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Il Sacerdote nella Praeparatio e nella Celebrazione della Messa

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2013 10:45
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21/03/2013 18:55

UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE 
DEL SOMMO PONTEFICE  

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Il sacerdote nei Riti di Conclusione della Santa Messa

 

1. I Riti di Conclusione nelle due forme della Messa di Rito Romano

1.1 I Riti di Conclusione della Santa Messa si svolgono, in entrambe le forme del Rito Romano - l'ordinaria e la straordinaria - una volta terminata l'orazione dopo la Comunione. Per la forma ordinaria (o di Paolo VI), l'Institutio Generalis Missalis Romani (IGMR) al n. 90 si esprime in questi termini:

«I Riti di Conclusione comprendono:

a) Brevi avvisi, se necessari;

b) Il saluto e la benedizione del sacerdote, che in alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con l'orazione sul popolo o con un'altra formula più solenne.

c) Il congedo del popolo da parte del diacono o del sacerdote, perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio;

d) Il bacio dell'altare da parte del sacerdote e del diacono e poi l'inchino profondo all'altare da parte del sacerdote, del diacono e degli altri ministri»(1).

Il ruolo del sacerdote, dunque, consiste nel dare brevi avvisi ai fedeli, nel salutarli con la formula liturgica «Dominus vobiscum» e nel benedirli con formula semplice o solenne. Il sacerdote, se manca il diacono, pronuncia anche la formula di congedo «Ite, missa est»(2). I Riti terminano con il bacio dell'altare e con un inchino profondo ad esso, come all'inizio della Messa.

1.2 Possiamo confrontare questa struttura con quella stabilita dalle rubriche del Messale di forma straordinaria (o di san Pio V, nella revisione operata dal beato Giovanni XXIII). Gli elementi fondamentali sono comuni alle due forme del rito, ma si notano anche delle differenze. Il congedo «Ite, Missa est» qui è anteposto alla benedizione(3). Ricevuta la risposta «Deo gratias», il sacerdote si volge di nuovo verso l'altare e, profondamente inclinato, con le mani giunte e appoggiate su di esso, dice la preghiera Placeat, che san Pio V fece aggiungere nel suo Messale (1570). Si tratta di una bella preghiera con la quale il ministro ordinato chiede alla Trinità di accettare il sacrificio eucaristico in favore suo e di tutti coloro per i quali il sacerdote lo ha offerto. Ecco il testo:

Placeat tibi, sancta Trinitas, obsequium servitutis meæ: et præsta, ut sacrificium quod oculis tuæ maiestatis indignus obtuli, tibi sit acceptabile; mihique et omnibus pro quibus illud obtuli, sit, te miserante, propitiabile. Per Christum Dominum nostrum. Amen(4).

Recitata con devozione questa preghiera, il sacerdote bacia l'altare, eleva gli occhi al cielo mentre apre e chiude le braccia elevandole e riabbassandole davanti al petto, inclina il capo verso la croce e dice: «Benedicat vos omnipotens Deus»; poi si volta verso il popolo e lo benedice con il segno di croce semplice nel nome della Trinità (lo stesso gesto che si compie nella forma ordinaria)(5).

I Riti di Conclusione della forma straordinaria prevedono ancora una lettura biblica: il sacerdote, infatti, benedetto il popolo, si volge di nuovo all'altare, al lato del Vangelo, e proclama il Prologo del Vangelo di Giovanni, introducendo la lettura con le stesse formule e i medesimi gesti che si usano per la proclamazione del Vangelo all'interno della Liturgia della Parola. Nel leggere «Et Verbum caro factum est», egli genuflette. L'ultimo Vangelo è sempre Gv 1,1-14, che si omette in alcune celebrazioni(6). Il Prologo del Vangelo di Giovanni veniva apprezzato già dal sec. XIII come formula di benedizione, in particolare per ottenere il bel tempo, e perciò fu inserito da san Pio V nel suo Messale(7). Questa lettura, pertanto, va intesa come parte della benedizione.

1.3 Notiamo che la continuità nei Riti di Conclusione tra la forma straordinaria e la forma ordinaria del Rito Romano sta in questi elementi: la benedizione del popolo, la formula di congedo, il bacio e la venerazione dell'altare. Le differenze tra le due forme si riscontrano per alcune soppressioni nel passaggio dal Vetus al Novus Ordo e in un'aggiunta operata da quest'ultimo. Il Novus Ordo ha cambiato la struttura di svolgimento dei Riti di Conclusione, sia invertendo l'ordine tra congedo e benedizione, sia eliminando la preghiera Placeat e l'ultimo Vangelo. L'aggiunta che esso fa consiste invece nell'indicazione dell'IGMR, n. 90/a, che prevede la possibilità di dare brevi avvisi all'inizio dei Riti di Conclusione(8). Altra aggiunta (ripresa dalla prassi antica) è la possibilità di utilizzare formule di benedizione più solenni.

2. Le due colonne portanti dei Riti di Conclusione: benedizione e congedo

2.1 Da quanto detto, risulta che le due colonne portanti dei Riti di Conclusione della Messa sono la benedizione ed il congedo. Nella Sacra Scrittura(9), la parola «benedire/benedizione» ha un significato molto ampio. Nell'ebraico dell'Antico Testamento, la radice brk indica la fortuna di quegli uomini a cui tutto riesce, ma indica anche la fecondità, l'abbondanza, la ricchezza e persino l'umidità delle nuvole (vera e propria ricchezza e benedizione nel deserto!). Oltre a questi significati, brk viene usata nel senso verbale di «rendere omaggio», «lodare», «glorificare», «esprimere riconoscenza» e anche «parlare bene di qualcuno». Infine, siccome in Israele qualsiasi saluto era un augurio di benedizione, brk significa anche semplicemente «salutare». Il significato più vicino al nostro modo di intendere la «benedizione», si trova espressa nei testi che trattano di auguri di benedizione dei padri ai figli, o dei sacerdoti ai partecipanti del culto, o ancora riguardo a promesse fatte da Dio in favore degli uomini. Si trovano anche formule liturgiche fisse, ad esempio Nm 6,23-26.

Nell'Antico Testamento, la benedizione, al pari della maledizione, ha una forza che realizza quanto le parole esprimono. Ad esempio, «benedizione» è una forza che si trasmette a qualcuno mediante l'imposizione delle mani (cf. Gen 48,14.17) o pronunciando una parola su qualcuno (cf. Gen 27,27-29; 49,1-28). Una volta ricevuta mediante la benedizione, la forza non può essere tolta da un uomo (cf. Gen 27,33.35; Nm 22,6). Anche quando Dio non viene esplicitamente menzionato, è sempre sottinteso che la forza della benedizione viene da lui. Oltre che sul popolo eletto e sui singoli, l'Antico Testamento conosce una benedizione divina anche su oggetti (cf. Es 23,25; Dt 7,13; 28,4-5; Ger 31,23; Pro 3,33), sebbene non venga presentato un rito liturgico corrispondente.

Tra i vari personaggi che nell'Antico Testamento benedicono, vi sono anche i sacerdoti che benedicono le singole persone che si recano al tempio (cf. 1Sam 2,20), i pellegrini (cf. Sal 118,26) nonché il popolo radunato (cf. Lev 9,22). Anzi si dice che, strettamente parlando, JHWH ha designato solo i sacerdoti e i leviti per benedire nel suo nome (cf. Dt 21,5; 10,8).

Al tempo di Gesù, nel tempio di Gerusalemme i sacerdoti, nel compiere la liturgia mattutina, pronunciavano la «benedizione di Aronne», ossia il già citato Nm 6,23-26. Il Nuovo Testamento fa propri gli usi e le concezioni della benedizione anticostestamentaria e giudaica(10). La Lettera agli Ebrei ricorda la benedizione di Melchisedec ad Abramo e quella di Isacco a Giacobbe (cf. Eb 7,1; 11,20). Secondo san Paolo, la benedizione divina ad Abramo giunge anche a coloro che non sono sua discendenza per via carnale: necessaria, però, è la fede (cf. Gal 3,8-9). Interessante è ancora un'altra annotazione di Ebrei che, prendendo spunto dalla benedizione di Melchisedec, nota che «senza dubbio è l'inferiore che è benedetto dal superiore» (Eb 7,7): quindi, chi benedice è stato costituito da Dio in una posizione superiore rispetto a colui che è benedetto(11). Gesù stesso benedice mediante imposizione delle mani: i bambini (cf. Mc 10,16) e i discepoli (cf. Lc 24,50). Rileggendo la vita di Gesù dopo la risurrezione, san Pietro dirà che Dio ha mandato il Figlio a benedirci (cf. At 3,26) e san Paolo preciserà che si tratta di una eulogía pneumatiké, una benedizione spirituale (Ef 1,3). Il cristiano è chiamato a imitare Cristo e a benedire sempre: «Benedite (anche) coloro che vi maledicono» (Lc 6,28; cf. Rm 12,14).

2.2 Da questi elementi biblici discende l'uso liturgico cristiano di benedire, che ha il significato di «chiedere a Dio i suoi doni sulle sue creature, e rendergli grazie per i doni già ricevuti»(12). Prosper Guéranger ha sostenuto che la benedizione deve risalire in qualche modo alle istituzioni liturgiche dettate dagli stessi apostoli(13). A livello rituale, essa si compie con l'imposizione delle mani sui singoli oppure, per le assemblee, allargando le braccia e rivolgendo le palme delle mani sui presenti. Il segno cristiano di benedizione per eccellenza è però il segno della croce e perciò giustamente il Rito Romano fa iniziare e concludere l'Eucaristia con questo segno.

«"Diventerai una benedizione", aveva detto Dio ad Abramo al principio della storia della salvezza (Gen 12,2). In Cristo, figlio di Abramo, questa parola è pienamente compiuta. Egli è benedizione per l'intera creazione e per tutti gli uomini. La croce, che è il suo segno nel cielo e sulla terra, doveva dunque diventare il vero gesto di benedizione dei cristiani»(14).

Al termine della Messa, la benedizione può svolgersi in diversi modi: come benedizione semplice, come tripla benedizione solenne, o come preghiera di benedizione sul popolo(15).

Il sacerdote celebrante deve tener presente il ruolo di mediatore che egli svolge anche nell'impartire ai fedeli la benedizione finale della Messa, che non è solo un atto dovuto, o un modo come un altro per concludere la celebrazione. Nella benedizione finale (come in tutta la Messa) si incrociano due dinamiche: quella dal basso, per la quale l'uomo rende grazie a Dio, «bene-dice» Dio per i doni già ricevuti; e quella dall'alto, per cui Dio stesso effonde i suoi beni sui fedeli. Il sacerdote è proprio al centro di questo flusso di preghiera e di grazia.

2.3 Dalla natura teologica della benedizione conclusiva, deriva anche il carattere proprio del congedo. Anche qui non si tratta semplicemente di un saluto di cortesia ai presenti, ma dell'esplicitazione di un mistero di grazia. Benedetto XVI ci ricorda che nel saluto «Ite, missa est»,

«ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell'antichità "missa" significava semplicemente "dimissione". Tuttavia essa ha trovato nell'uso cristiano un significato sempre più profondo. L'espressione "dimissione", in realtà, si trasforma in "missione". Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia»(16).

Il congedo da parte del sacerdote costituisce, pertanto, un ultimo ammonimento a vivere ciò che si è celebrato. Si tratta di custodire la grazia ricevuta nel sacramento, affinché porti frutti nella vita cristiana di ogni giorno. Perciò con il tema del congedo è collegato il grande tema del rapporto tra liturgia ed etica, intendendo quest'ultima nel senso più ampio possibile (vita morale nella carità, testimonianza, annuncio, missione, martirio). Il fatto che il congedo non sia a sé stante, ma che sia collegato e derivi dalla benedizione, ci dice che in questo impegno non siamo soli: il Signore ci accompagna ed «opera con noi» (cf. Mc 16,20) e perciò la nostra vita può essere il «culto logico» gradito a Dio (cf. Rm 12,1-2; 1Pt 2,5). «Il congedo, atto presidenziale, dichiara sciolta l'assemblea. Come ci si raduna su convocazione divina (Rm 8,30), così il presidente, che agisce "in persona Christi", invia i fedeli alle azioni usuali della vita, per compierle in modo nuovo, trasformandole in materiale di salvezza; perciò l'assemblea risponde: "Rendiamo grazie a Dio"»(17).

Lo storico cattolico Henri Daniel-Rops, in un libretto in cui medita sul significato della Santa Messa nel rito di san Pio V, così riassume il senso della benedizione finale e del congedo:

«Proprio quando la Messa sta per finire, e noi stiamo per riprendere il lavoro di ogni giorno tra affanni e pericoli, la Chiesa ci ricorda che dobbiamo vivere sotto la mano di Dio e che è sotto la sua mano che saremo guidati e protetti. In questo modo tutta l'essenza della Messa sarà, in un certo senso, incorporata al nostro essere e continuata nella nostra vita d'ogni giorno. [...] L'Ite Missa est, o formula di congedo, può essere spiegata come un annuncio solenne della conclusione della funzione, ma ci avvisa anche che il nostro personale servizio di Dio non è che all'inizio. Con il Placeat [...] siamo guidati a contemplare l'onnipresenza del Dio Uno e Trino, nel cui Nome è invocata su di noi la Benedizione finale. Con un bellissimo gesto liturgico, il celebrante alza le mani in alto come per tirar giù dal Cielo la grazia che ci accompagnerà per proteggerci e guidarci»(18).

Da sponda ortodossa, gli fa eco lo ieromonaco Gregorio del Monte Athos, che in un libro in cui commenta la divina liturgia di san Giovanni Crisostomo, così interpreta il congedo:

«La divina liturgia è un cammino. Un cammino il cui scopo, il cui fine è l'incontro con Dio, l'unione dell'uomo con lui. Tale meta è già stata attinta. Siamo giunti al termine del nostro percorso. Abbiamo visto la luce vera. Abbiamo visto il Signore trasfigurato sul Tabor. Ci siamo accostati al suo santo corpo e al suo sangue immacolato. E mentre osiamo balbettare al nostro illustre visitatore: "È bello per noi restare qui" (Mt 17,4), la madre Chiesa ci ricorda che il termine del nostro cammino liturgico deve diventare l'inizio del nostro cammino di testimonianza: Procediamo in pace! Dobbiamo lasciare il monte della trasfigurazione per ritornare nel mondo e percorrere la via del martirio della nostra vita. Questo cammino diviene la testimonianza del credente in ordine alla Via e alla Vita che egli ospita in sé. Nella divina liturgia abbiamo ricevuto in noi Cristo. Ora siamo chiamati a portarlo al mondo. A diventare i testimoni della vita di lui nel mondo: i testimoni della nuova vita. [...] Dopo esserci accostati all'Eucaristia dobbiamo uscire nel mondo quali "cristofori" - portatori di Cristo - e "pneumatofori" - portatori dello Spirito -. In seguito dobbiamo lottare per far sì che non si estingua la luce ricevuta»(19).

3. Conclusioni e prospettive

3.1 Il sacerdote nei Riti di Conclusione della Santa Messa sta ancora svolgendo un compito sacerdotale, ossia di mediazione tra Dio e il popolo fedele. Non si tratta solo di salutarsi e di darsi appuntamento alla volta successiva, ricordando magari gli impegni infrasettimanali. Il sacerdote qui invoca sul popolo la benedizione divina, mentre a nome del popolo ringrazia Dio per i doni già ricevuti dalla sua bontà. Anche qui egli agisce in persona Christi. Perciò egli non dice, al plurale, «ci benedica Dio onnipotente...», né «la Messa è finita, andiamo in pace». Egli parla a nome e nella Persona di Cristo e come ministro della Chiesa, perciò imparte la benedizione, mentre la invoca, e invia i fedeli alla missione quotidiana della vita: «vi benedica Dio...», «andate in pace». Attraverso di lui, Cristo e la Chiesa incaricano i battezzati di questa testimonianza quotidiana da rendere al Vangelo.

3.2 La revisione dei Riti di Conclusione operata dal Messale di Paolo VI segna alcuni elementi di progresso: a) Le distinte modalità di benedizione esprimono con più completezza il messaggio della Scrittura e della Tradizione liturgica; b) La soppressione dell'ultimo Vangelo non rappresenta un danno grave, dato il carattere di benedizione che esso aveva nel Vetus Ordo; c) L'inversione di congedo e benedizione manifesta che solo con la grazia di Dio noi possiamo essere fedeli al Signore ogni giorno.

Su questi punti, non c'è da lamentarsi dei cambiamenti operati. Si potrebbe riflettere sull'opportunità di reintrodurre il Placeat. Bisogna però soprattutto riconoscere l'impoverimento teologico e celebrativo dovuto all'inserimento, nel Novus Ordo, degli avvisi ai fedeli come parte propria, ufficialmente normata, dei Riti di Conclusione. Sebbene la più recente IGMR sottolinei che tali avvisi devono essere brevi e che bisogna darli solo se sono necessari, ciò non toglie che si è introdotto ufficialmente un elemento di per sé estraneo alla liturgia, che poi di fatto è diventato molto spesso il vero elemento centrale dei Riti di Conclusione della Messa. Mentre, pertanto, va suggerito ai sacerdoti di ridurre al minimo, anzi possibilmente di eliminare del tutto questa pratica, si deve sperare che in una futura riforma dell'IGMR l'attuale concessione venga ritirata. Non c'è dubbio che la prassi degli avvisi finali abbia preceduto la normativa; nondimeno non appare opportuno riconoscere de iure quanto prima si era operato de facto, allo scopo di non favorire ulteriormente tanto l'abitudine in sé quanto l'estensione della sua pratica. È chiaro che una comunità cristiana, soprattutto parrocchiale, ha bisogno di forme di comunicazione interna, ma particolarmente ai nostri giorni esse non mancano, ragion per cui non appare necessario inserirle nella liturgia.


Note

(1)Citiamo l'IGMR nella editio typica tertia emendata (2008).

(2) Nell'ultima edizione del Messale di forma ordinaria sono state inserite alcune formule alternative: «Ite, ad Evangelium Domini annuntiandum»; «Ite in pace, glorificando vita vestra Dominum»; «Ite in pace» (cf. Missale Romanum, Reimpressio emendata dell'Editio typica tertia [2008], n. 144, p. 605).

(3) Nella Messa «in Cena Domini» e in ogni Messa cui segue una processione, l'«Ite» è sostituito con la formula «Benedicamus Domino»; nelle Messe per i defunti si sostituisce l'«Ite» con «Requiescant in pace». Infine, come è anche nella forma ordinaria, durante l'ottava di Pasqua alla formula ordinaria «Ite, missa est», come pure alla risposta «Deo gratias», si aggiunge due volte l'alleluja.

(4) «Ti sia gradito, o santa Trinità, l'ossequio del mio servizio: e concedi che il sacrificio che io - sebbene indegno agli occhi della tua divina maestà - ho offerto, sia a te accetto; e, per la tua misericordia, sia propizio per me e per tutti coloro per i quali l'ho offerto. Per Cristo Nostro Signore. Amen».

(5) Si benedice in questo modo anche nelle Messe solenni. Nelle Messe in cui «Ite, missa est» si sostituisce con altre formule (cf. supra, nota 3), non si dà la benedizione. Se si è detto «Requiescant in pace», si passa direttamente dalla preghiera Placeat alla lettura dell'ultimo Vangelo. Se si è detto «Benedicamus Domino», si omette anche l'ultimo Vangelo.

(6) L'ultimo Vangelo si omette: a) nelle Messe in cui l'«Ite» è sostituito da «Benedicamus Domino»; b) nella terza Messa di Natale; c) nella Dominica II Passionis seu in Palmis; d) nella Messa della Veglia Pasquale; e) nelle Messe dei defunti cui segue l'assoluzione al feretro, al tumulo o al drappo; f) in alcune Messe celebrate in occasione di consacrazioni o di benedizioni. La Domenica in Palmis si omette l'ultimo Vangelo se si è tenuta la benedizione dei rami di palma. Altrimenti, l'ultimo Vangelo si legge, ma la pericope giovannea è sostituita con Mt 21,1-9.

(7) Cf. M. Kunzler, La liturgia della Chiesa, Jaca Book, Milano 20032, p. 347.

(8) Cf. anche IGMR (2008), n. 166. L'IGMR (1969-1970) e l'IGMR (1975), ossia l'editio typica prima e l'editio typica altera del Messale post-conciliare, non parlavano della possibilità di dare avvisi al n. 57 (corrispondente al n. 90 dell'attuale editio typica tertia), però ne parlavano al n. 123 (corrispondente all'attuale n. 166).

(9) Per quanto segue, cf. J. Guillet, «Bénédiction», in X. Léon-Dufour (ed.), Vocabulaire de Théologie Biblique, Cerf, Paris 1962, coll. 91-98; J. Scharbert, «Benedizione», in J. Bauer (ed.), Dizionario di Teologia Biblica, Morcelliana, Brescia 1969, pp. 178-189.

(10) Si può ricordare che anche a Qumran la benedizione aveva una funzione importante, ad esempio al momento di essere ammessi nella comunità (cf. 1QS II,1-4).

(11) È ovvio che ciò si applica alla benedizione che Dio riversa su un uomo attraverso un altro uomo, scelto ed elevato da Dio ad una condizione superiore. Non si applica ai casi in cui l'uomo biblico «benedice Dio», dove il termine benedire viene usato nella sfumatura di dire-bene, lodare, onorare, ringraziare, ecc.

(12) R. Berger, Kleines liturgisches Lexikon, Herder, Freiburg im Br. 1987: qui nell'edizione italiana Liturgia, Piemme, Casale Monferrato (AL) 19973, p. 25.

(13) «La Liturgia stabilita dagli Apostoli deve aver contenuto necessariamente tutto ciò che era essenziale alla celebrazione del Sacrificio cristiano, all'amministrazione dei Sacramenti (sia dal punto di vista delle forme essenziali, che da quello dei riti richiesti per la dignità dei misteri), all'esercizio del potere di Santificazione e di Benedizione che la Chiesa ottiene da Cristo per mezzo degli stessi Apostoli...»: P. Guéranger, Institutions liturgiques, Société Générale de Librairie Catholique, Paris 18782, I, 38 (traduzione nostra).

(14) J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001, p. 180.

(15) Questa triplice opportunità si manifesta più chiaramente nel nuovo Messale, anche se il Vetus Ordo già prevedeva la triplice benedizione per le Messe pontificali e, almeno in Quaresima, presentava un'orazione sul popolo introdotta con la formula humiliate capita vestra Deo.

(16) Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, 22.02.2007, n. 51. A. Nocent in passato ha contestato lo slittamento semantico di missa da «congedo» a «missione» e perciò ha lamentato le cattive traduzioni in lingua nazionale dell'«Ite, missa est»: cf. il suo «Storia della celebrazione dell'Eucaristia», in S. Marsili (ed.), Anàmnesis, 3/2: La Liturgia, eucaristia: teologia e storia della celebrazione, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983, pp. 189-190; 269-270.

(17) A. Sorrentino, L'Eucaristia: rito e vita, Dottrinari, Pellezzano (SA) 2008, p. 138.

(18) H. Daniel-Rops, Questa è la Messa. Riflessioni e meditazioni sulla Messa di san Pio V, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV) 2009, pp. 150-151.

(19) G. Chatziemmanouil, La Divina Liturgia. "Ecco, io sono con voi... sino alla fine del mondo" (A. Ranzolin, ed.), LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 247-248.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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