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Formazione liturgica del Popolo di Dio e nozioni utili anche per i Sacerdoti

Ultimo Aggiornamento: 22/03/2013 00:15
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21/03/2013 23:59

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE

Il sacro silenzio nella celebrazione liturgica

 

«Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa… il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo» (cf. Sap18,14-15). Così un’antifona nell’ottava del Natale ricorda, con straordinaria libertà, come nella notte dell’Esodo sia avvenuta la liberazione dell’uomo e l’affrancamento dal peccato. Per riconoscerlo presente nel mondo, anzi nell’opera pubblica che è la liturgia – sacra proprio a motivo della Presenza – è necessario «silere», cioè tacere. Bisogna tacere per ascoltare, come all’inizio di un concerto, altrimenti il culto, ossia la relazione coltivata, profonda con Dio, non può incominciare, non si può «celebrare» Lui.

Ciò è indispensabile per pregare: «Entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6). La camera è l’anima, ma anche il tempio, dicono i Padri. Quale segreto può essere mantenuto senza silenzio? Il segreto della coscienza in cui si può udire la voce di Dio, nella notte silenziosa come per Samuele. Ci vuole silenzio perché Dio possa parlare e noi ascoltarlo. Per questo andiamo in chiesa, per celebrare il culto divino, sacro perché scende dal silenzio eterno nel tempo così rumoroso, per placarlo e orientarlo all’Eterno. Non c’è dubbio che la posizione frontale del sacerdote all’altare verso il popolo induca alla distrazione lui e i fedeli, disorientando la direzione della preghiera: imitiamo il Santo Padre che guarda al Crocifisso.

Il silenzio va recuperato, limitando al minimo le parole da parte di chi deve dare indicazioni preparatorie alla celebrazione. I sacerdoti, le religiose addette al servizio, i ministri limitino parole e movimenti, perché sono alla presenza di Colui che è la Parola. Questo silenzio è chiesto all’inizio della Santa Messa per l’esame di coscienza, pur breve, onde riconoscere i nostri peccati «prima di celebrare i Santi Misteri».

Dopo l’invito a pregare con l’Oremus, il sacerdote si raccoglie in silenzio, per pregare e per dare il tempo ai fedeli di fare altrettanto e unire così la propria intenzione a quell’orazione che il sacerdote pronuncerà «raccogliendo» – perciò si chiama orazione «colletta» – e presentandola al Signore. Con questa orazione, comincia nella Messa la funzione sacerdotale di mediazione tra il popolo santo e il Signore.

Dalla preghiera a Dio si passa all’ascolto di Dio. Il Sinodo sulla Parola di Dio non ha trascurato di insistere sul silenzio come spazio privilegiato per riceverla. I misteri di Cristo – il Papa lo ricorda nell’Esortazione apostolica post-sinodale Verbum Domini – sono legati al silenzio, come dicono i Padri della Chiesa. Così, più che moltiplicare gli incontri biblici, bisogna aver «realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola» (n. 73). La liturgia della Parola è tale perché avviene nel silenzio sacro.

L’Ordo Missae suggerisce, a questo punto, che vi sia stata o no l’omelia, ancora silenzio. Sembra un esercizio «all’incontro spoglio, silenzioso, austero… al colloquio spontaneo, lieto, adorante con la divina Maestà, come trascinati nella scia della preghiera stessa di Cristo» (Paolo VI, Discorso agli Abati della Confederazione Benedettina, 30 Settembre 1970, n. 3). È un invito ai monaci: ma ogni cristiano deve essere in qualche misura monaco, cioè abitare da solo col Signore. La liturgia sacra abilita a questo. La Regola benedettina esorta il monaco a far sì che la sua mente sia in armonia con la voce (cf. 19,7): «Sembra una cosa semplicissima, diremmo naturale – sottolinea ancora Paolo VI – ma l’avere questa armonia interna tra la voce e la mente, è una delle cose più difficili» (Discorso agli Abati, cit.). Proprio la dinamica del rapporto tra Dio che parla e il fedele che ascolta e risponde con il salmo o la preghiera – secondo la classica tripartizione conservatasi nella settimana santa: lettura, responsorio, orazione – costituisce l’esercizio necessario, la ruminatio dei Padri, per assimilare e far sì che voce e mente si armonizzino. Questo è particolarmente utile in vista dell’offerta di sé, dei nostri corpi in sacrificio spirituale «come culto secondo la ragione», che per questo «rinnova la mente» al fine di distinguere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cf. Rm 12,1-2). Il rinnovamento della mente è il giudizio secondo Dio e non secondo il mondo. La liturgia deve favorire la conversione dalla mentalità mondana e carnale, che tende sempre ad infeudare chierici e laici. Rinnovare la mente significa guardare la realtà e non inseguire le proprie idee – l’ideologia –, perché Egli fa nuove tutte le cose.

Il silenzio può riaffiorare all’offertorio, ove non è necessario né obbligatorio che le formule previste di offerta siano dette ad alta voce. Si potrebbe poi suggerire che, in futuro, la Preghiera Eucaristica, anche nella Messa di Paolo VI, possa essere recitata submissa voce, quasi in silenzio, per favorire il raccoglimento: come si faceva e si continua a fare nella celebrazione in «forma straordinaria». È sempre necessario sentire parole così arcane, in specie quelle della consacrazione? Se il sacerdote abbassasse il tono della voce, non reciterebbe, ma pregherebbe davvero lui e favorirebbe il raccoglimento e l’unione dei fedeli alla sua preghiera di mediazione sacerdotale. Analogo silenzio è raccomandato specialmente al ringraziamento dopo la Comunione.

Ma, al di là dei momenti specifici, è tutta la liturgia, anzi la chiesa stessa come spazio sacro, che necessita di recuperare il clima di silenzio. Tale esigenza portava a preordinare spazi di raccordo come narteci e atrii per passare dall’esterno all’interno, dalla dispersione al raccoglimento. Non servirebbe anche ai nostri giorni? «La capacità di interiorità, una maggiore apertura dello spirito, uno stile di vita che sappia sottrarsi a quanto è chiassoso e invadente, devono tornare ad apparirci mete da annoverare tra le nostre priorità. In Paolo troviamo l’esortazione a rafforzarsi nell’uomo interiore (Ef 3,16). Siamo onesti: oggi v’è una ipertrofia dell’uomo esteriore e un indebolimento preoccupante della sua energia interiore» (J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 167).

Ci avvolga in questa Quaresima il sacro silenzio!

l silenzio in chiesa e in sagrestia prima e dopo la celebrazione

 

Sin dalle origini della Chiesa, si incontrano testimonianze che mostrano come la Celebrazione Eucaristica esiga necessariamente una preparazione previa, non solo da parte del sacerdote celebrante, bensì di tutto il popolo fedele (cf. J.A. Jungmann, Missarum sollemnia, p. 227). A questo riguardo, afferma Guardini: «A mio avviso la vita liturgica inizia con il silenzio. Senza di esso tutto appare inutile e vano […]. Il tema del silenzio è molto serio, molto importante e purtroppo molto trascurato. Il silenzio è il primo presupposto di ogni azione sacra» (Il testamento di Gesù, p. 33).

La Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR) nella editio typica tertia include per la prima volta al n. 45 un riferimento a ciò che precede la celebrazione: «Anche prima della stessa celebrazione è bene osservare il silenzio in chiesa, in sagrestia e nel luogo dove si assumono i paramenti e nei locali annessi, perché tutti possano prepararsi devotamente e nei giusti modi alla sacra celebrazione».

Pertanto, conviene che tutti osservino il silenzio: sia il celebrante, che in questo momento preparatorio deve ricordarsi di nuovo che si mette a disposizione di Colui che «è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5,15); sia i fedeli che, prima che inizi la celebrazione, devono prepararsi per l’incontro con il loro Signore. Cristo non li convoca solo per parlare loro della sua futura Passione, morte e risurrezione; bensì il suo mistero pasquale si fa realmente presente nella Santa Messa, perché possano partecipare di Lui.

In questa linea, annota il Catechismo della Chiesa Cattolica: «L’assemblea deve prepararsi ad incontrare il suo Signore, essere un popolo ben disposto. Questa preparazione dei cuori è opera comune dello Spirito Santo e dell’assemblea, in particolare dei suoi ministri. La grazia dello Spirito Santo cerca di risvegliare la fede, la conversione del cuore e l’adesione alla volontà del Padre. Queste disposizioni sono il presupposto per l’accoglienza delle altre grazie offerte nella celebrazione stessa e per i frutti di vita nuova che essa è destinata a produrre in seguito» (n. 1098).

In questo contesto di preparazione alla celebrazione, i ministri hanno un ruolo imprescindibile ed il silenzio occupa un luogo preminente. Silenzio che non è una semplice pausa, nella quale ci assalgono mille pensieri e desideri, bensì quel raccoglimento che ci dà pace interiore, che ci permette di riprendere respiro e che svela ciò che è vero. Ma perché il silenzio è parte della celebrazione? In primo luogo perché esso favorisce il clima di preghiera che deve caratterizzare qualunque azione liturgica. La celebrazione è preghiera, dialogo con Dio, e il silenzio è il luogo privilegiato della rivelazione di Dio. La permanenza nel deserto, ed il silenzio che spontaneamente viene evocato da questa immagine, segnano tutta la relazione tra Israele e il suo Signore. La sagrestia e la navata della chiesa, nei momenti che precedono la celebrazione, dovrebbero essere quel luogo deserto nel quale Gesù si ritira prima degli avvenimenti più importanti. Il deserto è il luogo di silenzio, della solitudine; esso suppone un allontanarsi, l’abbandonare per un momento le occupazioni quotidiane, il rumore, la superficialità.

Come ricordava il cardinale Ratzinger, predicando gli esercizi spirituali a Giovanni Paolo II, «tutte le cose grandi iniziano nel deserto, nel silenzio, nella povertà. Non si può partecipare alla missione di Gesù, alla missione del Vangelo, senza partecipazione all’esperienza del deserto, della sua povertà, della sua fame […]. Chiediamo al Signore che ci conduca, che ci faccia trovare quel silenzio profondo in cui abita la sua parola»(Il cammino pasquale, p. 10).

In secondo luogo, la presenza del silenzio nell’azione liturgica si deve al fatto che l’incontro con Dio si rende possibile e anche richiede uno spirito di conversione continua, che deve caratterizzare la vita di ogni fedele. Il silenzio è perciò l’ambiente adeguato affinché tale processo di trasformazione abbia luogo. Di fatto, «non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla Liturgia Eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita. Favoriscono tale disposizione interiore, ad esempio, il raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario, la confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis, n. 55).

Come sempre, dobbiamo “specchiarci” in Gesù: Egli cerca il silenzio per entrare in dialogo con il Padre suo: «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava» (Mc 1,35). Per questo, «dobbiamo confessare che abbiamo tutti bisogno di questo silenzio carico di presenza adorata» (Giovanni Paolo II, Orientale Lumen, n. 16). Ne ha bisogno ogni individuo, sacerdote o fedele laico, che spesso non riesce a fare silenzio per paura di incontrare se stesso, di scoprirsi, di sentire il vuoto che si trasforma in domanda di senso. Ne ha bisogno anche la comunità riunita, per saper lasciare spazio alla presenza di Dio, evitando così di celebrare se stessa. In una società che vive in modo sempre più frenetico, spesso stordita dai rumori e dispersa nell’effimero, è di vitale importanza riscoprire il valore del silenzio.

Il sacro silenzio dovrebbe essere osservato anche al termine della celebrazione. Come ricorda la IGMR ancora al n. 45, il silenzio dopo la comunione favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica. E appare logico che lo stesso silenzio che precede e prepara la Messa conduca al silenzio che ringrazia e prolunga nelle opere ciò che si è vissuto in essa. Si comprende allora perché san Josemaría Escrivá de Balaguer ci ricordi: «L’amore per Cristo, che si offre per noi, ci fa trovare, al termine della Messa, alcuni minuti per un ringraziamento personale, intimo, che prolunghi nel silenzio del cuore l’azione di grazie dell’Eucaristia. [...] Se si vive bene la Messa, come è possibile poi, per tutto il resto del giorno, non avere il pensiero in Dio, non aver la voglia di restare alla sua presenza per lavorare come Egli lavorava e amare come Egli amava?» (È Gesù che passa, nn. 92 e 154).


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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