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Liturgia - pietà popolare (bene intesa) e Liturgia delle Ore

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2013 15:48
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20/03/2013 20:28

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Liturgia – Pietà popolare

 

Benedetto XVI, Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, 22 febbraio 2007

La prima domanda è stata posta da Mons. Pasquale Silla, Parroco Rettore del Santuario di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva, il quale ha ricordato la visita compiuta da Benedetto XVI il 1 maggio 2006 e la consegna lasciata alla comunità parrocchiale: svolgere nel Santuario e dal Santuario una fervente preghiera per il Vescovo di Roma, per i suoi Collaboratori, per tutto il Clero e i fedeli della Diocesi. In risposta a questa richiesta, la comunità del Divino Amore si è impegnata a qualificare al massimo la preghiera in tutte le sue forme -soprattutto quella liturgica -perché sia assidua e concorde: uno dei frutti di questo impegno è l'adorazione eucaristica perpetua che dal prossimo 25 marzo sarà avviata nel Santuario. Anche sul fronte della carità, il Santuario si sta impegnando ad allargare i suoi orizzonti, soprattutto nel campo dell'accoglienza dei minori, delle famiglie, degli anziani. In questa prospettiva, Mons. Silla ha chiesto a Benedetto XVI indicazioni concrete per poter realizzare sempre più efficacemente la missione del Santuario mariano nella Diocesi. 

R. Vorrei innanzitutto dire che sono contento e felice di sentirmi qui realmente Vescovo di una grande Diocesi. Il Cardinale Vicario ha detto che vi aspettate luce e conforto. E devo dire che vedere tanti sacerdoti di tutte le generazioni è luce e conforto per me. Già dalla prima domanda ho anche e soprattutto imparato: e questo mi sembra anche un elemento essenziale del nostro incontro. Qui posso sentire la voce viva e concreta dei Parroci, le loro esperienze pastorali, e così posso soprattutto apprendere anch'io la vostra situazione concreta, le questioni che avete, le esperienze che fate, le difficoltà. Così posso viverle non solo in modo astratto, ma in un concreto colloquio con la vita reale delle parrocchie. 

Vengo a questa prima domanda. Mi sembra che Lei abbia dato essenzialmente anche la risposta riguardo a quello che può fare questo Santuario... So che è il Santuario mariano più amato dai romani. Io stesso, quando sono venuto diverse volte nel Santuario antico, ho fatto esperienza di questa pietà secolare. Si sente la presenza della preghiera di generazioni e si tocca quasi con mano la presenza materna della Madonna. Si può realmente vivere un incontro con la devozione mariana dei secoli, con i desideri, le necessità, i bisogni, le sofferenze, anche le gioie delle generazioni nell'incontro con Maria. Così questo Santuario, al quale vengono le persone con le loro speranze, questioni, domande, sofferenze, è un fatto essenziale per la Diocesi di Roma. Sempre più vediamo che i Santuari sono una fonte di vita e di fede nella Chiesa universale, e così anche nella Chiesa di Roma. Nella mia terra ho avuto l'esperienza dei pellegrinaggi a piedi al nostro Santuario nazionale di Altötting. È una grande missione popolare. Ci vanno soprattutto i giovani e, pellegrinando a piedi per tre giorni, vivono nell'atmosfera della preghiera, dell'esame di coscienza, quasi riscoprono la loro coscienza cristiana di fede. Questi tre giorni di pellegrinaggio a piedi sono giorni di confessione, di preghiera, sono un vero cammino verso la Madonna, verso la famiglia di Dio e poi verso l'Eucaristia. Andando a piedi, vanno alla Madonna e vanno, con la Madonna, al Signore, all'incontro eucaristico, preparandosi con la confessione al rinnovamento interiore. Vivono di nuovo la realtà eucaristica  del Signore che dà se stesso, come la Madonna ha dato la propria carne al Signore, aprendo così la porta all'Incarnazione. La Madonna ha dato la carne per l'Incarnazione e così ha reso possibile l'Eucaristia, nella quale riceviamo la Carne che è il Pane per il mondo. Andando all’incontro con la Madonna, gli stessi giovani imparano ad offrire la propria carne, la vita di ogni giorno perché sia consegnata al Signore. E imparano a credere, a dire, man mano, «Sì» al Signore. 

Perciò direi, per ritornare alla domanda, che il Santuario come tale, come luogo di preghiera, di confessione, di celebrazione dell'Eucaristia, è un grande servizio, nella Chiesa di oggi, per la Diocesi di Roma. Quindi penso che l'essenziale servizio, del quale Lei, del resto, ha parlato in modo concreto, è proprio quello di offrirsi come luogo di preghiera, di vita sacramentale e di vita di carità realizzata. Lei, se ho capito bene, ha parlato di quattro dimensioni della preghiera. La prima è quella personale. E qui Maria ci mostra la strada. San Luca ci dice due volte che la Vergine “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (2,19; cfr 2,51). Era una persona in colloquio con Dio, con la Parola di Dio, e anche con gli avvenimenti tramite i quali Dio parlava con Lei. Il «Magnificat» è un «tessuto» fatto di parole della Sacra Scrittura e ci mostra come Maria abbia vissuto in un colloquio permanente con la Parola di Dio e, così, con Dio stesso. Naturalmente, poi, nella vita insieme con il Signore, è stata sempre in colloquio con Cristo, con il Figlio di Dio e con il Dio trinitario. Quindi impariamo da Maria a parlare personalmente con il Signore, ponderando e conservando nella nostra vita e nel nostro cuore le parole di Dio, perché diventino nutrimento vero per ciascuno. Così Maria ci guida in una scuola di preghiera, in un contatto personale e profondo con Dio. 

La seconda dimensione della quale Lei ha parlato è la preghiera liturgica. Nella Liturgia il Signore ci insegna a pregare, prima dandoci la sua Parola, poi introducendoci nella Preghiera eucaristica alla comunione con il suo mistero di vita, di Croce e di Risurrezione. San Paolo ha detto una volta che “nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare” (Rm 8,26): noi non sappiamo come pregare, cosa dire a Dio. Perciò Dio ci ha dato le parole della preghiera, sia nel Salterio, sia nelle grandi preghiere della sacra Liturgia, sia proprio nella Liturgia eucaristica stessa. Qui ci insegna a pregare. Noi entriamo nella preghiera formatasi nei secoli sotto l'ispirazione dello Spirito Santo e ci uniamo al colloquio di Cristo con il  Padre. Quindi la Liturgia è soprattutto preghiera: prima ascolto e poi risposta, sia nel Salmo responsoriale sia nella preghiera della Chiesa, sia nella grande Preghiera eucaristica. Noi la celebriamo bene se la celebriamo in atteggiamento «orante», unendoci al mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio col Padre. Se celebriamo l'Eucaristia in questo modo, come ascolto prima, poi come risposta, quindi come preghiera con le parole indicate dallo Spirito Santo, la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio. 

La terza dimensione è quella della pietà popolare. Un importante Documento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti parla di questa pietà popolare e ci indica come «guidarla». La pietà popolare è una nostra forza, perché si tratta di preghiere molto radicate nel cuore delle persone. Anche persone che sono un po' lontane dalla vita della Chiesa e non hanno grande comprensione della fede sono toccate nel cuore da questa preghiera. Si deve solo «illuminare» questi gesti, «purificare» questa tradizione affinché diventi vita attuale della Chiesa. 

Poi, l'adorazione eucaristica. Sono molto grato perché sempre più si rinnova l'adorazione eucaristica. Durante il Sinodo sull'Eucaristia i Vescovi hanno parlato molto delle loro esperienze, di come ritorna nuova vita nelle comunità con questa adorazione, anche notturna, e di come proprio così nascono anche nuove vocazioni. Posso dire che fra poco firmerò l’Esortazione post-sinodale sull’Eucaristia, che sarà poi a disposizione della Chiesa. È un Documento che si offre proprio alla meditazione. Esso aiuterà sia nella celebrazione liturgica, sia nella riflessione personale, sia nella preparazione delle omelie, sia nella celebrazione dell'Eucaristia. E servirà anche a guidare, illuminare e rivitalizzare la pietà popolare.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2013 20:30

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Benedetto XVI, Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, 26 febbraio 2009

8) Santo Padre, sono Pietro Riggi e sono un salesiano che opera al Borgo ragazzi Don Bosco, le volevo chiedere: il Concilio Vaticano II ha portato tante importantissime novità nella Chiesa, ma non ha abolito le cose che già vi erano. Mi sembra che diversi sacerdoti o teologi vorrebbero far passare come spirito del Concilio ciò che invece non c'entra con il Concilio stesso. Ad esempio le indulgenze. Esiste il Manuale delle indulgenze della Penitenzieria apostolica, attraverso le indulgenze si attinge al tesoro della Chiesa e si possono suffragare le anime del Purgatorio. Esiste un calendario liturgico in cui si dice quando e come si possono lucrare le indulgenze plenarie, ma tanti sacerdoti non ne parlano più, impedendo di fare arrivare suffragi importantissimi alle anime del Purgatorio. Le benedizioni. Vi è il Manuale delle benedizioni in cui si prevede la benedizione di persone, ambienti, oggetti e prefino di alimenti. Ma molti sacerdoti sconoscono queste cose, altri le ritengono preconciliari, così mandano via quei fedeli che chiedono quello che per diritto dovrebbero avere.

Le pratiche di pietà più conosciute. I primi venerdì del mese non sono stati aboliti dal Concilio Vaticano II, ma tanti sacerdoti non ne parlano più, oppure, addirittura, ne parlano male. Oggi vi è un senso di avversione a tutto questo, perché le vedono antiche e dannose, come cose vecchie e preconciliari, mentre ritengo che tutte queste preghiere e pratiche cristiane sono attualissime e molto importanti, che vanno riprese e spiegate adeguatamente al Popolo di Dio, nel sano equilibrio e nella verità a completezza del Vaticano II.

Volevo anche chiederle: una volta lei parlando di Fatima ha detto che vi è un legame tra Fatima e Akita, le lacrimazioni della Madonna in Giappone. Sia Paolo VI che Giovanni Paolo II hanno celebrato a Fatima una messa solenne ed hanno utilizzato lo stesso brano della sacra Scrittura, Apocalisse 12, la donna vestita di sole che lotta una battaglia decisiva contro il serpente antico, il diavolo, satana. C'è affinità tra Fatima e Apocalisse 12?

Concludo: l'anno scorso un sacerdote le ha regalato un quadro, io non so dipingere ma volevo anch'io farle un regalo, così ho pensato di farle dono di tre libri che ho scritto di recente, spero che le piacciano.

R. Sono realtà delle quali il Concilio non ha parlato, ma che suppone come realtà nella Chiesa. Esse vivono nella Chiesa e si sviluppano. Adesso non è il momento per entrare nel grande tema delle indulgenze. Paolo VI ha riordinato questo tema e ci indica il filo per capirlo. Direi che si tratta semplicemente di uno scambio di doni, cioè quanto nella Chiesa esiste di bene, esiste per tutti. Con questa chiave dell'indulgenza possiamo entrare in questa comunione dei beni della Chiesa. I protestanti si oppongono affermando che l'unico tesoro è Cristo. Ma per me la cosa meravigliosa è che Cristo -il quale realmente è più che sufficiente nel suo amore infinito, nella sua divinità e umanità -voleva aggiungere, a quanto ha fatto lui, anche la nostra povertà. Non ci considera solo come oggetti della sua misericordia, ma ci fa soggetti della misericordia e dell'amore insieme con Lui, quasi che -anche se non quantitativamente, almeno in senso misterico -ci volesse aggiungere al grande tesoro del corpo di Cristo. Voleva essere il Capo con il corpo. E voleva che con il corpo fosse completato il mistero della sua redenzione. Gesù voleva avere la Chiesa come suo corpo, nel quale si realizza tutta la ricchezza di quanto ha fatto. Da questo mistero risulta proprio che esiste un tesaurus ecclesiae, che il corpo, come il capo, dona tanto e noi possiamo avere l'uno dall'altro e possiamo donare l'uno all'altro. 

E così vale anche per le altre cose. Per esempio, i venerdì del sacro Cuore: è una cosa molto bella nella Chiesa. Non sono cose necessarie, ma cresciute nella ricchezza della meditazione del mistero. Così il Signore ci offre nella Chiesa queste possibilità. Non mi sembra adesso il momento di entrare in tutti i dettagli. Ognuno può più o meno capire cosa è meno importante di un'altra; ma nessuno dovrebbe disprezzare questa ricchezza, cresciuta nei secoli come offerta e come moltiplicazione delle luci nella Chiesa. Unica è la luce di Cristo. Appare in tutti i suoi colori e offre la conoscenza della ricchezza del suo dono, l'interazione tra capo e corpo, l'interazione tra le membra, così che possiamo essere veramente insieme un organismo vivente, nel quale ognuno dona a tutti, e tutti donano il Signore, il quale ci ha donato tutto se stesso.

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2013 20:32

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Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina, 8 aprile 2011

(...) 1. Saluto con affetto i consiglieri e i membri della Pontificia Commissione per l’America latina, che si sono riuniti a Roma per la loro Assemblea Plenaria. Saluto in modo particolare il signor cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi e presidente di detta Pontificia Commissione, ringraziandolo vivamente per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti per presentarmi i risultati di queste giornate di studio e di riflessione. 

2. Il tema scelto per questo incontro, «Incidenza della pietà popolare nel processo di evangelizzazione dell’America latina», affronta direttamente uno degli aspetti più importanti per il compito missionario nel quale sono impegnate le Chiese particolari di questo grande continente latinoamericano. I vescovi che si sono riuniti ad Aparecida per la V Conferenza generale dell’episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, che ho avuto il piacere d’inaugurare nel mio viaggio in Brasile nel maggio del 2007, presentano la pietà popolare come uno spazio d’incontro con Gesù Cristo e un modo di esprimere la fede della Chiesa. Non può pertanto essere considerata come un aspetto secondario della vita cristiana, poiché ciò «sarebbe dimenticare il primato dell’azione dello Spirito e l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio» (Documento conclusivo, n. 263). 

Questa espressione semplice della fede ha le sue radici nell’inizio stesso dell’evangelizzazione di quelle terre. In effetti, man mano che il messaggio salvifico di Cristo illuminava e animava le culture locali, si tesseva pian piano la ricca e profonda religiosità popolare che caratterizza l’esperienza di fede dei popoli latinoamericani, la quale, come ho detto nel discorso inaugurale della Conferenza di Aparecida, costituisce «il prezioso tesoro della Chiesa cattolica in America latina, e che essa deve proteggere, promuovere e, quando fosse necessario, anche purificare» (n. 1). 

3. Per portare a termine la nuova evangelizzazione in America latina, all’interno di un processo che permei tutto l’essere e l’agire del cristiano, non si possono trascurare le molteplici dimostrazioni della pietà popolare. Tutte, ben canalizzate e debitamente accompagnate, propiziano un fecondo incontro con Dio, un’intensa venerazione del Santissimo Sacramento, una profonda devozione alla Vergine Maria, un coltivare l’affetto per il Successore di Pietro e una presa di coscienza di appartenenza alla Chiesa. Che tutto ciò serva anche per evangelizzare, per comunicare la fede, per avvicinare i fedeli ai sacramenti, per rafforzare i vincoli di amicizia e di unione familiare e comunitaria, come pure per incrementare la solidarietà e l’esercizio della carità. 

La fede deve essere di conseguenza la fonte principale della pietà popolare, affinché questa non si riduca a una semplice espressione culturale di una determinata regione. Deve inoltre essere in stretta relazione con la sacra Liturgia, la quale non può essere sostituita da nessun’altra espressione religiosa. A tale proposito, non si può dimenticare, come afferma il Direttorio su pietà popolare e liturgia, pubblicato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che «liturgia e pietà popolare sono quindi due espressioni cultuali da porre in mutuo e fecondo contatto: in ogni caso tuttavia la Liturgia dovrà costituire il punto di riferimento per “incanalare con lucidità e prudenza gli aneliti di preghiera e di vita carismatica” che si riscontrano nella pietà popolare; dal canto suo la pietà popolare, con i suoi valori simbolici ed espressivi, potrà fornire alla Liturgia alcune coordinate per una valida inculturazione e stimoli per un efficace dinamismo creatore» (n. 58).

4. Nella pietà popolare s’incontrano molte espressioni di fede legate alle grandi celebrazioni dell’anno liturgico, in cui la gente semplice dell’America latina riafferma l’amore che sente per Gesù Cristo, nel quale trova la manifestazione della vicinanza di Dio, della sua compassione e misericordia. Sono numerosi i santuari dedicati alla contemplazione dei misteri dell’infanzia, passione, morte e resurrezione del Signore, e a essi si recano moltitudini di persone per mettere nelle sue divine mani le loro sofferenze e le loro gioie, chiedendo allo stesso tempo copiose grazie e implorando il perdono per i loro peccati. Intimamente unita a Gesù è anche la devozione dei popoli dell’America latina e dei Caraibi per la Santissima Vergine Maria. Ella, fin dagli albori dell’evangelizzazione, accompagna i figli di questo continente ed è per essi sorgente inesauribile di speranza. Per questo, si ricorre a Maria come Madre del Salvatore, per sentire costantemente la sua protezione amorevole con diversi titoli. Allo stesso modo, i santi sono considerati stelle luminose che costellano il cuore di numerosi fedeli di quei Paesi, edificandoli con il loro esempio e proteggendoli con la loro intercessione. 

5. Non si può negare tuttavia che esistono alcune forme deviate di religiosità popolare che, lungi dal promuovere una partecipazione attiva alla Chiesa, creano piuttosto confusione e possono favorire una pratica religiosa meramente esteriore e svincolata da una fede ben radicata e interiormente viva. A tale proposito vorrei ricordare qui quel che ho scritto ai seminaristi lo scorso anno: «la pietà popolare tende all’irrazionalità, talvolta forse anche all’esteriorità. Eppure, escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di essa, la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà popolare è un grande patrimonio della Chiesa. La fede si è fatta carne e sangue. Certamente la pietà popolare dev’essere sempre purificata, riferita al centro, ma merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente reale “Popolo di Dio”» (Lettera ai seminaristi, 18 ottobre 2010, n. 4). 

6. Durante gli incontri che ho avuto in questi ultimi anni, in occasione delle visite ad limina, i vescovi dell’America latina e dei Caraibi hanno sempre fatto riferimento a ciò che stanno realizzando nelle loro rispettive circoscrizioni ecclesiastiche per avviare e incoraggiare la Missione continentale, con la quale l’episcopato latinoamericano ha voluto rilanciare il processo di nuova evangelizzazione dopo Aparecida, invitando tutti i membri della Chiesa a mettersi in stato permanente di missione. Si tratta di un’opzione molto importante, poiché con essa si vuole tornare a un aspetto fondamentale dell’opera della Chiesa, ossia dare il primato alla Parola di Dio affinché sia l’alimento permanente della vita cristiana e l’asse di ogni azione pastorale. 

Questo incontro con la Parola divina deve portare a un profondo cambiamento di vita, a un’identificazione radicale con il Signore e con il suo Vangelo, a prendere pienamente coscienza che è necessario essere saldamente consolidati in Cristo, riconoscendo che «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Lettera enciclica Deus caritas est, n. 1). 

In tal senso, sono lieto di sapere che in America latina sta crescendo la pratica della lectio divina nelle parrocchie e nelle piccole comunità ecclesiali, come un modo comune di alimentare la preghiera e così facendo di dare solidità alla vita spirituale dei fedeli, poiché «nella parola biblica la pietà popolare troverà una fonte inesauribile di ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e feconde proposte tematiche» (Direttorio su pietà popolare e liturgia, n. 87). 

7. Cari fratelli, vi ringrazio per i vostri validi contributi volti a proteggere, promuovere e purificare tutto ciò che è legato alle espressioni della religiosità popolare in America latina. Per raggiungere tale obiettivo, sarà molto importante continuare a dare impulso alla Missione continentale, nella quale deve avere uno spazio particolare tutto ciò che si riferisce a questo ambito pastorale, che costituisce una forma privilegiata affinché la fede sia accolta nel cuore del popolo, tocchi i sentimenti più profondi delle persone e si manifesti vigorosa e operante per mezzo della carità (cfr. Gal 5, 6). 

8. Nel concludere questo gioioso incontro, mentre invoco il dolce Nome di Maria Santissima, perfetta discepola e pedagoga dell’evangelizzazione, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica, pegno della benevolenza divina.



Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/03/2013 15:45


UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE
 

 benedetto xvi mons. georg ratzinger liturgia ore

Liturgia delle Ore

 

 

Liturgia delle Ore

Benedetto XVI, Omelia Vespri, Altötting (Baviera), 11 settembre 2006

Il Papa Gregorio Magno, in una sua omelia, disse una volta che gli angeli di Dio, a qualunque distanza vadano con le loro missioni, si muovono sempre in Dio. Sono sempre con Lui. E parlando degli angeli, san Gregorio pensò anche ai vescovi e ai sacerdoti: ovunque vadano, dovrebbero sempre “stare con Lui”. La prassi lo afferma: dove i sacerdoti, a causa dei grandi compiti, permettono che lo stare col Signore si riduca sempre di più, lì perdono infine, nonostante la loro attività forse eroica, la forza interiore che li sostiene. Quello che fanno diventa alla fine un vuoto attivismo. Stare con Lui -come si può realizzare?

(...)

Un modo fondamentale dello stare con Lui è la Liturgia delle Ore: in essa preghiamo da uomini bisognosi del dialogo con Dio, coinvolgendo però anche tutti gli altri che non hanno il tempo e la possibilità per una tale preghiera. Perché la nostra Celebrazione eucaristica e la Liturgia delle Ore rimangano colme di significato, dobbiamo dedicarci sempre di nuovo alla lettura spirituale della Sacra Scrittura; non soltanto decifrare e spiegare parole del passato, ma cercare la parola di conforto che il Signore rivolge attualmente a me, il Signore che oggi mi interpella per mezzo di questa parola. Solo così saremo in grado di portare la Parola sacra agli uomini di questo nostro tempo come Parola presente e vivente di Dio

 

Liturgia delle Ore

Benedetto XVI, Incontro con i sacerdoti e i diaconi permanenti della Baviera, Freising, 14 settembre 2006

E ancora, “tradotto” a un terzo livello, questo insieme di zelo e di moderazione significa poi anche l’insieme di servizio in tutte le sue dimensioni e di interiorità. Possiamo servire gli altri, possiamo donare solo se personalmente anche riceviamo, se noi stessi non ci svuotiamo. E la Chiesa per questo ci propone degli spazi liberi che, da una parte, sono spazi per un nuovo "espirare" ed "inspirare" e, d’altra parte, diventano centro e fonte del servire.

(...)

L’altro spazio libero che la Chiesa, per così dire, ci impone e così anche ci libera donandocelo, è la Liturgia delle Ore. Cerchiamo di recitarla come vera preghiera, preghiera in comunione con l’Israele dell’Antica e della Nuova Alleanza, preghiera in comunione con gli oranti di tutti i secoli, preghiera in comunione con Gesù Cristo, preghiera che sale dall’Io più profondo, dal soggetto più profondo di queste preghiere. E pregando così, coinvolgiamo in questa preghiera anche gli altri uomini che per questo non hanno il tempo o l’energia o la capacità. Noi stessi, come persone oranti, preghiamo in rappresentanza degli altri, svolgendo con ciò un ministero pastorale di primo grado. Questo non è un ritirarsi nel privato, ma è una priorità pastorale, è un’azione pastorale, nella quale noi stessi diventiamo nuovamente sacerdoti, veniamo nuovamente colmati di Cristo, includiamo gli altri nella comunione della Chiesa orante e, al contempo, lasciamo emanare la forza della preghiera, la presenza di Gesù Cristo, in questo mondo.

 





Fraternamente CaterinaLD

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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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21/03/2013 15:48

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Liturgia delle Ore

Benedetto XVI, Discorso nella visita all’Abbazia di Heiligenkreuz, 9 settembre 2007

Nella vita dei monaci, tuttavia, la preghiera ha una speciale importanza: è il centro del loro compito professionale. Essi, infatti, esercitano la professione dell’orante. Nell’epoca dei Padri della Chiesa, la vita monastica veniva qualificata come vita a modo degli angeli. E come caratteristica essenziale degli angeli si vedeva il loro essere adoratori. La loro vita è adorazione. Questo dovrebbe valere anche per i monaci. Essi pregano innanzitutto non per questa o quell’altra cosa, ma semplicemente perché Dio merita di essere adorato. “Confitemini Domino, quoniam bonus! -Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia!”, esortano vari Salmi (ad es. Sal 106, 1). Una tale preghiera senza scopo specifico, che vuol essere puro servizio divino viene perciò chiamata con ragione “officium”. È il “servizio” per eccellenza, il “servizio sacro” dei monaci. Esso è offerto al Dio trinitario che, al di sopra di tutto, è degno “di ricevere la gloria, l’onore e la potenza” (Ap 4,11), perché ha creato il mondo in modo meraviglioso e in modo ancora più meraviglioso l’ha rinnovato.

Allo stesso tempo, l’officium dei consacrati è anche un servizio sacro agli uomini e una testimonianza per loro. Ogni uomo porta nell’intimo del suo cuore, consapevolmente o in modo inconscio, la nostalgia di un definitivo appagamento, della massima felicità, quindi in fondo di Dio. Un monastero, in cui la comunità si raduna più volte al giorno per lodare Dio, testimonia che questo originario desiderio umano non cade nel vuoto: il Dio Creatore non ha posto noi uomini in tenebre spaventose dove, andando a tentoni, dovremmo disperatamente cercare un fondamentale ultimo senso (cfr At 17,27); Dio non ci ha abbandonati in un deserto del nulla, privo di senso, dove, in definitiva, ci aspetta soltanto la morte. No! Dio ha illuminato le nostre tenebre con la sua luce, per opera del suo Figlio Gesù Cristo. In Lui, Dio è entrato nel nostro mondo con tutta la sua “pienezza” (cfr Col 1,19), in Lui ogni verità, di cui abbiamo nostalgia, ha la sua origine ed il suo culmine.[2]

La nostra luce, la nostra verità, la nostra meta, il nostro appagamento, la nostra vita -tutto ciò non è una dottrina religiosa, ma una Persona: Gesù Cristo. Molto al di là delle nostre capacità di cercare e di desiderare Dio, siamo già prima stati cercati e desiderati, anzi, trovati e redenti da Lui! Lo sguardo degli uomini di ogni tempo e popolo, di tutte le filosofie, le religioni e le culture incontra infine gli occhi spalancati del Figlio di Dio crocifisso e risorto; il suo cuore aperto è la pienezza dell’amore. Gli occhi di Cristo sono lo sguardo del Dio che ama. L’immagine del Crocifisso sopra l’altare, il cui originale romano si trova nel Duomo di Sarzano, mostra che questo sguardo si volge ad ogni uomo. Il Signore, infatti, guarda nel cuore di ciascuno di noi.

Il nocciolo del monachesimo è l’adorazione -il vivere alla maniera degli angeli. Essendo, tuttavia, i monaci uomini con carne e sangue su questa terra, san Benedetto all’imperativo centrale dell’”ora” ne ha aggiunto un secondo: il “labora”. Secondo il concetto di san Benedetto come anche di san Bernardo, una parte della vita monastica, insieme alla preghiera, è anche il lavoro, la coltivazione della terra in conformità alla volontà del Creatore. Così in tutti i secoli i monaci, partendo dal loro sguardo rivolto a Dio, hanno reso la terra vivibile e bella. La salvaguardia e il risanamento della creazione provenivano proprio dal loro guardare a Dio. Nel ritmo dell’ora et labora la comunità dei consacrati dà testimonianza di quel Dio che in Gesù Cristo ci guarda, e uomo e mondo, guardati da Lui, diventano buoni.

Non solo i monaci dicono l’officium, ma la Chiesa dalla tradizione monastica ha derivato per tutti i religiosi, ed anche per sacerdoti e diaconi la recita del Breviario. Vale anche qui che le religiose e i religiosi, i sacerdoti e i diaconi -e naturalmente anche i Vescovi -nella quotidiana preghiera “ufficiale” si presentano davanti a Dio con inni e salmi, con ringraziamenti e domande senza scopi specifici.

Cari confratelli nel ministero sacerdotale e diaconale, cari fratelli e sorelle nella vita consacrata! Io so che ci vuole disciplina, anzi, a volte anche superamento di sé per recitare fedelmente il Breviario; ma mediante questo officium riceviamo allo stesso tempo molte ricchezze: quante volte nel fare ciò stanchezza e abbattimento si dileguano! E là dove Dio viene lodato ed adorato con fedeltà, la sua benedizione non manca. Con ragione si dice in Austria: “Tutto dipende dalla benedizione di Dio!”

Il vostro servizio primario per questo mondo deve quindi essere la vostra preghiera e la celebrazione del divino Officio. La disposizione interiore di ogni sacerdote, di ogni persona consacrata deve essere quella di “non anteporre nulla al divino Officio”. La bellezza di una tale disposizione interiore si esprimerà nella bellezza della liturgia al punto che là dove insieme cantiamo, lodiamo, esaltiamo ed adoriamo Dio, si rende presente sulla terra un pezzetto di cielo. Non è davvero temerario se in una liturgia totalmente centrata su Dio, nei riti e nei canti, si vede un’immagine dell’eternità. Altrimenti, come avrebbero potuto i nostri antenati centinaia di anni fa costruire un edificio sacro così solenne come questo? Già la sola architettura qui attrae in alto i nostri sensi verso “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (cfr 1 Cor 2, 9).In ogni forma di impegno per la liturgia criterio determinante deve essere sempre lo sguardo verso Dio. Noi stiamo davanti a Dio -Egli ci parla e noi parliamo a Lui. Là dove, nelle riflessioni sulla liturgia, ci si chiede soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa. O essa è opus Dei con Dio come specifico soggetto o non è. In questo contesto io vi chiedo: realizzate la sacra liturgia avendo lo sguardo a Dio nella comunione dei santi, della Chiesa vivente di tutti i luoghi e di tutti i tempi, affinché diventi espressione della bellezza e della sublimità del Dio amico degli uomini!

L’anima della preghiera, infine, è lo Spirito Santo. Sempre, quando preghiamo, è in verità Lui che “viene in aiuto alla nostra debolezza, intercedendo con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (cfr Rm 8, 26). Confidando in questa parola dell’apostolo Paolo vi assicuro, cari fratelli e sorelle, che la preghiera susciterà in voi quell’effetto che una volta si esprimeva chiamando sacerdoti e persone consacrate semplicemente “Geistliche” (cioè persone spirituali). Il Vescovo Sailer di Ratisbona disse una volta che i sacerdoti dovrebbero essere prima di tutto persone spirituali. Mi piacerebbe se l’espressione “Geistliche” ritornasse nuovamente  più in uso. È però soprattutto importante che si realizzi in noi quella realtà che la parola descrive: che nella sequela del Signore, in virtù della forza dello Spirito, diventiamo persone “spirituali”.

 

Liturgia delle Ore

Benedetto XVI, Omelia nella celebrazione dell’Ora media, Milano 2 giugno 2012

In questo momento viviamo il mistero della Chiesa nella sua espressione più alta, quella della preghiera liturgica. Le nostre labbra, i nostri cuori e le nostre menti, nella preghiera ecclesiale, si fanno interpreti delle necessità e degli aneliti dell’intera umanità. Con le parole del Salmo 118 abbiamo supplicato il Signore a nome di tutti gli uomini: «Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti ... Venga a me, Signore, la tua grazia». La preghiera quotidiana della Liturgia delle Ore costituisce un compito essenziale del ministero ordinato nella Chiesa. Anche attraverso l’Ufficio divino, che prolunga nella giornata il mistero centrale dell’Eucaristia, i presbiteri sono in modo particolare uniti al Signore Gesù, vivo e operante nel tempo. Il Sacerdozio: quale dono prezioso! Voi cari Seminaristi che vi preparate a riceverlo imparate a gustarlo fin da ora e vivete con impegno il tempo prezioso nel Seminario! L’Arcivescovo Montini, durante le Ordinazioni del 1958 così diceva proprio in questo Duomo: «Comincia la vita  sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo ... fonte di perpetua meditazione ...sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; [il Sacerdozio] - disse - è sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero ... è riconoscimento dell’opera di Dio in noi» (Omelia per l’Ordinazione di 46 Sacerdoti, 21 giugno 1958).




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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