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Brevi meditazioni di Benedetto XVI sulla Messa e sulla Liturgia

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2014 14:47
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01/02/2014 14:16




LA CANDELORA spiegata da Ratzinger:

L’incontro del caos e della luce

Nella quotidianità cittadina non ci si accorge quasi più che il 2 febbraio si celebra un’antichissima festa, comune alle Chiese dell’Oriente e dell’Occidente , che una volta aveva da noi una grande importanza nell’anno contadino: la Candelora.
E’ una festa in cui sono confluite diverse correnti storiche, cosicché risplende di vari colori.

L’occasione immediata è il ricordo del fatto che Maria e Giuseppe, il quarantesimo giorno dopo la sua nascita, portarono Gesù al tempio di Gerusalemme per presentare il sacrificio di purificazione prescritto.

Della scena descritta da Luca, la liturgia ha sottolineato soprattutto un aspetto: l’incontro tra Gesù Bambino e il vecchio Simeone; perciò nel mondo greco la festa ha ricevuto il nome di hypapanti, incontro. In questo stare insieme del bambino con l’anziano, la Chiesa vede raffigurato l’incontro tra il mondo pagano che va scomparendo e il nuovo inizio in Cristo, tra il tempo dell’Antica Alleanza che sta per finire e il tempo nuovo della Chiesa dei popoli.
Ciò che qui è espresso è più dell’eterno ciclo di morte e nascita: è più del fatto consolante che al declino di una generazione ne segue sempre un’altra, con nuove idee e speranze. Se così fosse, questo bambino non rappresenterebbe nessuna speranza per Simeone, ma solo per se stesso. Invece è di più: è speranza per tutti, perché è una speranza al di là della morte.

Così tocchiamo il secondo significato fondamentale che la liturgia attribuisce a questo giorno. Essa si riallaccia alle parole di Simeone, che chiama il bambino “luce per illuminare le genti”. Sulla base di queste parole si celebra il giorno liturgico come una festa delle luci. La luce calda delle candele vuol essere l’espressione evidente della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù.
A Roma la processione delle luci ha sostituito un corteo rumoroso e scatenato, il cosiddetto “amburbale”, che dalla paganità si era conservato a lungo nell’era cristiana. Il corteo pagano esprimeva elementi magici: doveva servire per purificare la città e difenderla dalle potenze cattive.

In ricordo di ciò, la processione cristiana si teneva dapprima in vesti nere e poi – fino alla riforma liturgica del Concilio – viola. Così nella processione compariva ancora una volta il simbolismo dell’incontro.

Il grido selvaggio del mondo pagano che chiede purificazione, liberazione, superamento delle potenze oscure si incontra con la “luce per illuminare le genti”, la luce tenue e umile di Gesù Cristo. Il tempo che “sta per finire”, ma che è sempre presente, di un mondo caotico, schiavizzato e schiavizzante, s’ incontra con la forza purificatrice del messaggio cristiano. Questo mi ricorda una frase del drammaturgo Eugene Ionesco, il quale, come esponente del teatro dell’assurdo, aveva levato con chiarezza il grido di un mondo assurdo e, al tempo stesso, aveva compreso sempre più che questo grido è un’invocazione a Dio. “La storia – aveva affermato, è rovina, è caos, se non è rivolta al soprannaturale”.

La processione delle luci, con le vesti scure, l’incontro simbolico che vi si verifica del caos e della luce, dovrebbe ricordarci questa verità e darci il coraggio, nello sforzo di migliorare il mondo, di non considerare il soprannaturale come una perdita di tempo,ma come l’unica via che può dare un senso al caos.

J. Ratzinger da "Le cose di lassù" 1986-2008 - Libreria Editrice Vaticana

CITTA' DEL VATICANO, martedì, 2 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo martedì sera, nella Basilica Vaticana, la celebrazione dei Vespri con i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica.

OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle!

Nella festa della Presentazione di Gesù al Tempio celebriamo un mistero della vita di Cristo, legato al precetto della legge mosaica che prescriveva ai genitori, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, di salire al Tempio di Gerusalemme per offrire il loro figlio al Signore e per la purificazione rituale della madre (cfr Es 13,1-2.11-16; Lv 12,1-8). 

Anche Maria e Giuseppe compiono questo rito, offrendo – secondo la legge – una coppia di tortore o di colombi. Leggendo le cose più in profondità, comprendiamo che in quel momento è Dio stesso a presentare il suo Figlio Unigenito agli uomini, mediante le parole del vecchio Simeone e della profetessa Anna. Simeone, infatti, proclama Gesù come "salvezza" dell’umanità, come "luce" di tutti i popoli e "segno di contraddizione", perché svelerà i pensieri dei cuori (cfr Lc 2,29-35). In Oriente questa festa veniva chiamata Hypapante, festa dell’incontro: infatti, Simeone ed Anna, che incontrano Gesù nel Tempio e riconoscono in Lui il Messia tanto atteso, rappresentano l’umanità che incontra il suo Signore nella Chiesa. Successivamente questa festa si estese anche in Occidente, sviluppando soprattutto il simbolo della luce, e la processione con le candele, che diede origine al termine "Candelora". Con questo segno visibile si vuole significare che la Chiesa incontra nella fede Colui che è "la luce degli uomini" e lo accoglie con tutto lo slancio della sua fede per portare questa "luce" al mondo.

In concomitanza con questa festa liturgica, il Venerabile Giovanni Paolo II, a partire dal 1997, volle che fosse celebrata in tutta la Chiesa una speciale Giornata della Vita Consacrata. Infatti, l’oblazione del Figlio di Dio – simboleggiata dalla sua presentazione al Tempio – è modello per ogni uomo e donna che consacra tutta la propria vita al Signore. 

Triplice è lo scopo di questa Giornata: innanzitutto lodare e ringraziare il Signore per il dono della vita consacrata; in secondo luogo, promuoverne la conoscenza e la stima da parte di tutto il Popolo di Dio; infine, invitare quanti hanno dedicato pienamente la propria vita alla causa del Vangelo a celebrare le meraviglie che il Signore ha operato in loro. Nel ringraziarvi per essere convenuti così numerosi, in questa giornata a voi particolarmente dedicata, desidero salutare con grande affetto ciascuno di voi: religiosi, religiose e persone consacrate, esprimendovi cordiale vicinanza e vivo apprezzamento per il bene che realizzate a servizio del Popolo di Dio.

La breve lettura tratta dalla 
Lettera agli Ebrei, che poco fa è stata proclamata, unisce bene i motivi che stanno all’origine di questa significativa e bella ricorrenza e ci offre alcuni spunti di riflessione. Questo testo – si tratta di due versetti, ma molto densi – apre la seconda parte della Lettera agli Ebrei, introducendo il tema centrale di Cristo sommo sacerdote. Veramente bisognerebbe considerare anche il versetto immediatamente precedente, che dice: "Dunque, poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della fede" (Eb 4,14). Questo versetto mostra Gesù che ascende al Padre; quello successivo lo presenta mentre discende verso gli uomini. Cristo è presentato come il Mediatore: è vero Dio e vero uomo, perciò appartiene realmente al mondo divino e a quello umano.

In realtà, è proprio e solamente a partire da questa fede, da questa professione di fede in Gesù Cristo, il Mediatore unico e definitivo, che nella Chiesa ha senso una vita consacrata, una vita consacrata a Dio mediante Cristo. Ha senso solo se Lui è veramente mediatore tra Dio e noi, altrimenti si tratterebbe solo di una forma di sublimazione o di evasione. 

Se Cristo non fosse veramente Dio, e non fosse, al tempo stesso, pienamente uomo, verrebbe meno il fondamento della vita cristiana in quanto tale, ma, in modo del tutto particolare, verrebbe meno il fondamento di ogni consacrazione cristiana dell’uomo e della donna. 

La vita consacrata, infatti, testimonia ed esprime in modo "forte" proprio il cercarsi reciproco di Dio e dell’uomo, l’amore che li attrae; la persona consacrata, per il fatto stesso di esserci, rappresenta come un "ponte" verso Dio per tutti coloro che la incontrano, un richiamo, un rinvio. E tutto questo in forza della mediazione di Gesù Cristo, il Consacrato del Padre. Il fondamento è Lui! Lui, che ha condiviso la nostra fragilità, perché noi potessimo partecipare della sua natura divina.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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