00 10/08/2013 22:56
http://d4.yimg.com/sr/img/1/a23244f2-a9ab-3f0e-b8c9-c287399a0a1d

Paradiso

Il “cielo” è anzitutto determinato dalla cristologia. Esso non è un luogo senza storia, “dove” si giunge; l’esistenza del “cielo” si fonda sul fatto che Gesù Cristo quale Dio è uomo e ha dato all’essere umano un posto nell’essere stesso di Dio (cfr. Rahner, La risurrezione della carne, 459). L’uomo è in cielo quando e nella misura in cui è con Cristo e trova quindi il luogo del suo essere uomo nell’essere di Dio. Per cui il cielo è primariamente una realtà personale, che rimane per sempre improntata dalla sua origine storica, cioè dal mistero pasquale della Morte e della Resurrezione.

Da questo centro cristologico si possono derivare tutte le altre componenti del cielo definite tali dalla tradizione. Dall’affermazione cristologica consegue anzitutto un’affermazione teo-logica: il Cristo trasfigurato continua a consegnarsi incessantemente al Padre, egli è questa autoconsegna; il sacrificio pasquale è in lui un perenne presente. Il “cielo”, inteso come un “divenire uno” col Cristo, ha quindi il carattere dell’adorazione; in esso è realizzato il contenuto profetico di ogni culto: Cristo è il Tempio escatologico (Gv 2,19), il cielo è la nuova Gerusalemme, il luogo cultuale di Dio. Al movimento dell’umanità che unita al Cristo tende al Padre corrisponde il movimento inverso dell’amore di Dio che si dona all’uomo. Per cui nella sua forma di perfezione celeste il culto include l’inscindibile immediatezza tra Dio e l’uomo, che dalla tradizione teologica viene definita “contemplazione di Dio”...


L’affermazione cristologica include però anche un momento ecclesiologico: se il cielo è fondato sull’inserimento dell’uomo nel Cristo, ne segue che esso comporta pure la comunione con tutti coloro che insieme formano l’unico Corpo di Cristo. Il cielo non conosce infatti alcun isolamento; esso è l’aperta comunità dei Santi e quindi anche la pienezza di ogni umana convivenza quale conseguenza della totale apertura per il volto di Dio. Su questa conoscenza si fonda il culto cristiano dei Santi, che non presuppone un’onniscienza mitica dei Santi, bensì semplicemente l’apertura tra le varie membra dell’intero Corpo di Cristo e l’illimitata vicinanza dell’amore che è certo di raggiungere Dio nell’altro e l’altro in Dio. Ne deriva quindi pure una componente antropologica: il fondersi dell’ “Io” con il Corpo di Cristo, il farsi strumento del Signore e degli altri non significa un dissolvimento dell’ “Io”, bensì la sua purificazione, che realizza insieme le sue più alte possibilità. Per questo motivo il cielo è per ciascuno individuale.

Ognuno vede Dio a suo modo, ognuno riceve l’amore del Tutto nella sua inconfondibilie unicità
: “Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve” (Ap 2,17). Da qui si può comprendere che nel Nuovo Testamento (come nell’intera tradizione) il cielo è chiamato, da un lato, “ricompensa” – il che significa la risposta a quella determinata via, a quella determinata vita, a quel determinato uomo, al suo personale agire a soffrire – ma significa insieme che esso è la Grazia dell’Amore donato. La scolastica ha sistematizzato ulteriormente queste conoscenze, parlando (accogliendo in parte tradizioni molto antiche) di una particolare “corona” destinata a martiri, vergini e dottori. Riguardo a simili affermazioni siamo oggi più cauti: ci basta sapere che Dio sarà la pienezza per ognuno a suo modo e che lo riempirà oltre ogni immaginazione.
Ciò che consegue da simili considerazioni non può quindi essere un’indicazione d’un privilegio di questa o di quell’altra via, ma è l’impegno di dilatare il più possibile il recipiente della propria vita e questo non per garantire a se stessi un più cospicuo tesoro nell’al di là, ma per poter distribuire di più; poiché nella communio del Corpo di Cristo si può possedere soltanto nel dare; la ricchezza della perfezione può consistere solamente nel donare agli altri.


(da Joseph Ratzinger, Escatologia. Morte e vita eterna, vol.9 della collana diretta da Johann Auer-Joseph Ratzinger, Piccola Dogmatica Cattolica, Assisi, Cittadella Editrice, 1996, pagg.204-245)



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)