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Formazione liturgica del Popolo di Dio e nozioni utili anche per i Sacerdoti

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2013 00:15
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22/03/2013 00:05

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE

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Gesti e movimenti del sacerdote durante la celebrazione

 

La Sacrosanctum Concilium insegna che nella liturgia «la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi» (n. 7). Il fatto che il culto divino sia contrassegnato dalla presenza di segni percepibili coi sensi esterni si spiega in base alla natura dell’uomo, essere corporeo-spirituale. Così annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e di simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio» (n. 1146). In queste brevi note, vogliamo soffermarci sui segni liturgici della gestualità e del movimento, limitandoci a considerare il solo sacerdote celebrante.

È noto che la forma straordinaria del Rito Romano fornisce indicazioni precise e di dettaglio sui gesti e i movimenti che il sacerdote deve compiere nella liturgia. L’Ordinamento del Messale di Paolo VI è al riguardo più sobrio, anche se non mancano numerose indicazioni. Proponiamo alcuni esempi (corsivi nostri):

– «Se si usa l’incenso, prima di incamminarsi, il sacerdote pone l’incenso nel turibolo e lo benedice con un segno di croce senza dire nulla» (IGMR, n. 120).

– «Arrivati all’altare, il sacerdote e i ministri fanno un inchino profondo» (n. 122).

– «Il sacerdote invita il popolo alla preghiera, dicendo a mani giunte: “Preghiamo”. […] Poi il sacerdote, con le mani allargate, dice la colletta» (n. 127).

– «Mentre si canta l’Alleluia o un altro canto, se si usa l’incenso, il sacerdote lo amministra e lo benedice. Quindi, a mani giunte, e inchinato profondamente davanti all’altare, dice sottovoce: “Purifica il mio cuore”» (n. 132).

– «All’ambone il sacerdote apre il libro e, a mani giunte, dice: “Il Signore sia con voi”, mentre il popolo risponde: “E con il tuo spirito”; quindi: “Dal Vangelo secondo N.”, tracciando con il pollice il segno di croce sul libro e su di sé, in fronte, sulla bocca e sul petto [...]. Il sacerdote bacia il libro, dicendo sottovoce: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”» (n. 134).

– «Deposto il calice sull’altare, il sacerdote, inchinato profondamente, dice sottovoce: “Umili e pentiti”» (n. 143).

– «Poi, rivolto all’altare, il sacerdote dice sottovoce: “Il Corpo di Cristo mi custodisca per la vita eterna”, e con riverenza assume il Corpo di Cristo. Quindi prende il calice, dicendo sottovoce: “Il Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna”, e con riverenza assume il Sangue di Cristo» (n. 158).

– «Il sacerdote, allargando le mani, saluta il popolo, dicendo: “Il Signore sia con voi”[…]. Il sacerdote, congiungendo di nuovo le mani subito, mettendo la mano sinistra sul petto e alzando la destra, soggiunge: “Vi benedica Dio onnipotente”, e, tracciando il segno di croce sopra il popolo, prosegue: “Padre e Figlio e Spirito Santo”» (n. 167).

Tra i testi qui riportati, più d’uno fa riferimento al gesto di inchinarsi profondamente. In effetti, l’Ordinamento del Messale individua due tipi di inchino, quello fatto solo col capo e quello profondo di tutto il corpo:

«a) L’inchino del capo si fa quando vengono nominate insieme le tre divine Persone; al nome di Gesù, della beata Vergine Maria e del Santo in onore del quale si celebra la Messa. b) L’inchino di tutto il corpo, o inchino profondo, si fa: all’altare; mentre si dicono le preghiere “Purifica il mio cuore” e “Umili e pentiti”; nel Simbolo [Credo] alle parole: “E per opera dello Spirito Santo”; nel Canone Romano, alle parole: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente”. Il diacono compie lo stesso inchino mentre chiede la benedizione prima di proclamare il Vangelo. Inoltre il sacerdote si inchina leggermente, alla consacrazione, mentre proferisce le parole del Signore» (n. 275).

Si trovano ulteriori precisazioni nel Cerimoniale dei Vescovi, che ad esempio indica il modo in cui si tengono le mani (leggermente elevate ed allargate) durante le orazioni (n. 104); o specifica il modo esatto di tenere le mani giunte (n. 107 nota 80). Si noti che i testi, sia del Messale che del Cerimoniale, parlano di «mani» e non di «braccia» allargate, quindi il gesto è compiuto dalle sole mani (con inevitabile movimento degli avambracci), mentre le braccia devono rimanere aderenti al corpo.

Da questi pochissimi cenni, del tutto insufficienti a trattare un tema che è ben più importante di quanto non possa apparire, emerge quanto meno l’indicazione che il sacerdote non può muoversi e gesticolare a suo piacimento durante il rito liturgico, così come egli non può, ad esempio, vestirsi come vuole. Come egli si riveste di abiti sacerdotali fissati dalla Chiesa, che indicano il suo essere strumento di Cristo, il celebrare in persona Christi, così dovrà conformarsi alla gestualità fissata dalla Chiesa per lo svolgimento del rito. Quando il sacerdote celebra la sacra liturgia, non deve impersonare se stesso – quindi non può essere disinvolto e spontaneo nel portamento. Egli rappresenta al vivo Cristo e la Chiesa e deve perciò esprimere la loro gestualità più che la sua. Non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui. Ciò si rende visibile anche attraverso quei segni sensibili che sono i gesti e i movimenti compiuti nella liturgia.

È altresì ovvio che l’attenzione alla corretta gestualità liturgica non deve scadere nell’estetismo o in una sorta di “fariseismo” liturgico. Ma questo non rappresenta un rischio ai nostri giorni, in cui molto più frequente è la tentazione di celebrare “come viene naturale”. Spesso non si seguono le indicazioni dei libri liturgici – anche perché non sono conosciute – e si fa strada una gestualità eccessiva, ridondante, in certi casi quasi teatrale. Insegna Benedetto XVI: «La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni posti nell’ordine e nei tempi previsti comunicano e coinvolgono di più che l’artificiosità di aggiunte inopportune» (Sacramentum Caritatis, n. 40).

Di qui il dovere per ogni sacerdote di conoscere bene i praenotanda dei libri liturgici anche riguardo a questi aspetti, per nulla secondari. Compiere nel modo giusto i gesti e i movimenti della liturgia esprime visibilmente nel corpo – e al tempo stesso accompagna e sostiene – la lode e adorazione prestate dall’anima. Il buon esempio dei sacerdoti celebranti sarà di enorme aiuto a tutta l’assemblea radunata per il culto divino.


Gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione

  

I gesti e movimenti dei fedeli durante la celebrazione della Santa Messa appartengono a quegli aspetti materiali del culto divino che non si possono trascurare. San Tommaso d’Aquino è molto chiaro nell’osservare che dobbiamo rendere onore a Dio non solo in spirito. Siccome gli uomini sono creature corporee, i sensi esterni sono sempre coinvolti. Nella sacra liturgia è necessario «servirsi di cose materiali come di segni, mediante i quali l’anima umana venga eccitata alle azioni spirituali che la uniscono a Dio» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7).

Abbiamo quindi bisogno di segni sensibili per purificare il nostro cuore e nutrire il nostro desiderio di unione con il Dio invisibile. L’Aquinate riconosce che il fine della liturgia è l’offerta spirituale compiuta da coloro che partecipano ad essa. Ma la costituzione umana è tale, che l’espressione interna dell’anima cerca allo stesso tempo una manifestazione corporea. D’altro canto la vita interna è sostenuta dagli atti esterni. Per provvidenziale volontà di Dio, siamo chiamati ad offrirgli i segni visibili della nostra offerta spirituale, perché, in quanto creature corporee, comunichiamo con segni esterni. Il Doctor communis osserva: «Queste cose esterne non vengono offerte a Dio, come se Egli ne avesse bisogno […], ma come segni degli atti interni spirituali» (S.Th. IIa IIae q. 81 a. 7 ad 2).

In questa prospettiva, si mette in luce anche l’importanza dei gesti ed atteggiamenti nella liturgia. Tali consuetudini fanno parte della tradizione viva del popolo di Dio e sono trasmesse da una generazione all’altra insieme ai contenuti della fede. Dal canto suo, la Chiesa, come Madre e Maestra, interviene a volte, dando indicazioni più precise per educare i fedeli allo spirito della liturgia.

La normativa per la forma ordinaria della Santa Messa di Rito Romano si trova nell’attuale Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 43, dove viene spiegato che il giusto atteggiamento dei fedeli nelle varie parti della Celebrazione eucaristica è segno di unità e favorisce la partecipazione all’azione liturgica:

I fedeli stiano in piedi dall’inizio della Messa fino alla conclusione dell’orazione colletta, durante l’Alleluia, la proclamazione del Vangelo, il Credo e la preghiera universale; si alzino all’invito Orate, fratres prima dell’orazione sulle offerte e rimangano in piedi fino al termine della Messa, fatta eccezione di quanto è detto in seguito.

I fedeli stiano seduti per le letture prima del Vangelo e il salmo responsoriale, all’omelia e durante l’offertorio; possono stare seduti anche durante il sacro silenzio dopo la Sacra Comunione, se viene osservato.

I fedeli s’inginocchino alla consacrazione, se non sono impediti da un motivo ragionevole, come il cattivo stato di salute o la ristrettezza del luogo. Dove esiste il costume che i fedeli rimangano in ginocchio dal Sanctus fino alla dossologia della Preghiera eucaristica e prima della Sacra Comunione, all’Ecce Agnus, si conservi lodevolmente tale uso.

Secondo l’Ordinamento Generale, spetta alle Conferenze dei Vescovi, con la recognitio della Sede Apostolica, adattare queste norme secondo le sensibilità delle culture e tradizioni locali. Tuttavia, bisogna stare attenti che i gesti corrispondano sempre al vero senso di ciascuna parte della liturgia.

Un gesto da rivalutare in non poche celebrazioni liturgiche odierne è l’inginocchiarsi. L’adorazione inizia dal riconoscimento di Dio e della sua sacra presenza, che sollecita l’uomo ad una risposta di riverenza e devozione. Nell’ambito biblico, il gesto più caratteristico dell’adorazione è quello di prostrarsi o di mettersi in ginocchio davanti alla presenza di Dio (cf., ad esempio, 1Re8,54-55; Lc5,8; 8,41; 22,41; Gv 11,32; Atti7,60; Ap 5,8 e 14; 19,4; 22,8). I primi cristiani hanno recepito questa prassi, come attestano Tertulliano e Origene nel terzo secolo.

La ben nota prescrizione del canone ventesimo del primo Concilio di Nicea (325), di stare in piedi per la preghiera liturgica, ad imitazione del Risorto,si riferisce specificamente alle domeniche e al tempo pasquale, mentre nei giorni di digiuno e nei giorni stazionali si pregava in ginocchio, così come attestato riguardo alla preghiera personale quotidiana. D’altronde, già in una lettera scritta nel 400, sant’Agostino dichiarava di non sapere se la prescrizione di Nicea fosse una consuetudine propria a tutta la Chiesa (cf. Ep. 55 ad Ianuarium, XVII, 32).

Durante i secoli, la Chiesa ha sempre ricercato espressioni rituali il più adeguate possibile, dando così una testimonianza visibile della sua fede e del suo amore verso il culto divino e in particolare l’Eucaristia. Così si è sviluppata in Occidente la consuetudine che i fedeli si inginocchino per il Canone della Messa, o almeno nelle sue parti centrali: la consacrazione. In tal modo, si è anche diffusa la prassi di ricevere la Sacra Comunione in ginocchio. Per fornire un esempio a tutta la Chiesa, il Santo Padre Benedetto XVI, a partire dalla solennità del Corpus Domini del 2008, ha cominciato a distribuire la Sacra Comunione direttamente sulla lingua ai fedeli che la ricevono inginocchiati.

In risposta ad alcune difficoltà che sono emerse nella vita liturgica, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ribadisce che «la pratica di inginocchiarsi per la Sacra Comunione ha a suo favore secoli di tradizione ed è un segno di adorazione particolarmente espressivo, del tutto appropriato alla luce della vera, reale e sostanziale presenza di Nostro Signore Gesù Cristo sotto le specie consacrate» (Lettera This Congregation, 1 luglio 2002: trad. it. Enchiridion Vaticanum vol. XXI, p. 471 n. 666). Il Dicastero chiarisce che non è lecito rifiutare la Sacra Comunione per la semplice ragione che i comunicandi scelgono di riceverla in ginocchio (cf. Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 91).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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