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Altri sacramenti e sacramentali: Battesimo

Ultimo Aggiornamento: 09/12/2013 12:23
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20/03/2013 22:33



Benedetto XVI, Omelia Festa del Battesimo del Signore, Cappella Sistina, 13 gennaio 2008

C’è nel rito del Battesimo un segno eloquente, che esprime proprio la trasmissione della fede ed è la consegna, per ognuno dei battezzandi, di una candela accesa alla fiamma del cero pasquale: è la luce di Cristo risorto che voi vi impegnate a trasmettere ai vostri figli. Così, di generazione in generazione, noi cristiani ci trasmettiamo la luce di Cristo, in modo che quando Egli ritornerà, possa trovarci con questa fiamma ardente tra le mani. Nel corso del rito io vi dirò: "A voi, genitori e padrini, è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare". Alimentate sempre, cari fratelli e sorelle, la fiamma della fede con l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio e l’assidua comunione con Gesù Eucaristia. Vi aiutino in questa stupenda, anche se non facile, missione i santi Protettori dei quali questi tredici bambini prenderanno i nomi. Aiutino, questi Santi, soprattutto loro, i battezzandi, a corrispondere alle vostre premure di genitori cristiani. Sia in particolare la Vergine Maria ad accompagnare loro e voi, cari genitori, ora e sempre. Amen!

 

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Benedetto XVI, Omelia Veglia Pasquale, Basilica Vaticana, 11 aprile 2009

Nella Veglia Pasquale, la Chiesa rappresenta il mistero di luce del Cristo nel segno del cero pasquale, la cui fiamma è insieme luce e calore. Il simbolismo della luce è connesso con quello del fuoco: luminosità e calore, luminosità ed energia di trasformazione contenuta nel fuoco -verità e amore vanno insieme. Il cero pasquale arde e con ciò si consuma: croce e risurrezione sono inseparabili. Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce la luce, viene la vera luminosità nel mondo. Al cero pasquale noi tutti accendiamo le nostre candele, soprattutto quelle dei neobattezzati, ai quali in questo Sacramento la luce di Cristo viene calata nel profondo del cuore. La Chiesa antica ha qualificato il Battesimo come fotismos, come Sacramento dell’illuminazione, come una comunicazione di luce e l’ha collegato inscindibilmente con la risurrezione di Cristo. Nel Battesimo Dio dice al battezzando: “Sia la luce!”. Il battezzando viene introdotto entro la luce di Cristo. Cristo divide ora la luce dalle tenebre. In Lui riconosciamo che cosa è vero e che cosa è falso, che cosa è la luminosità e che cosa il buio. Con Lui sorge in noi la luce della verità e cominciamo a capire. Quando una volta Cristo vide la gente che era convenuta per ascoltarlo e aspettava da Lui un orientamento, ne sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore (cfr Mc 6, 34). In mezzo alle correnti contrastanti del loro tempo non sapevano dove rivolgersi. Quanta compassione Egli deve sentire anche del nostro tempo -a causa di tutti i grandi discorsi dietro i quali si nasconde in realtà un grande disorientamento. Dove dobbiamo andare? Quali sono i valori, secondo cui possiamo regolarci? I valori secondo cui possiamo educare i giovani, senza dare loro delle norme che forse non resisteranno o esigere delle cose che forse non devono essere loro imposte? Egli è la Luce. La candela battesimale è il simbolo dell’illuminazione che nel Battesimo ci vien donata. Così in quest’ora anche san Paolo ci parla in modo molto immediato. Nella Lettera ai Filippesi dice che, in mezzo a una generazione tortuosa e stravolta, i cristiani dovrebbero risplendere come astri nel mondo (cfr Fil 2, 15). Preghiamo il Signore che il piccolo lume della candela, che Egli ha acceso in noi, la luce delicata della sua parola e del suo amore in mezzo alle confusioni di questo tempo non si spenga in noi, ma diventi sempre più grande e più luminosa. Affinché siamo con Lui persone del giorno, astri per il nostro tempo.  

Il secondo simbolo della Veglia Pasquale -la notte del Battesimo -è l’acqua. Essa appare nella Sacra Scrittura, e quindi anche nella struttura interiore del Sacramento del Battesimo, in due significati opposti. C’è da una parte il mare che appare come il potere antagonista della vita sulla terra, come la sua continua  minaccia, alla quale Dio, però, ha posto un limite. Per questo l’Apocalisse dice del mondo nuovo di Dio che lì il mare non ci sarà più (cfr 21, 1). È l’elemento della morte. E così diventa la rappresentazione simbolica della morte in croce di Gesù: Cristo è disceso nel mare, nelle acque della morte come Israele nel Mar Rosso. Risorto dalla morte, Egli ci dona la vita. Ciò significa che il Battesimo non è solo un lavacro, ma una nuova nascita: con Cristo quasi discendiamo nel mare della morte, per risalire come creature nuove.   

L’altro modo in cui incontriamo l’acqua è come sorgente fresca, che dona la vita, o anche come il grande fiume da cui proviene la vita. Secondo l’ordinamento primitivo della Chiesa, il Battesimo doveva essere amministrato con acqua sorgiva fresca. Senza acqua non c’è vita. Colpisce quale importanza abbiano nella Sacra Scrittura i pozzi. Essi sono luoghi dove scaturisce la vita. Presso il pozzo di Giacobbe, Cristo annuncia alla Samaritana il pozzo nuovo, l’acqua della vita vera. Egli si manifesta a lei come il nuovo Giacobbe, quello definitivo, che apre all’umanità il pozzo che essa attende: quell’acqua che dona la vita che non s’esaurisce mai (cfr Gv 4, 5). San Giovanni ci racconta che un soldato con una lancia colpì il fianco di Gesù e che dal fianco aperto -dal suo cuore trafitto -uscì sangue e acqua (cfr Gv 19, 34). La Chiesa antica ne ha visto un simbolo per il Battesimo e l’Eucaristia che derivano dal cuore trafitto di Gesù. Nella morte Gesù è divenuto Egli stesso la sorgente. Il profeta Ezechiele in una visione aveva visto il Tempio nuovo dal quale scaturisce una sorgente che diventa un grande fiume che dona la vita (cfr Ez 47, 1) -in una Terra che sempre soffriva la siccità e la mancanza d’acqua, questa era una grande visione di speranza. La cristianità degli inizi capì: in Cristo questa visione si è realizzata. Egli è il vero, il vivente Tempio di Dio. E Lui è la sorgente di acqua viva. Da Lui sgorga il grande fiume che nel Battesimo fruttifica e rinnova  il mondo; il grande fiume di acqua viva, il suo Vangelo che rende feconda la terra. Gesù ha però profetizzato una cosa ancora più grande. Dice: “Chi crede in me ...dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38). Nel Battesimo il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche sorgenti dalle quali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili che ci lasciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare ai grandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta e così via, persone attraverso le quali veramente fiumi di acqua viva sono entrati nella storia. Grazie a Dio, le troviamo continuamente anche nel nostro quotidiano: persone che sono una sorgente. Certo, conosciamo anche il contrario: persone dalle quali promana un’atmosfera come da uno stagno con acqua stantia o addirittura avvelenata. Chiediamo al Signore, che ci ha donato la grazia del Battesimo, di poter essere sempre sorgenti di acqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore!  

Il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale è di natura tutta particolare; esso coinvolge l’uomo stesso. È il cantare il canto nuovo -l’alleluia. Quando un uomo sperimenta una grande gioia, non può tenerla per sé. Deve esprimerla, trasmetterla. Ma che cosa succede quando l’uomo viene toccato dalla luce della risurrezione e in questo modo viene a contatto con la Vita stessa, con la Verità e con l’Amore? Di ciò egli non può semplicemente parlare soltanto. Il parlare non basta più. Egli deve cantare. La prima menzione del cantare nella Bibbia, la troviamo dopo la traversata del Mar Rosso. Israele si è sollevato dalla schiavitù. È salito dalle profondità minacciose del mare. È come rinato. Vive ed è libero. La Bibbia descrive la reazione del popolo a questo grande evento del salvamento con la frase: “Il popolo credette nel Signore e in Mosè suo servo” (cfr Ex 14, 31). Ne segue poi la seconda reazione che, con una specie di necessità interiore, emerge dalla prima: “Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore\u2026”. Nella Veglia Pasquale, anno per anno, noi cristiani intoniamo dopo la terza lettura questo canto, lo cantiamo come il nostro canto, perché anche noi mediante la potenza di Dio siamo stati tirati fuori dall’acqua e liberati alla vita vera.  

Per la storia del canto di Mosè dopo la liberazione di Israele dall’Egitto e dopo la risalita dal Mar Rosso, c’è un parallelismo sorprendente nell’Apocalisse di san Giovanni. Prima dell’inizio degli ultimi sette flagelli imposti alla terra, appare al veggente qualcosa “come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello\u2026” (Ap 15, 2s). Con questa immagine è descritta la situazione dei discepoli di Gesù Cristo in tutti i tempi, la situazione della Chiesa nella storia di questo mondo. Considerata umanamente, essa è in se stessa contraddittoria. Da una parte, la comunità si trova nell’Esodo, in mezzo al Mar Rosso. In un mare che, paradossalmente, è insieme ghiaccio e fuoco. E non deve forse la Chiesa, per così dire, camminare sempre sul mare, attraverso il fuoco e il freddo? Umanamente parlando, essa dovrebbe affondare. Ma, mentre cammina ancora in mezzo a questo Mar Rosso, essa canta -intona il canto di lode dei giusti: il canto di Mosè e dell’Agnello, in cui s’accordano l’Antica e la Nuova Alleanza. Mentre, tutto sommato, dovrebbe affondare, la Chiesa canta il canto di ringraziamento dei salvati. Essa sta sulle acque di morte della storia e tuttavia è già risorta. Cantando essa si aggrappa alla mano del Signore, che la tiene al di sopra delle acque. Ed essa sa che con ciò è sollevata fuori dalla forza di gravità della morte e del male -una forza dalla quale altrimenti non ci sarebbe via di scampo -sollevata e attirata dentro la nuova forza di gravità di Dio, della verità e dell’amore. Al momento, la Chiesa e noi tutti ci troviamo ancora tra i due campi gravitazionali. Ma da quando Cristo è risorto, la gravitazione dell’amore è più forte di quella dell’odio; la forza di gravità della vita è più forte di quella della morte. Non è forse questa veramente la situazione della Chiesa di tutti i tempi, la situazione nostra? Sempre c’è l’impressione che essa debba affondare, e sempre è già salvata. San Paolo ha illustrato questa situazione con le parole: “Siamo ...come moribondi, e invece viviamo”, (2 Cor 6, 9). La mano salvifica del Signore ci sorregge, e così possiamo cantare già ora il canto dei salvati, il canto nuovo dei risorti: alleluia! Amen.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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