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La parousia ed i suoi segni

Da una prima lettura del Nuovo Testamento si trae l’impressione di trovarsi qui di fronte a due posizioni opposte. Da un lato, si nota un deciso rifiuto dei segni: la venuta del Cristo è assolutamente incompatibile con il tempo della storia e con le relative leggi e, di conseguenza, non potrà mai essere prevista in base alla storia stessa...

D’altro canto a ciò sembra contraddire un filone ampio della tradizione, che parla decisamente di segni precursori del ritorno del Cristo. Jean Daniélou vede in questa contraddizione il proseguimento delle due linee differenziate della speranza veterotestamentaria, la quale, da un lato attende un Messia umano, ma dall’altro conosce pure l’attesa di una trasformazione della storia mediante il diretto e personale intervento di Dio. Solo il mistero divino-umano del Cristo – come è stato definito dal Concilio Calcedonese – consente di comprendere l’interiore unità di queste due linee e la legittimità di ciascuna di esse: in Gesù Cristo, Dio agisce come Dio con immediatezza divina, ma in Gesù Cristo Dio agisce pure come uomo con la mediazione della storia. Motivo per cui Cristo è insieme telos e peras della storia, come spiega Daniélou, usando parole greche che meglio di tutte consentono la differenziazione della realtà. Esse significano che Cristo è tanto il compimento (telos) di ogni realtà, il quale compimento è incompatibile col decorso temporale del mondo e della storia, quanto pure la fine cronologica (peras) di questo tempo. Per cui, la sua venuta è insieme l’azione esclusiva di Dio, per la quale non esistono riscontri storici e che non può essere riferita ad alcun periodo storico, e la liberazione dell’uomo, che questi non ottiene con le proprie forze, ma che non avviene neppure senza di lui e che quindi, benché non possa essere calcolata, può annunziarsi tuttavia in segni (cfr. Grillmeier-Bacht, Chalkedon III, 280-286)...

Sono due le cose che colpiscono la nostra attenzione: in primo luogo il fatto che il passaggio alla fine non appare preparato da una estrema maturità storica, ma che proprio la disgregazione interiore della storia, la sua insufficienza di fronte a ciò che è divino, la sua resistenza orientano paradossalmente al “sì” di Dio. In secondo luogo, però, ad uno sguardo anche solo superficiale alla realtà di tutti i secoli, risulta che questi “segni” possono riferirsi alla costituzione costante di questo mondo, poiché da quando esiste il mondo, esso è sempre stato lacerato da guerre e da catastrofi e nulla fa sperare che una “ricerca della pace” possa eliminare questa caratteristica fondamentale dell’umanità...

I segni... non consentono di datare la fine; tuttavia essi la mettono in relazione con la storia, in modo però da costringere ogni epoca alla vigilanza. In effetti essi dimostrano che viviamo sempre nel tempo ultimo, che il mondo si trova sempre prossimo a ciò che è “del tutto diverso” e che segnerà insieme la sua fine cronologica...

Quando Martin Heidegger, in un’intervista che può essere considerata come una sorta di testamento, opina che di fronte alla situazione in cui l’umanità si è smarrita possa salvarci soltanto più un Dio, e quando vede, di conseguenza, come unica possibilità che ci rimane quella di “tenerci già ora pronti, disponibili per l’apparire della divinità”, allora, in una simile dichiarazione postcristiano-pagana, emerge forse qualcosa di ciò di cui si tratta effettivamente: la “disponibilità dell’attesa” è in se stessa qualcosa che trasforma, e il mondo è un altro a seconda che è un’attesa del nulla o che è diretta verso Colui che esso riconosce nei suoi segni, per cui è proprio dalla disgregazione delle proprie possibilità che il mondo deriva la certezza della sua vicinanza...

Cristo viene caratterizzato in un duplice modo, ossia come detronizzatore dei vecchi domini di questo mondo; il suo irrompere significa la comparsa del vero imperatore e il suo arrivo coincide con la caduta degli elementi del mondo (Gal4,3.9; Col2,8.20; in riferimento all’attuale situazione dei cristiani; nel senso escatologico: Mt 24,29-31; 2Pt 3,10), i quali “fornivano il materiale per le antiche feste del Novilunio e del Capodanno” (Maertens, 42); e significa contemporaneamente l’inizio di un nuovo anno di Dio, dell’eterno banchetto di nozze che egli celebra con i suoi...

La Parusia costituisce l’acme, la pienezza della liturgia; la liturgia però è la Parusia, è l’evento parusiale in mezzo a noi. Inoltre vi emerge che proprio questa Chiesa, che nella liturgia appare come totalmente introspettiva, penetra invece nel più profondo centro del cosmo e opera per la sua trasformazione e liberazione...

E ulteriormente emerge l’intreccio dell’ “adesso” e del “poi”, che caratterizza il presente del cristianesimo e la sua proiezione nel futuro. La detronizzazione degli elementi del mondo è già ora avvenuta; il sole, la luna e le stelle sono di già impalliditi (cfr. Gal4,3; Col2,8) e tuttavia tutto ciò dovrà ancora accadere; la tromba della Parola chiama già ora gli uomini a raccolta e tuttavia lo dovrà ancora fare in futuro; ogni Eucarestia è Parusia, l’arrivo del Signore, eppure ogni Eucarestia fa aumentare il desiderio che egli riveli il suo splendore nascosto...

Nel toccare il Risorto, la Chiesa tocca la parusia del Signore; essa prega e vive, per così dire, proiettata nella Parusia, il cui rivelarsi non è che il definitivo rivelarsi e compiersi del mistero pasquale (R.Guardini, Der Herr, 542-548; cfr. i commenti di Bultmann e di Schnackenburg).

(da Joseph Ratzinger, Escatologia. Morte e vita eterna, vol.9 della collana diretta da Johann Auer-Joseph Ratzinger, Piccola Dogmatica Cattolica, Assisi, Cittadella Editrice, 1996, pagg.204-245)

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)