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Intervista a Benedetto XVI che risponde alle nostre domande (2011)

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2013 17:49
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20/03/2013 11:41

Benedetto XVI



INTERVISTA A BENEDETTO XVI
TRASMESSA IN ITALIA NEL PROGRAMMA DI RAI UNO

«A SUA IMMAGINE. DOMANDE SU GESÙ»

Venerdì Santo, 22 aprile 2011

  

Santo Padre, voglio dirle grazie per questa sua presenza che ci riempie di gioia e ci aiuta a ricordare che oggi è il giorno in cui Gesù dimostra nel modo più radicale il suo amore, cioè morendo in Croce da innocente. E proprio sul tema del dolore innocente è la prima domanda che arriva da una bambina giapponese di sette anni, che le dice: «Mi chiamo Elena, sono giapponese ed ho sette anni. Ho tanta paura perché la casa in cui mi sentivo sicura ha tremato, tanto tanto, e molti miei coetanei sono morti. Non posso andare a giocare nel parco. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché i bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di spiegarmelo».

Cara Elena, ti saluto di cuore. Anche a me vengono le stesse domande: perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità? E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. Questo mi sembra molto importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra parte, e siate sicuri che questo vi aiuterà. E un giorno potremo anche capire perché era così. In questo momento mi sembra importante che sappiate: «Dio mi ama», anche se sembra che non mi conosca. No, mi ama, sta dalla mia parte, e dovete essere sicuri che nel mondo, nell’universo, tanti sono con voi, pensano a voi, fanno per quanto possono qualcosa per voi, per aiutarvi. Ed essere consapevoli che, un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che dietro di essa c’è un progetto buono, un progetto di amore. Non è un caso. Stai sicura, noi siamo con te, con tutti i bambini giapponesi che soffrono, vogliamo aiutarvi con la preghiera, con i nostri atti e siate sicuri che Dio vi aiuta. E in questo senso preghiamo insieme perché per voi venga luce quanto prima.

La seconda domanda ci presenta un calvario, perché abbiamo una mamma sotto la croce di un figlio. È italiana, si chiama Maria Teresa questa mamma, e le dice: «Santità, l’anima di questo mio figlio Francesco, in stato vegetativo dal giorno di Pasqua 2009, ha abbandonato il suo corpo, visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui?».

Certamente l’anima è ancora presente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra le cui corde sono spezzate, così non si possono suonare. Così anche lo strumento del corpo è fragile, è vulnerabile, e l’anima non può suonare, per così dire, ma rimane presente. Io sono anche sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un amore la sente. E perciò questa vostra presenza, cari genitori, cara mamma, accanto a lui, ore ed ore ogni giorno, è un atto vero di amore di grande valore, perché questa presenza entra nella profondità di quest’anima nascosta e il vostro atto è, quindi, anche una testimonianza di fede in Dio, di fede nell’uomo, di fede, diciamo di impegno per la vita, di rispetto per la vita umana, anche nelle situazioni più tristi. Quindi vi incoraggio a continuare, a sapere che fate un grande servizio all’umanità con questo segno di fiducia, con questo segno di rispetto della vita, con questo amore per un corpo lacerato, un’anima sofferente.

La terza domanda ci porta in Iraq, tra i giovani di Baghdad, cristiani perseguitati che le mandano questa domanda: «Salute al Santo Padre dall’Iraq — dicono — Noi cristiani di Baghdad siamo stati perseguitati come Gesù. Santo Padre, secondo lei, in che modo possiamo aiutare la nostra comunità cristiana a riconsiderare il desiderio di emigrare in altri Paesi, convincendola che partire non è l’unica soluzione?».

Vorrei innanzitutto salutare di cuore tutti i cristiani dell’Iraq, nostri fratelli, e devo dire che prego ogni giorno per i cristiani in Iraq.
Sono i nostri fratelli sofferenti, come anche in altre terre del mondo, e quindi sono particolarmente vicini al nostro cuore e noi dobbiamo fare, per quanto possiamo, il possibile perché possano rimanere, perché possano resistere alla tentazione di migrare, perché è molto comprensibile nelle condizioni nelle quali vivono. Io direi che è importante che noi siamo vicini a voi, cari fratelli in Iraq, che noi vogliamo aiutarvi, anche quando venite, ricevervi realmente come fratelli. E naturalmente, le istituzioni, tutti coloro che hanno realmente una possibilità di fare qualcosa in Iraq per voi, devono farlo. La Santa Sede è in permanente contatto con le diverse comunità, non solo con le comunità cattoliche, con le altre comunità cristiane, ma anche con i fratelli musulmani, sia sciiti, sia sunniti. E vogliamo fare un lavoro di riconciliazione, di comprensione, anche con il governo, aiutarlo in questo cammino difficile di ricomporre una società lacerata.
Perché questo è il problema, che la società è profondamente divisa, lacerata, che non c’è più questa consapevolezza: «Noi siamo nelle diversità un popolo con una storia comune, dove ognuno ha il suo posto». E devono ricostruire questa consapevolezza che, nella diversità, hanno una storia in comune, una comune determinazione. E noi vogliamo, in dialogo, proprio con i diversi gruppi, aiutare il processo di ricostruzione e incoraggiare voi, cari fratelli cristiani in Iraq, di avere fiducia, di avere pazienza, di avere fiducia in Dio, di collaborare in questo processo difficile. Siate sicuri della nostra preghiera.





[Modificato da Caterina63 20/03/2013 11:42]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2013 11:44




La prossima domanda le viene rivolta da una donna musulmana della Costa d’Avorio, un Paese in guerra da anni. Questa signora, si chiama Bintù, e le manda un saluto in arabo che suona così: «Che Dio sia in mezzo a tutte le parole che ci diremo e che Dio sia con te». È un’espressione che loro usano quando cominciano un discorso. E poi continua in francese: «Caro Santo Padre, qui in Costa d’Avorio abbiamo sempre vissuto in armonia tra cristiani e musulmani. Le famiglie sono spesso formate da membri di entrambe le religioni; esiste anche una diversità di etnie, ma non abbiamo mai avuto problemi. Ora tutto è cambiato: la crisi che viviamo, causata dalla politica, sta seminando divisioni. Quanti innocenti hanno perso la vita! Quanti sfollati, quante mamme e quanti bambini traumatizzati! I messaggeri hanno esortato alla pace, i profeti hanno esortato alla pace. Gesù è un uomo di pace. Lei, in quanto ambasciatore di Gesù, cosa consiglierebbe per il nostro Paese?».

Vorrei rispondere al saluto: Dio sia anche con te, ti aiuti sempre. E devo dire che ho ricevuto lettere laceranti dalla Costa d’Avorio, dove vedo tutta la tristezza, la profondità della sofferenza, e rimango triste che possiamo fare così poco.
Possiamo fare una cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo opere di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre possibilità, i contatti politici, umani. Ho incaricato il cardinale Turkson, che è presidente del nostro Consiglio Giustizia e Pace di andare in Costa d’Avorio e di cercare di mediare, di parlare con i diversi gruppi, con le diverse persone per incoraggiare un nuovo inizio. E soprattutto vogliamo far sentire la voce di Gesù, che anche lei crede come profeta. Lui era sempre l’uomo della pace.
Ci si poteva aspettare che, quando Dio viene in terra, sarà un uomo di grande forza, distruggerebbe le potenze avverse, che sarebbe un uomo di una violenza forte come strumento di pace. Niente di questo: è venuto debole, è venuto solo con la forza dell’amore, totalmente senza violenza fino ad andare alla croce. E questo ci mostra il vero volto di Dio, che la violenza non viene mai da Dio, mai aiuta a dare le cose buone, ma è un mezzo distruttivo e non è il cammino per uscire dalle difficoltà. Quindi è una forte voce contro ogni tipo di violenza.
E invito fortemente tutte le parti a rinunciare alla violenza, a cercare le vie della pace. Non potete servire la ricomposizione del vostro popolo con mezzi di violenza, anche se pensate di avere ragione. L’unica via è rinunciare alla violenza, ricominciare con il dialogo, con tentativi di trovare insieme la pace, con la nuova attenzione l’uno per l’altro, con la nuova disponibilità ad aprirsi l’uno all’altro. E questo, cara Signora, è il vero messaggio di Gesù: cercate la pace con i mezzi della pace e lasciate la violenza. Noi preghiamo per voi, che tutti i componenti della vostra società sentano questa voce di Gesù e che così ritorni la pace e la comunione.


Santo Padre, la prossima domanda è sul tema della morte e della Risurrezione di Gesù, e arriva dall’Italia. Gliela leggo: «Santità, che cosa fa Gesù nel lasso di tempo tra la morte e la Risurrezione? E visto che nella recita del Credo si dice che Gesù, dopo la morte, discese negli Inferi, possiamo pensare che sarà una cosa che accadrà anche a noi, dopo la morte, prima di salire al Cielo?».

Innanzitutto, questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro. È un viaggio dell’anima. Dobbiamo tener presente che l’anima di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato. Questa parola della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi.
I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto. E crea così l’accesso a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio. Lui stesso, essendo uomo, prendendo in mano l’uomo, apre l’accesso, apre cosa? La realtà che noi chiamiamo Cielo.
Quindi questa discesa agli Inferi, cioè nelle profondità dell’essere umano, nelle profondità del passato dell’umanità, è una parte essenziale della missione di Gesù, della sua missione di Redentore e non si applica a noi. La nostra vita è diversa, noi siamo già redenti dal Signore e noi arriviamo davanti al volto del Giudice, dopo la nostra morte, sotto lo sguardo di Gesù, e questo sguardo da una parte sarà purificante: penso che tutti noi, in maggiore o minore misura, avremo bisogno di purificazione. Lo sguardo di Gesù ci purifica e poi ci rende capaci di vivere con Dio, di vivere con i Santi, di vivere soprattutto in comunione con i nostri cari che ci hanno preceduto.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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20/03/2013 11:45



Anche la prossima domanda è sul tema della Risurrezione e arriva dall’Italia: «Santità, quando le donne giungono al sepolcro, la domenica dopo la morte di Gesù, non riconoscono il Maestro, lo confondono con un altro. Succede anche agli Apostoli: Gesù deve mostrare le ferite, spezzare il pane per essere riconosciuto, appunto, dai gesti. È un corpo vero, di carne, ma anche un corpo glorioso. Il fatto che il suo corpo risorto non abbia le stesse fattezze di quello di prima, che cosa vuol dire? Cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la Risurrezione sarà per noi così?».

Naturalmente, non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze. Possiamo solo registrare i segni che Gesù ci ha dato per capire almeno un po’ in quale direzione dobbiamo cercare questa realtà. Primo segno: la tomba è vuota. Cioè, Gesù non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta.
Gesù ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha anche la promessa dell’eternità. Ma poi ha assunto questa materia in una nuova condizione di vita, questo è il secondo punto: Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché sottomesso a queste uno muore. Quindi c’è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo, ma che si mostra nel fatto di Gesù, ed è la grande promessa per noi tutti che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino. E, essendo in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica, come noi la viviamo. E sappiamo che, da una parte, è un vero uomo, non un fantasma, che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che è la nostra grande promessa.
È importante capire questo, almeno in quanto si può, per l’Eucaristia: nell’Eucaristia, il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso, questa novità che Lui è, entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona, e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza.
È un punto importante, perché così siamo già in contatto con questa nuova vita, questo nuovo tipo di vita, essendo Lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione di vita. Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che Lui si dà a me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia, sempre, di nuovo, nell’Eucaristia.

Santo Padre, l’ultima domanda è su Maria. Sotto la croce, assistiamo ad un dialogo toccante tra Gesù, sua madre e Giovanni, nel quale Gesù dice a Maria: «Ecco tuo Figlio», e a Giovanni: «Ecco tua madre». Nel suo ultimo libro, Gesù di Nazaret, lei lo definisce «un’ultima disposizione di Gesù». Come dobbiamo intendere queste parole? Che significato avevano in quel momento e che significato hanno oggi? E in tema di affidamento, ha in cuore di rinnovare una consacrazione alla Vergine all’inizio di questo nuovo millennio?

Queste parole di Gesù sono soprattutto un atto molto umano. Vediamo Gesù come vero uomo che fa un atto di uomo, un atto di amore per la madre e affida la madre al giovane Giovanni perché sia sicura. Una donna sola, in Oriente, in quel tempo, era in una situazione impossibile. Affida la mamma a questo giovane e al giovane dà la mamma, quindi Gesù realmente agisce da uomo con un sentimento profondamente umano.
Questo mi sembra molto bello, molto importante, che prima di ogni teologia vediamo in questo la vera umanità, il vero umanesimo di Gesù. Ma naturalmente questo attua diverse dimensioni, non riguarda solo questo momento, ma concerne tutta la storia. In Giovanni Gesù affida tutti noi, tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. E questo si è realizzato nel corso della storia: sempre più l’umanità e i cristiani hanno capito che la madre di Gesù è la loro madre. E sempre più si sono affidati alla Madre: pensiamo ai grandi santuari, pensiamo a questa devozione per Maria dove sempre più la gente sente «Questa è la Madre».
E anche alcuni che quasi hanno difficoltà di accesso a Gesù nella sua grandezza di Figlio di Dio, si affidano senza difficoltà alla Madre. Qualcuno dice: «Ma questo non ha fondamento biblico!». Qui risponderei con San Gregorio Magno: «Con il leggere — egli dice — crescono le parole della Scrittura». Cioè, si sviluppano nella realtà, crescono, e sempre più nella storia si sviluppa questa Parola. Vediamo come tutti possiamo essere grati perché la Madre c’è realmente, a noi tutti è data una madre. E possiamo con grande fiducia andare da questa Madre, che anche per ognuno dei cristiani è sua Madre. E d’altra parte vale anche che la Madre esprime pure la Chiesa. Non possiamo essere cristiani da soli, con un cristianesimo costruito secondo la mia idea.
La Madre è immagine della Chiesa, della Madre Chiesa, e affidandoci a Maria dobbiamo anche affidarci alla Chiesa, vivere la Chiesa, essere la Chiesa con Maria. E così arrivo al punto dell’affidamento: i Papi — sia Pio XII, sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II — hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi sembra, come gesto davanti all’umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto importante. Io penso che adesso sia importante di interiorizzare questo atto, di lasciarci penetrare, di realizzarlo in noi stessi. In questo senso, sono andato in alcuni grandi santuari mariani nel mondo: Lourdes, Fátima, Częstochowa, Altötting..., sempre con questo senso di concretizzare, di interiorizzare questo atto di affidamento, perché diventi realmente il nostro atto.
Penso che l’atto grande, pubblico, sia stato fatto. Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro. Per esempio, a Fátima ho visto come le migliaia di persone presenti sono realmente entrate in questo affidamento, si sono affidate, hanno concretizzato in se stesse, per se stesse, questo affidamento.
Così esso diventa realtà nella Chiesa vivente e così cresce anche la Chiesa. L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria, ci rende Chiesa, ci rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Quindi, al momento non avrei l’intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di Gesù.

L'Osservatore Romano, Edizione quotidiana 23 aprile 2011   


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20/03/2013 11:46

[SM=g1740733] Intervista a Benedetto XVI su Maria ai piedi della Croce

Il 22 aprile del 2011 Benedetto XVI accolse l'invito della trasmissione A sua immagine per rispondere a sette domande. Noi qui vi proponiamo quella relativa alla Madre di Dio quando Gesù ce la donò ai piedi della Croce. Ascoltiamo questa risposta nella quale il Papa spiega il perchè non è necessario, al momento, di rifare un Atto di Consacrazione alla Madonna, invitandoci ad interiorizzare, vivere e testimoniare le ben tre Consacrazioni fatte dai Pontefici precedenti.

www.gloria.tv/?media=409084

Movimento Domenicano del Rosario
www.sulrosario.org
info@sulrosario.org



[SM=g1740717]

[SM=g1740750] [SM=g1740752]
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(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/12/2013 17:49


Come rispondere a chi, in nome di una presunta infallibilità scientifica, sostiene posizioni contrarie alla fede cattolica?


 

"Santità, sono Mathias Agnero e vengo dall’Africa, precisamente dalla Costa d’Avorio. Lei è un Papa-teologo, mentre noi, quando riusciamo, leggiamo appena qualche libro di teologia per la formazione. Ci pare, tuttavia, che si sia creata una frattura tra teologia e dottrina e, ancor più, tra teologia e spiritualità. Si sente la necessità che lo studio non sia tutto accademico ma alimenti la nostra spiritualità. Ne sentiamo il bisogno nello stesso ministero pastorale. Talvolta la teo-logia non sembra avere Dio al centro e Gesù Cristo come primo “luogo teologico”, ma abbia invece i gusti e le tendenze diffuse; e la conseguenza è il proliferare di opinioni soggettive che permettono l’introdursi, anche nella Chiesa, di un pensiero non cattolico. Come non disorientarci nella nostra vita e nel nostro ministero, quando è il mondo che giudica la fede e non viceversa? Ci sentiamo “scentrati”! 

 

R: Grazie. Lei tocca un problema molto difficile e doloroso. C’è realmente una teologia che vuole soprattutto essere accademica, apparire scientifica e dimentica la realtà vitale, la presenza di Dio, la sua presenza tra di noi, il suo parlare oggi, non solo nel passato. Già san Bonaventura ha distinto due forme di teologia, nel suo tempo; ha detto: “c’è una teologia che viene dall’arroganza della ragione, che vuole dominare tutto, fa passare Dio da soggetto a oggetto che noi studiamo, mentre dovrebbe essere soggetto che ci parla e ci guida”. C’è realmente questo abuso della teologia, che è arroganza della ragione e non nutre la fede, ma oscura la presenza di Dio nel mondo. Poi, c’è una teologia che vuole conoscere di più per amore dell’amato, è stimolata dall’amore e guidata dall’amore, vuole conoscere di più l’amato. E questa è la vera teologia, che viene dall’amore di Dio, di Cristo e vuole entrare più profondamente in comunione con Cristo. In realtà, le tentazioni, oggi, sono grandi; soprattutto, si impone la cosiddetta “visione moderna del mondo” (Bultmann, “modernes Weltbild”), che diventa il criterio di quanto sarebbe possibile o impossibile. E così, proprio con questo criterio che tutto è come sempre, che tutti gli avvenimenti storici sono dello stesso genere, si esclude proprio la novità del Vangelo, si esclude l’irruzione di Dio, la vera novità che è la gioia della nostra fede. Che cosa fare? Io direi prima di tutto ai teologi: abbiate coraggio. E vorrei dire un grande grazie anche ai tanti teologi che fanno un buon lavoro. Ci sono gli abusi, lo sappiamo, ma in tutte le parti del mondo ci sono tanti teologi che vivono veramente della Parola di Dio, si nutrono della meditazione, vivono la fede della Chiesa e vogliono aiutare affinché la fede sia presente nel nostro oggi. A questi teologi vorrei dire un grande “grazie”. E direi ai teologi in generale: “non abbiate paura di questo fantasma della scientificità!”. Io seguo la teologia dal ’46; ho incominciato a studiare la teologia nel gennaio ’46 e quindi ho visto quasi tre generazioni di teologi, e posso dire: le ipotesi che in quel tempo, e poi negli anni Sessanta e Ottanta erano le più nuove, assolutamente scientifiche, assolutamente quasi dogmatiche, nel frattempo sono invecchiate e non valgono più! Molte di loro appaiono quasi ridicole.

Quindi, avere il coraggio di resistere all’apparente scientificità, di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, ma pensare realmente a partire dalla grande fede della Chiesa, che è presente in tutti i tempi e ci apre l’accesso alla verità. Soprattutto, anche, non pensare che la ragione positivistica, che esclude il trascendente - che non può essere accessibile - sia la vera ragione! Questa ragione debole, che presenta solo le cose sperimentabili, è realmente una ragione insufficiente. Noi teologi dobbiamo usare la ragione grande, che è aperta alla grandezza di Dio. Dobbiamo avere il coraggio di andare oltre il positivismo alla questione delle radici dell’essere. Questo mi sembra di grande importanza. Quindi, occorre avere il coraggio della grande, ampia ragione, avere l’umiltà di non sottomettersi a tutte le ipotesi del momento, vivere della grande fede della Chiesa di tutti i tempi. Non c’è una maggioranza contro la maggioranza dei Santi: la vera maggioranza sono i Santi nella Chiesa e ai Santi dobbiamo orientarci! Poi, ai seminaristi e ai sacerdoti dico lo stesso: pensate che la Sacra Scrittura non è un Libro isolato: è vivente nella comunità vivente della Chiesa, che è lo stesso soggetto in tutti i secoli e garantisce la presenza della Parola di Dio. Il Signore ci ha dato la Chiesa come soggetto vivo, con la struttura dei Vescovi in comunione con il Papa, e questa grande realtà dei Vescovi del mondo in comunione con il Papa ci garantisce la testimonianza della verità permanente. Abbiamo fiducia in questo Magistero permanente della comunione dei Vescovi con il Papa, che ci rappresenta la presenza della Parola. E poi, abbiamo anche fiducia nella vita della Chiesa e, soprattutto, dobbiamo essere critici. Certamente la formazione teologica – questo vorrei dire ai seminaristi – è molto importante. Nel nostro tempo dobbiamo conoscere bene la Sacra Scrittura, anche proprio contro gli attacchi delle sette; dobbiamo essere realmente amici della Parola. Dobbiamo conoscere anche le correnti del nostro tempo per poter rispondere ragionevolmente, per poter dare – come dice San Pietro – “ragione della nostra fede”. La formazione è molto importante. Ma dobbiamo essere anche critici: il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie. Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel Catechismo della Chiesa Cattolica: qui vediamo la sintesi della nostra fede, e questo Catechismo è veramente il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile. Quindi, raccomando la lettura, lo studio di questo testo, e così possiamo andare avanti con una teologia critica nel senso positivo, cioè critica contro le tendenze della moda e aperta alle vere novità, alla profondità inesauribile della Parola di Dio, che si rivela nuova in tutti i tempi, anche nel nostro tempo.

 

Fonte: Incontro internazionale con i sacerdoti (10 giugno 2010).

 




   
 

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