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Unzione degli infermi, cremazione...

- Al termine della nostra esistenza, madre Chiesa si sforza di facilitarci il distacco da questo mondo, offrendo ai suoi figli il Sacramento della morte, che una volta si chiamava «Estrema Unzione».

...E se si chiedeva a qualcuno se lo voleva ricevere, questi rifiutava inesorabilmente perché non voleva rassegnarsi all'idea di trovarsi in procinto di morire.
Il concetto di «estrema unzione», che era un vero incubo per i malati, è stato sostituito da tempo, consapevolmente e a ragione da quello di «unzione degli infermi» per evitare che l'arrivo di un sacerdote per il conferimento del Sacramento venisse interpretato dal malato come preannuncio di morte certa.
In effetti l'unzione degli infermi può sorreggere il malato in un processo psichico che in determinate circostanze può risolversi anche in un processo di guarigione fisica. Rappresenta l'assistenza sacramentale della Chiesa nell'istante della malattia. La questione della morte passa in secondo piano. Il vero viatico è invece l'Eucaristia. Con le preghiere e le benedizioni del moribondo, con la rinnovata assoluzione la Chiesa offre a chi sta per spegnersi consolazioni specifiche. Sono tentativi di sorreggere il moribondo nel momento di un passaggio difficile, di aiutarlo a varcare quella soglia sinistra oltre la quale c'è un buio che pare non essere rischiarato da alcuna luce.
L'unzione degli infermi è invece un aiuto ad accettare la sofferenza. Deve aiutarmi a conseguire la comunione sacramentale con Cristo grazie alla trasfigurazione del dolore, della sofferenza. Non si tratta quindi necessariamente di guarigione fisica. Perché la malattia può anche sanarmi interiormente, può addirittura essere necessaria da questo punto di vista. Cristo, insegnandomi a soffrire e condividendo la mia sofferenza, può essere il mio vero medico, capace di aiutarmi a vincere l'infermità più profonda della mia anima.

- La fede dovrebbe spingerci a rallegrarci della morte: «Vivere è morire, morire è vivere». Ci attende pur sempre la vita eterna.

Sì, ma ogni temperamento è diverso dall'altro. Quando Agostino giaceva in punto di morte, era tormentato dal ricordo dei suoi peccati. Perciò aveva fatto affiggere alle pareti della stanza salmi d'espiazione per averli sempre dinanzi agli occhi e interiorizzarli profondamente. Si era persino autoescluso per qualche tempo dalla Comunione e si era investito della condizione del penitente. Pensava al suo padre spirituale, Ambrogio, che era spirato con una grande serenità interiore e diceva: a lui che era grande, è spettato questo dono; io sono un altro genere d'uomo, io non ho avuto questo dono, io ho bisogno di espiare umilmente, nella speranza che il Signore voglia accogliermi.
Ma direi che è anche un compito dell'educazione alla fede cristiana e della predicazione, infondere nell'uomo la fiducia con cui andare incontro, con la morte, alla vera vita. In questo modo lo si può anche aiutare a superare la paura dell'incognito o almeno la paura fisica della fine e porre le condizioni per una morte serena.

- È lecito farsi cremare o è un rito pagano?

Già presso gli ebrei era sconosciuta la cremazione, a differenza che in altre culture dell'area del Mediterraneo. Consideravano la sepoltura come un seme da cui sarebbe un giorno fiorita la risurrezione. Anche i cristiani hanno fatto proprio questo costume. Nell'inumazione era ed è implicita una tacita confessione di speranza nella risurrezione. Fino al Concilio Vaticano II la cremazione era sanzionata. Poi, in considerazione delle condizioni del mondo attuale, la Chiesa vi ha rinunciato. La confessione di fede nella risurrezione non deve necessariamente avvenire in questa forma, perché Dio ci dovrà comunque dare un corpo nuovo: così la cremazione nel frattempo è stata ammessa. Devo dire che sono sufficientemente retrò per continuare a considerare l’inumazione come l’autentica espressione cristiana del rispetto per i defunti e per il corpo umano e della speranza in un futuro dopo la morte.

- Lei ha detto che Dio ci darà nell'aldilà un corpo nuovo: significa che nessuno avrà l'aspetto che aveva quando era in vita?

La risurrezione nel giorno del giudizio è da questo punto di vista una nuova creazione, in cui però viene preservata l'identità di ogni singolo individuo, che si compone di corpo e di anima. San Tommaso dice inoltre che l'anima è la forza che plasma il corpo, è essa a creare il corpo. L'identità significa dunque che l'anima, ridestata a nuova vita dalla risurrezione, riacquista la sua capacità di plasmare il corpo e si costruisce quindi un corpo intimamente identico. Mi pare però gratuito speculare (su questo).

- Concretamente, mio fratello è morto all'età di 14 anni: dove si trova ora?

Presso Dio. Dobbiamo rinunciare a servirci di categorie di localizzazione materiale. Così come non possiamo localizzare Dio in un certo punto dell'universo, anche i defunti hanno un rapporto di tipo diverso con la materialità. Il rapporto che ha Dio con lo spazio materiale è improntato alla pervasività. Parlavamo dei diversi gradi di prossimità a Dio, che non sono condizionati dalla vicinanza spaziale, e dicevamo che analogamente anche l'anima, il principio spirituale nell'uomo, non ha una sede specifica come un qualsiasi organo fisico, ma determina la totalità dell'individuo. In modo analogo anche il defunto partecipa con Dio di un altro rapporto con lo spazio, non definibile secondo categorie fisiche.
Molti hanno persino affermato che i defunti si trattengono in prossimità della tomba, il che mi pare un po' lugubre. No, essi si sono lasciati alle spalle questa forma di spazialità materiale per entrare in un altro rapporto con lo spazio che si fonda sulla superiorità di Dio rispetto alle categorie spaziali usuali. Fa parte anche della nostra esperienza l'empatia mentale che si crea talvolta tra persone divise magari da un oceano. Lì avvertiamo una traccia di quella superiorità alla dimensione spaziale, di quest'altra forma di spazialità che è quella della prossimità spirituale. In ogni caso dobbiamo liberarci dall'idea che il defunto sia localizzabile in un punto geografico definito. Dovremmo invece dire che è presso Dio, con il che si esprime la sua prossimità, in una modalità nuova, alla realtà dell'universo e anche a noi stessi.

- Noi uomini siamo curiosi, ci piacerebbe sapere com'è il paradiso. Le Sacre Scritture possono illuminarci su ciò che ci aspetta?

Anche le Scritture ne parlano con linguaggio metaforico. Vi alludono ad esempio con l'immagine della liturgia celeste, secondo cui la nuova spazialità è segnata dall'estasi di questa che è la vera liturgia, e anche i canti e il librarsi in volo sono immagini simboliche.
Tutto ciò può però anche essere frainteso. Conosciamo tutti l'apologo di quel bavarese che giunge in paradiso e non riesce più a sopportare i canti di lode che riempiono il cielo per l'eternità. Mi pare importante far notare come, in questa nuova condizione, non cambiano solo le categorie spaziali ma anche quelle temporali. Se ci immaginiamo il paradiso come un tempo infinitamente lungo, si può far strada l'idea dell'insopportabilità dell'eternità. Ma, se ci si spoglia della nostra abituale comprensione del tempo che scorre, ora dopo ora, giorno dopo giorno, a sua volta legato al movimento rotatorio degli astri, per abbracciare invece una nuova idea della condivisione personale, allora anche questa forma di successione eterna viene meno per lasciare spazio a un unico momento di grande gioia.
Dovremmo perciò immaginarci l'eternità secondo la categoria della pienezza di un istante al di là del tempo.

- Lei donerebbe gli organi?

Sì, per quanto supponga che i miei vecchi organi non siano più di grande utilità. ( [SM=g27987]  )


(da Joseph Ratzinger, Dio e il mondo. In colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001, pagg.395-401 )




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)