consiste, in definitiva, in questo: ci si è un poco dimenticati di distinguere il "testo" dal suo "commento".

Il "testo", cioè il contenuto propriamente detto di ciò che bisogna annunciare, si diluisce sempre più nel suo commento; ma il commento non ha allora più nulla da commentare, è diventato misura di se stesso, e perde, nello stesso tempo, la sua serietà. Sono dell'avviso che la distinzione fatta dal Catechismo Romano tra il testo di base (il contenuto della fede della Chiesa) e i testi parlati o scritti della sua trasmissione non sia una via possibile tra altre: essa appartiene all'essenza della catechesi (questo ordinamento di livelli appare chiaramente a partire dal secolo II nella struttura di relazioni simbolo - regula fidei - dei trattati catechetici: se il simbolo presenta la parola comune della confessione orante, per contro la regula, che non può essere fissata parola per parola, è una struttura fondamentale dei "capita" del cristianesimo preesistente a ogni maestro, struttura che, a sua volta, è riflessa, concretizzata e applicata alle diverse situazioni nella produzione teologica; per le relazioni tra il simbolo, la regula e la teologia, cfr. H. J. JASCHKE, op. cit., passim, ma, in particolare, le pp. 36-44 e 140-147). Da un lato è al servizio della necessaria libertà del catechista nel trattare le situazioni particolari; dall’altro, essa è indispensabile per garantire la identità del contenuto della fede.

A ciò non si può obiettare che qualunque discorso umano relativo alla fede è già un commento e non più il testo primitivo, perché la Parola di Dio non può mai essere imprigionata nella parole umane. Che la Parola di Dio sia sempre infinitamente più grande di ogni parola umana, più grande anche delle parole ispirate dalla stessa Scrittura, questo non toglie al messaggio della fede il suo volto e i suoi contorni.

Al contrario, questo ci obbliga tanto più alla salvaguardia della nostra fede ecclesiale come un bene comune. Essa dobbiamo sforzarci di spiegare nelle situazioni sempre mutevoli, con parole sempre nuove, al fine di corrispondere così, attraverso il tempo, alla inesauribile ricchezza della Rivelazione. Credo, di conseguenza, che sia necessario distinguere di nuovo con chiarezza i gradi del discorso catechetico, anche nei libri destinati alla catechesi e al catechista. Ciò vuol dire che bisogna avere il coraggio di presentare il catechismo come un catechismo, affinché il commento possa restare un commento e affinché le fonti e la loro trasmissione possano ritrovare il loro rapporto esatto.

Non saprei trovare migliore conclusione alle mie riflessioni delle parole con le quali il Catechismo Tridentino - che ho spesso citato - descrive la catechesi: "L'intera finalità della dottrina e dell'insegnamento deve essere posta nell'amore che non finisce. Poiché si può ben esporre ciò che bisogna credere, sperare o fare: ma, soprattutto, si deve sempre fare apparire l’amore di Cristo, affinché ciascuno comprenda che ogni atto dl virtù perfettamente cristiano non ha altra origine che l'Amore e nessun altro termine che l'Amore" (Catechismo Tridentino, prefazione, n. 10; trad. it. cit., p. 27).

+ Joseph card. Ratzinger
Arcivescovo già di Monaco di Baviera e di Frisinga

Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede



[SM=g27998]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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