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L'Enciclica non scritta - di Padre Giovanni Cavalcoli O.P.

Ultimo Aggiornamento: 12/04/2013 00:29
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11/04/2013 19:46




L’ENCICLICA NON SCRITTA - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana


Come sappiamo tutti, Benedetto XVI l’ottobre scorso aveva dato inizio all’Anno della Fede per ravvivare e purificare la fede nel Popolo di Dio, duramente provato appunto nel campo della fede da difficoltà interne ed esterne, dai tempi in cui, come ebbe a dire Paolo VI in una famosa frase, il “fumo di Satana” è entrato nella Chiesa ed al fine di togliere, secondo le ben note parole di Papa Benedetto, la “sporcizia della Chiesa”.


Il motivo più profondo che emerge chiaramente nella dichiarazione con la quale Benedetto XVI ha spiegato i motivi delle sue dimissioni, non è tanto la debolezza della sua salute, sulla quale troppo si è insistito, quanto piuttosto la consapevolezza di non avere le forze sufficienti per affrontare la gravità dei problemi che oggi toccano la fede all’interno della Chiesa. E se ciò è stato detto da uno dei più grandi e noti teologi del nostro tempo, uno dei maggiori protagonisti del Concilio Vaticano II, autore del famosissimo “Rapporto sulla fede”[1], Prefetto per vent’anni della Congregazione per la Dottrina della Fede, possiamo dargli credito.

Ora, se si è arreso un tale campione della fede, un uomo che a suo tempo fu eletto Papa con larghissimi consensi e dopo brevissimo tempo, un simile lottatore della Parola di Dio, abile nella confutazione dell’errore e nell’illustrazione della verità cattolica, mente dalla grande apertura intellettuale, capace di congiungere tradizione e progresso - ricordiamo la sua famosa formula “progresso nella continuità” a proposito di come interpretare le dottrine del Concilio -, se si è arreso un simile gigante, che cosa dobbiamo dedurre?

La risposta non è difficile: che nel corso di questi ultimi anni l’opposizione e la disobbedienza ereticale modernista all’interno della Chiesa è aumentata sino al punto da raggiungere i vertici della Chiesa stessa e da intaccare gli stessi collaboratori del Papa, come è testimoniato per esempio dal gravissimo ed inaudito tradimento perpetrato da Paolo Gabriele, che certamente non è un protagonista, ma una pedina che nasconde agenti ben più importanti e influenti e colpevoli, che ancora devono essere fatti emergere dall’oscurità.

Come è noto, Papa Ratzinger aveva in animo di scrivere un enciclica sulla fede, cosa che certamente ha terrorizzato i modernisti, i quali a questo punto hanno aumentato la loro pressione e le loro insidie contro la S.Sede, fino al punto che è successo quello che è successo e che mai era successo in tutta la storia della Chiesa[2]: un Papa che dà le dimissioni perché non ce la fa più a stimolare gli inerti, a disciplinare i disobbedienti, a persuadere i critici, a domare i ribelli, ad opporsi ai nemici della Chiesa che subdolamente lavorano al suo interno e si trovano tra coloro stessi che maggiormente dovrebbero collaborare col Papa nel dialogo con gli uomini del nostro tempo, nella conservazione, interpretazione, diffusione e difesa della fede e nella lotta contro l’eresia.

Molto probabilmente nell’enciclica progettata il Papa, da par suo, con quella grande larghezza di vedute che lo caratterizza, avrebbe messo in luce sì i valori della fede di oggi, ma anche e forse ancor più, non senza la sua caratteristica bonomia, le difficoltà, le insufficienze, gli equivoci, le deviazioni e i tradimenti con quello sguardo acuto somigliante a quella spada dello Spirito, della quale parla la Lettera agli Ebrei, spada che “divide l’anima dallo spirito e le giunture dalle midolla” (4,12).

Ciò è risultato certamente insopportabile ai modernisti e a certi “collaboratori” dall’astuzia satanica, i quali certamente si sono dati subito un enorme da fare, hanno speso tutte le loro arti per persuadere il Papa a desistere[3]. Benedetto, a questo punto, vistosi bloccato in uno di quegli atti del suo Pontificato ai quali certamente aspirava da tempo e da tempo si era preparato con ogni tatto e prudenza, tipiche del suo carattere e del suo stile, un atto nel quale egli sentiva di dare il meglio di se stesso, ebbene, probabilmente assalito da una generale opposizione se non proprio da velate minacce, come del resto è nello stile dei modernisti, per esempio dei rahneriani, si è visto solo, come Cristo abbandonato da suoi, certo solo con Cristo, ma umanamente solo. E chiaramente un Papa che resta solo, che cosa può fare da un punto di vista umano? A chi comandare? Chi lo obbedisce?

Da qui la drammatica, storica decisione, per la quale Papa Benedetto passerà alla storia, senza che peraltro una tale decisone possa mai, per la sua complessità e per il suo radicarsi nel fondo del suo animo e per lo più dell’animo di un Papa, mostrare mai con chiarezza tutti i suoi motivi, per cui essa è destinata a mantenere per sempre il suo segreto, che darà occasione a discussioni e ricerche che non avranno mai fine, nell’insieme tale decisione suscita un grande rispetto, che si è diffuso dovunque.

Ma diciamo sinceramente che non mancano lati dubbi od oscuri, forse criticabili. Forse qualche giorno sapremo qualcosa da qualcuno degli intimi del Papa, dei suoi veri amici e collaboratori (forse Mons. Geinswein, che abbiamo visto piangere?), che però adesso restano defilati, per timore dei modernisti.

A Papa Benedetto è successo Papa Bergoglio, un nome assolutamente sconosciuto nel campo della grande produzione teologica e dei problemi della fede, imparagonabile alla notorietà ed al prestigio di Ratzinger. Scriverà lui l’enciclica che Papa Benedetto non ha scritto?

Ci sarebbe da sperarlo. Ma per ora non se ne parla. Invece egli è una figura che sembrerebbe enormemente diversa, un Papa che già col significativo nome di Francesco, sembra voler portare l’interesse su temi ben diversi, certo importanti, universalmente sentiti, ma che il minimo che si possa dire è che non toccano direttamente ed esplicitamente i problemi della fede.

E’ ovvio che già Papa Francesco ha cominciato a parlare della fede e come potrebbe non farlo? Ma è altrettanto chiaro, almeno per adesso, che egli ha è portato a far attenzione piuttosto ai grandi temi cari alla teologia sociale[4], tutte cose interessanti ed utili, certamente. Tuttavia, come egli stesso ha dichiarato, egli intende proseguire nella linea di Papa Benedetto.

Così i problemi della fede restano e gravissimi. Anche Papa Francesco non potrà sottrarsi, benchè anch’egli sappia benissimo quanto sono scottanti ed urgenti. Il fatto che Papa Francesco non abbia la fama in campo teologico che ha Ratzinger non vuol dire che non sarà in grado di affrontarli con successo. Anche Papa Sarto, S. Pio X, non era un teologo, eppure, quale gigante della dottrina e della fede, quale lottatore, quale maestro, quale pastore, quale santo!

E’ possibile che Papa Francesco riesca là dove Papa Ratzinger non è riuscito. Infatti la forza che guida i Papi non sono, come è noto, le loro forze umane, di cultura, di prestigio, di notorietà, di savoir faire a livello dell’umano, ma è la forza dello Spirito Santo. Più è potente questo soffio e più grandi, più santi sono i papi, con particolare riferimento all’infallibilità pontificia. E’ ovvio che occorre la loro corrispondenza, ma appunto tale corrispondenza è suscitata dallo stesso Spirito Santo. E’ quell’azione che i teologi tomisti chiamano “premozione fisica”, dove la fisica non è da intendersi nel senso di ciò che è materiale, ma significa: reale, ontologica, effettiva.

Certo il Papa può anche sottrarsi all’azione dello Spirito Santo e allora essa resterà inefficace. Esiste tuttavia un punto dove il Papa non cede, ed è la custodia della fede. Qui il Papa, come sappiamo, è infallibile non certo per una sua forza umana personale, ma grazie al dono dello Spirito Santo. Ed è un’infallibilità che possiede solo lui, ex sese, come dice Pio IX nella famosa definizione dogmatica. Dai cardinali in giù tutti gli altri sono fallibili o sono infallibili solo in unione col Papa.

Per questo il tentativo dei modernisti oggi di conquistare il papato, fallirà, perché sul piano della verità della fede il papato è inattaccabile, non è aggirabile, non è corruttibile, ma anzi è lui che insorge contro l’errore e lo distrugge. Il fatto è che i modernisti scambiano la Chiesa per una qualunque società umana, dove, con opportuni raggiri e manovre, è possibile conquistare la direzione suprema.

Essi pertanto attualmente stanno tentando il colpo con potenti arti seduttrici e grande dispiego di mezzi culturali, politici ed economici, probabilmente con l’aiuto della massoneria e di tutte le forze anticattoliche che restano nell’ombra affinchè il piano non sia scoperto e la gente abbia l’impressione che i modernisti siano semplicemente dei cattolici forse un po’ audaci, ma tutto sommato avanzati e moderni, adatti ai nostri tempi.

Non ci resta dunque che confidare nello Spirito Santo. Starà a Lui portare luce e pulizia nella Chiesa e liberarla dal potere delle tenebre. Attendiamoci con fiducia nella preghiera che lo Spirito Santo guidi Papa Francesco e con lui tutta la Chiesa a lui fedele nell’avanzare verso una fede più luminosa e più forte, sul solco di Papa Benedetto e di tutti i santi Pontefici del passato, correggendo i modernisti ed allargando i confini della Chiesa sino agli estremi limiti della terra.

 


[1] Pubblicato dalle Edizioni Paoline nel 1983. Esso non perde per nulla la sua attualità, anzi oggi è più attuale che mai, perché i problemi che lì sono denunciati si sono ulteriormente aggravati..

[2] I pochissimi casi che si è tentato di evocare sono assolutamente imparagonabili e le circostanze sono totalmente diverse.

[3] Sono pratico di questo ambiente, avendo lavorato in Segreteria di Stato per otto anni ai tempi del Beato Giovanni Paolo II, ma mai allora si pensava che si potesse giungere al punto in cui si è giunti oggi.

[4] Immediatamente dopo l’elezione al soglio di Pietro, Papa Francesco è stato l’oggetto di una sfacciata adulazione nella persona di Leonardo Boff, da parte dei teologi della liberazione a suo tempo condannati da Benedetto XVI quand’era cardinale prefetto della CDF.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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12/04/2013 00:29


FORZA E DEBOLEZZA DEL PAPATO - di P. Giovanni Cavalcoli, OP

da RiscossaCristiana






ccp

Caravaggio - Crocifissione di San Pietro

 

 

Ormai appare sempre più chiaro per chi non vive alla superficie della vita ecclesiale, ma vuole essere all’interno della Chiesa o, come diceva S.Teresa di Gesù Bambino, “nel cuore della Chiesa”, “in medio Ecclesiae”, come si diceva di S.Domenico, soprattutto in questi ultimi decenni, si è affermato un episcopato, che impone un modello di Chiesa ispirato a Rahner (anche se non solo), di marca modernistico-protestante-massonica, Chiesa dal basso, Chiesa popolo di Dio, Chiesa pneumatica senza dogmi e senza gerarchia, Chiesa confusa col mondo e quindi mondanizzata[1], Chiesa “trascendentale” ed “atematica” dei cristiani anonimi.

Si tratta di una Chiesa nella Chiesa, dove questa è quella che è governata dal Papa e dai vescovi fedeli al Papa, sulla linea della Scrittura, della Tradizione, dei Padri, dei Concili, di Agostino, di Tommaso sino alla Chiesa del Concilio Vaticano II[2], che però i rahneriani interpretano a proprio uso e consumo.

Infatti questi vescovi recenti sono stati formati da docenti rahneriani non sufficientemente corretti dai vescovi precedenti, già allora troppo indulgenti verso Rahner. Se dunque nei primi anni del postconcilio avevamo per lo più soltanto teologi rahneriani colpevolmente tollerati dai loro vescovi, adesso abbiamo vescovi rahneriani, che sono gli antichi seminaristi di un tempo formati da insegnanti rahneriani. Una situazione incancrenita e pericolosissima. Rahner è diventato un “classico” quasi fosse un Padre della Chiesa o un nuovo S.Tommaso d’Aquino.

E’ dunque avvenuto un salto di qualità: se ai tempi dei teologi rahneriani, costoro influenzavano solo gli ambienti della scuola, adesso che abbiamo vescovi, prelati e superiori rahneriani,  i rahneriani hanno acquistato un vero e proprio potere, se è vero come è vero che il potere di governo non spetta ai teologi ma ai vescovi.

Succede così in queste condizioni che l’essenziale apporto del Papato, ben lontano dal sostenere Rahner, giunge faticosamente, scarsamente, precariamente e rischiosamente nelle varie aree della Chiesa, come l’aria in una trachea asmatica o come il cuore in un sistema circolatorio affetto dal colesterolo, e quindi giunge solo in alcuni ambienti ristretti della Chiesa, dove il Papa è rispettato ed obbedito ed ha un vero influsso anche disciplinare.

Ma la maggioranza degli ambienti ecclesiali, la formazione del clero, il clima delle parrocchie, la liturgia, i mass-media, gli istituti religiosi, i movimenti laicali, sono sotto controllo dell’episcopato rahneriano, ribelle o quanto meno indifferente al Papa e quindi si è fatto guida di una Chiesa che si è costituita per conto proprio, indipendentemente dal Papa (se non proprio contro il Papa), sulla linea della teologia e dell’ecclesiologia di Rahner e dei rahneriani. Tutto ciò è frutto di malintesa interpretazione ed attuazione dell’autonomia della Chiesa locale, nonché delle conferenze episcopali nazionali e dei sinodi mondiali.

Dove questo episcopato comanda, è molto difficile e rischioso obbedire al Papa, perché questo episcopato richiede assoluta obbedienza ed avendo in mano il potere, può vessare, diffamare e perseguitare quei cattolici[3], giovani, anziani, laici, docenti, religiosi, preti, seminaristi[4], chiunque, i quali volendo essere integralmente fedeli a Roma, in un modo o nell’altro si pongono in rotta di collisione con i vescovi e i superiori modernisti.

Il potere di questi prelati, essendo immediatamente e spazialmente vicino, conta più di quello del Papa, è più temibile di questo. Disobbedire al Papa in molti ambienti non porta a nessuna conseguenza, anzi si ottiene successo e si passa per moderni ed avanzati, ma disobbedire ai prelati modernisti si paga caro e può compromettere o bloccare la stessa carriera o attività ecclesiastica o sacerdotale, per quanto si possa essere teologi o docenti stimati e di lunga esperienza.

In tal modo il Papato con i pochi collaboratori fedeli che gli restano tra i vescovi e tutti i buoni cattolici, è una specie di stato maggiore di un esercito dove però l’esercito si è costituito capi per conto suo, i quali non seguono affatto le direttive dello stato maggiore, ma vanno per conto proprio con una loro politica ecclesiastica, una loro teologia ed una loro pastorale che non riflette la vera concezione cattolica, ma quella concezione ereticale di cui sopra.

E i Papato ha le mani legate, non può far quasi nulla dal punto di vista del governo, del controllo della dottrina e delle nomine ecclesiastiche. Queste ultime sono per lo più imposte od ottenute con raggiri dai modernisti, sicchè il Papa deve, come si suol dire, “far buon viso a cattivo gioco”, si trova ad avere a che fare con “collaboratori” finti o di facciata che non sono affatto  copertamente o scopertamente  veri collaboratori, ma che gli remano contro se non in modo plateale e sfacciato, certo comunque in modo reale e come un tarlo che corrode ogni giorno il sistema del Papato.

Il Papa è così sottoposto ad uno stillicidio quotidiano, ad una vita logorante difficilmente sopportabile[5],  se non fosse che abbiamo avuto in questi decenni Papi santi che hanno saputo offrire la loro vita per la Chiesa in unione con la croce di Cristo. Con tutto ciò è chiaro che il Papa ha i suoi buoni collaboratori, presenti grazie a Dio in tutti i settori della Chiesa in tutto il mondo, ma in scarsissimo numero, e tutto quello che possono fare, oltre a soffrire insieme col Vicario di Cristo, è la proclamazione della sana dottrina, peraltro sistematicamente ed immediatamente criticata, fraintesa, derisa e contestata dai potenti mezzi propagandistici dei modernisti. E’ possibile dunque sapere, in linea di principio, che cosa pensa il Magistero, ma è assai difficile metterlo in pratica a causa degli ostacoli, delle minacce, delle seduzioni e delle persecuzioni provenienti dal potere modernista.

Questa situazione di debolezza e di impotenza sorge col papato di Paolo VI e si protrae sino ai nostri giorni. Essa certamente è all’origine delle dimissioni di Benedetto XVI[6]. Il Papato con Paolo VI non è più Cristo che guida le folle[7], che compie prodigi, che corregge i discepoli, che caccia i demòni, che minaccia farisei, sommi sacerdoti e dottori della legge, ma è Cristo sofferente, “crocifisso e abbandonato”, inascoltato, disobbedito, contestato, beffato, emarginato, angosciato.

La forza del Papato postconciliare è la forza di Cristo crocifisso, è il potere della croce. Il Papa deve stare continuamente in croce, fino all’ultimo. Alcuni hanno accusato Benedetto XVI di aver abbandonato la croce. Ma chi ci dice che non ne abbia adesso una più pesante, umiliato com’è per essere ingiustamente messo a confronto col nuovo Pontefice, quasi che questi vada bene e non il precedente? Sciocchezze incredibili.

I modernisti le studiano tutte  per conquistarsi il nuovo Papa, ma non riusciranno. Avrà certo come tutti i suoi difetti umani, ma non s’illudano che egli perda il carisma dell’infallibilità, se messo alla prova e all’occasione propizia. Essi forse si sentono vicini all’aver messo un rahneriano sul trono di Pietro. Ma saranno scornati. L’eresia può giungere molto in alto, può arrivare tra i Cardinali - e lo abbiamo visto -, ma non può raggiungere il Papa.

Nessun Papa si è piegato all’eresia, per quanto sia stato circonvenuto, adulato, fatto soffrire e minacciato[8]. Nei primi secoli abbiamo Papi martiri e chi ci dice che la serie sia finita? Il Papa si piega a tutto ma non all’eresia. Forse Benedetto ha avuto forti pressioni perché cedesse ai rahneriani. Probabilmente l’enciclica sulla fede che aveva intenzione di preparare avrebbe dato fastidio a molti.

Ottimo è il ritratto di questo Papato che si riflette nelle sofferenze della Chiesa nel libro Gethsemani[9] del grande card. Siri. Egli colpisce nel bersaglio attaccando Rahner, meno felice è nella critica a De Lubac, del tutto fuori centro è col Maritain, uomo di santa vita ed esimio tomista aperto con discrezione ai valori del pensiero moderno, in perfetta linea con la figura di teologo promossa dal Concilio Vaticano II, lodato e raccomandato da Paolo VI e dal Beato Giovanni Paolo II.

Non si capisce perchè l’illustre Cardinale se la prenda con lui, quando avrebbe potuto avere l’imbarazzo della scelta nello scegliere i tormentatori della Chiesa[10]: dagli Schillebeeckx, Hulsbosch e Schoonenberg ai teologi della liberazione, Gutierrez, Girardi, Sobrino, Boff ed Assman, dai moralisti esistenzialisti come Molinaro, Rossi, Valsecchi e Mongillo, agli idealisti come Bontadini e Severino, dagli heideggeriani come Marranzini e Sartori ai neohegeliani come Küng, Kasper e Forte. In tal modo la sua polemica perde di mordente e presta il fianco alla critica modernista che lo accusò di conservatorismo, misconoscendo la tempra eccezionale di speculativo del dotto Cardinale.

La debolezza del Papato che si è manifestata ad iniziare dal periodo postconciliare dipende, a mio avviso, da un difetto nelle disposizioni pastorali del Concilio concernenti quella che dev’essere la collaborazione tra Papa e vescovi nella tutela della rettitudine della fede e nella correzione degli eretici. In modo sorprendente - e questo è stato notato dagli studiosi seri - il Concilio, contrariamente a tutta la tradizione dei Concili ecumenici, non fa parola di eresie o dottrine contrarie alla fede. Parla sì genericamente di gravi errori, come l’ateismo, il materialismo,  l’antropocentrismo, il secolarismo, lo scientismo, il liberalismo, il naturalismo, ma si tratta di condanne generiche e scontate, più riferite ad errori del passato che a precisi fenomeni eresiologici del presente.

Senza ovviamente negare la preminente responsabilità di Roma nella repressione dell’eresia, il Concilio promuove un’attività autonoma dei singoli vescovi o delle conferenze episcopali nella difesa della fede. In particolare, come sappiamo, il Concilio promuove e sviluppa la dottrina della collegialità episcopale, in se stessa di grande importanza, la quale tuttavia va intesa bene.

Alcuni la hanno intesa non come andava intesa, ossia come promozione della comunione fraterna dei vescovi tra di loro e col Papa e sotto il Papa, ma come accentuazione dell’autonomia del corpo episcopale rispetto al Papa, non certo finendo nel conciliarismo, il che sarebbe stata un’eresia, ma dando adito a questa interpretazione, certo sbagliata ma possibile. Ne hanno approfittato i modernisti per sottolineare esageratamente questa autonomia provocando gravi danni all’unità della fede nella Chiesa e solleticando l’ambizione dei vescovi.

Ancora di recente lo storico modernista Melloni, della cosiddetta “scuola di Bologna” si diceva insoddisfatto del grado di “collegialità” raggiunto ed auspicava che sia più accentuato: dunque un aggravamento del male anziché una sua mitigazione o correzione. Melloni popone una linea che è esattamente l’opposto rispetto a quella nella quale si deve procedere.

Negli anni ’80 a Roma ebbi un colloquio col card. Pietro Parente, illustre cristologo ed ex-Segretario del Sant’Uffizio, il quale mi disse con preoccupazione di essersi quasi pentito di essersi fatto promotore in Concilio della dottrina della collegialità, vista l’interpretazione conciliarista alla quale stava andando soggetta.

Con queste disposizioni poco prudenti per non dire sbagliate del Concilio è successo che il peso gravissimo della condanna dell’eresia e della correzione degli eretici ha finito per cadere quasi esclusivamente su Roma, mentre generalmente i vescovi hanno trascurato questo loro grave dovere per non dire che hanno favorito copertamente e qualche volta scopertamente gli eretici, con la scusa del dialogo, della misericordia, della libertà e cose del genere, che spesso sono diventate etichette che nascondono comportamenti errati.

Il nome scelto dal nuovo Pontefice - Francesco - è certo bello ed ha commosso tutto il mondo per il suo richiamo ai grandi temi della spiritualità francescana, con particolare riferimento alla giustizia sociale, ai poveri, ai semplici, agli umili, agli oppressi, ai perseguitati e ai sofferenti.

Tuttavia mi resta qualche perplessità o qualche timore, che penso saranno fugati dal futuro comportamento del Papa. Si tratta di questo: la spiritualità francescana evidentemente è innanzitutto propria del frate francescano e pertanto insiste sulle virtù tipiche del religioso: la povertà, la mitezza, l’umiltà, la docilità, la pazienza, la penitenza, la dolcezza, la misericordia.

Però, in questa spiritualità non appare evidente un altro essenziale aspetto della condotta cristiana, soprattutto quella che spetta ai superiori: la vigilanza contro il nemico, la forza nello scoprirlo, nel combatterlo e nel vincerlo, il far sentire ai ribelli la forza della legge, l’energia nel disciplinare e saper tenere unito il gregge di Cristo e difenderlo dai lupi, l’autorevolezza che all’occorrenza sa incutere timore nei ribelli e negli arroganti, la forza per difendere i deboli contro gli oppressori, il tutto certo nella massima carità, ma appunto la carità stessa chiede, come insegna il Vangelo e testimoniano i Santi, il saper intervenire con forza quando occorre.

Tutte queste doti si addicono in modo particolare al Papa e sono state proprie di tutti i grandi e santi Pontefici della storia. Certo il Papa dovrebbe poter disporre di questo potere, ma se non ce l’ha, che gli resta? Quello di soffrire sulla croce.

Perché tanti Papi col nome di Leone, Gregorio, Pio, Innocenzo, Giovanni, Paolo? Ma evidentemente perché ricordavano i S.Leone Magno, i S.Gregorio Magno, i S.Pio V o Pio X e via discorrendo, per non parlare dei Papi martiri. Oggi i modernisti sono riusciti a creare nell’immaginario popolare una certa antipatia per questi nomi, ma del tutto a torto. Un tempo il popolo cristiano li venerava ed accoglieva con gioia e speranza questi nomi che evocavano le passate glorie e non sono mancati i risultati positivi. Certo, abbiamo avuto Papi francescani, ma hanno fatto i Papi e hanno smesso di fare i frati. Questo sia detto con tutto rispetto dei frati - io sono un frate domenicano - ma non bisogna confondere i ruoli nella Chiesa. I frati domenicani che sono diventati Papi hanno fatto i Papi.

Questo nuovo Papa poi è Gesuita, ed anche questa sua qualità certo ci fa sperare insieme col carissimo nome di Francesco, anzi vorremmo sperare in una sintesi tra l’energia e la dottrina del Gesuita da una parte e la mitezza ed umiltà francescane dall’altra. In ogni caso il grande problema pastorale di oggi è una ritrovata collaborazione tra Papa ed episcopato. In ciò indubbiamente è utile l’applicazione delle direttive conciliari, tuttavia adeguatamente corrette nei loro difetti e non peggiorate come vorrebbero i modernisti, pensando così di far avanzare la Chiesa e invece la fanno retrocedere.

In particolare bisogna che i vescovi, senza affatto abbandonare la bella figura del pastore evangelico delineata dal Concilio, riprendano in mano il loro ufficio di maestri e custodi della fede evitando di lasciare solo il Papa in questo gravissimo compito che spetta a tutto il Magistero della Chiesa. Ovviamente il corpo episcopale in ciò è infallibile, ma lo è solo a condizione di compiere il proprio dovere in comunione col Papa, che non è un vescovo come gli altri alla pari degli altri, ma è il Successore di Pietro al quale Cristo ha detto pasce oves meas e confirma fratres tuos.

Il Papa non è vescovo di Roma alla pari del vescovo di Milano o di New York, ma è vescovo di quella diocesi che, come dice S.Ireneo, ha il compito e il carisma infallibile e indefettibile di presiedere su tutte le altre Chiese nella carità. Come ebbe a profetizzare il Vate latino: tu regere imperio populos, Romane, memento: parcere subiectis et debellare superbos.

 

 


[1] Secondo il teologo domenicano modernista Albert Nolan, in linea con Gutierrez, non esiste un altro mondo oltre a questo, ma solo questo mondo, per cui la Chiesa deve renderci felici in questo mondo.

[2] La “Chiesa del Denzinger”, “piramidale ed aristocratica”, come dicono sarcasticamente i modernisti, mentre la loro è la Chiesa “dello Spirito Santo” o la Iglesia popular dei liberazionisti dell’America Latina. Il card. Martini ebbe a dire che per salvarsi non occorre la Chiesa, ma basta lo Spirito Santo - come se lo Spirito Santo non operasse nella Chiesa e per mezzo della Chiesa.

[3] Famoso fu a suo tempo il processo intentato dall’arcivescovo di Milano al coraggioso pubblicista cattolico Vittorio Messori, per non parlare di altri casi simili..

[4] Alcuni ottimi seminaristi comunicano con me segretamente per non essere scoperti dai loro superiori.

[5] Come giudicare l’ineffabile ipocrisia dei modernisti che parlano di Papato autoritario ed impositivo?

[6] Ridicolo il commento di un modernista alle dimissioni del Papa: vede in esse il gesto di un uomo “non attaccato al potere”.

[7] Le adunate oceaniche del Beato Giovanni paolo II furono fuochi d’artificio o il grido strozzato delle masse cattoliche frastornate e scandalizzate dai loro pastori.

[8] Per citare un esempio relativamente recente: pensiamo all’eroica resistenza di Pio VI, prigioniero di Napoleone. Gli esempi addotti da Küng nel suo famoso libro Infallibile? circa supposte cadute di Papi nell’eresia, sono fasulli. E’ vero però che ciò può accadere come dottori privati o se privi del pieno possesso delle loro facoltà mentali. Teniamo inoltre presente che lo stesso Küng non crede all’immutabilità e quindi alla verità assoluta dei dogmi.

[9] Edizioni della Fraternità della SS.Vergine , Roma 1980.

[10] Bastava che Siri attingesse all’importante rassegna del Fabro L’avventura della teologia progressista, Rusconi Editore, Milano 1974 o al libro del card. Parente La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.







Fraternamente CaterinaLD

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