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III. Concetti fondamentali della teologia della liberazione

Con ciò siamo giunti ai concetti fondamentali del contenuto della nuova interpretazione del cristianesimo. Poiché i contesti nei quali appaiono i diversi concetti sono diversi, vorrei, senza pretese di sistematicità, citarne alcuni.

Cominciamo dalla nuova interpretazione di fede, speranza e carità.

Rispetto alla fede, ad esempio, un teologo sudamericano afferma: "L'esperienza che Gesù ha di Dio è radicalmente storica. La sua fede si converte in fedeltà". Si sostituisce perciò fondamentalmente la fede con la "fedeltà alla storia". Qui si produce quella fusione tra Dio e storia che dà la possibilità di conservare per Gesù la formula di Calcedonia, anche se con un significato completamente mutato: si vede come i criteri classici della ortodossia non siano applicabili all'analisi di questa teologia. Si afferma dunque che "Gesù è Dio", aggiungendo però immediatamente che "il Dio vero è solo quello che si rivela storicamente e scandalosamente in Gesù e nei poveri che continuano la sua presenza Solo chi mantiene unite queste due affermazioni è ortodosso...".

La speranza viene interpretata come "fiducia nel futuro" e come lavoro per il futuro; con ciò la si subordina di nuovo al predominio della storia delle classi.

La carità consiste nella "opzione per i poveri", cioè. coincide con l'opzione per la lotta di classe. I teologi della liberazione sottolineano con forza, di fronte al "falso universalismo", la parzialità ed il carattere di parte dell'opzione cristiana; prendere partito è, secondo loro, requisito fondamentale di una corretta ermeneutica delle testimonianze bibliche. A mio avviso qui si può riconoscere molto chiaramente la mescolanza tra una verità fondamentale del cristianesimo e una opzione fondamentale non cristiana, che rende l'insieme tanto seducente: il discorso della montagna sarebbe in realtà la scelta da parte di Dio a favore dei poveri.

Il concetto fondamentale della predicazione di Gesù è davvero il "regno di Dio". Questo concetto si ritrova anche al centro delle teologie della liberazione, letto però sullo sfondo dell'ermeneutica marxista. Secondo uno di questi teologi, il " regno " non deve essere inteso spiritualmente, né universalisticamente nel senso di una escatologia astratta. Deve essere inteso in forma partitica e volto alla prassi. Solo a partire dalla prassi di Gesù, e non teoricamente, è possibile definire cosa significa il "regno", lavorare nella realtà storica che ci circonda per trasformarla nel "regno di Dio".

Qui occorre menzionare anche una idea fondamentale di certa teologia postconciliare che ha spinto in questa direzione. £ stato sostenuto che secondo il Concilio si dovrebbe superare ogni forma di dualismo: il dualismo di corpo e anima, di naturale e soprannaturale, di immanenza e trascendenza, di presente e futuro. Dopo lo smantellamento di questi presunti "dualismi " ' resta solo la possibilità di lavorare per un regno che si realizzi in questa storia e nella sua realtà politico-economica.

Ma proprio così si è cessato di lavorare per l'uomo di oggi e si è cominciato a distruggere il presente in favore di un futuro ipotetico: così si è prodotto immediatamente il vero dualismo.

In questo contesto vorrei menzionare anche l'interpretazione del tutto deviante della morte e della risurrezione che dà uno dei leader delle teologie della liberazione. Egli stabilisce innanzitutto, contro le concezioni "universaliste", che la risurrezione è, in primo luogo, una speranza per coloro che sono crocifissi, i quali costituiscono la maggioranza degli uomini: tutti quei milioni ai quali l'ingiustizia strutturale si impone come una lenta crocifissione. Il credente partecipa tuttavia anche alla signoria di Gesù sulla storia attraverso l'edificazione del regno, cioè nella lotta per la giustizia e per la liberazione integrale, nella trasformazione delle strutture ingiuste in strutture più umane. Questa signoria sulla storia viene esercitata ripetendo nella storia il gesto di Dio che risuscita Gesù, cioè ridando vita ai crocefissi della storia. L'uomo ha assunto così il potere di Dio e qui la trasformazione totale del messaggio biblico si manifesta in modo quasi tragico, se si pensa a come questo tentativo di imitazione di Dio si è esplicato ed ancora si esplica.

Vorrei solo citare qualche altra interpretazione "nuova" di concetti biblici: l'esodo si trasforma in una immagine centrale della "storia della salvezza" il mistero pasquale viene inteso come un simbolo rivoluzionario e quindi l'eucaristia viene interpretata come una festa di liberazione nel senso di una speranza politico-messianica e della sua prassi. La parola redenzione viene sostituita generalmente con liberazione, la quale a sua volta viene intesa, sullo sfondo della storia e della lotta di classe, come processo di liberazione che avanza. Infine è fondamentale anche l'accento che viene posto sulla prassi: la verità non deve essere intesa in senso metafisico; si tratterebbe di "idealismo ". La verità si realizza nel la storia e nella prassi. L'azione è la verità. Di conseguenza anche le idee che si usano per l'azione sono, in ultima istanza, intercambiabili. L'unica cosa decisiva è la prassi. L'ortoprassi diventa così la sola, vera ortodossia.

Viene così anche giustificato un enorme allontanamento dai testi biblici: la critica storica libera dalla interpretazione tradizionale che appare come "non scientifica " Rispetto alla tradizione si attribuisce importanza al "massimo rigore scientifico" nella linea di Bultmann. Ma i contenuti della Bibbia determinati storicamente non possono a loro volta essere vincolanti in modo assoluto. Lo strumento per l'interpretazione non è, in ultima analisi, la ricerca storica, bensì l'ermeneutica della storia sperimentata nella comunità, cioè nei gruppi politici. Se si cerca di trarre un giudizio globale, bisogna dire che quando uno cerca di comprendere le opzioni fondamentali della teologia della liberazione, non può negare che l'insieme contenga una logica quasi inoppugnabile. Con le premesse della critica biblica e della ermeneutica fondata sull'esperienza da un lato, e dell'analisi marxista della storia dall'altro, si è riusciti a creare una visione d'insieme del cristianesimo che sembra rispondere pienamente tanto alle esigenze della scienza quanto alle sfide morali dei nostri tempi. E pertanto si impone agli uomini in forma immediata il compito di fare del cristianesimo uno strumento della trasformazione concreta del mondo, il che sembrerebbe unirlo a tutte le forze progressiste della nostra epoca. Si può quindi comprendere come questa nuova interpretazione del cristianesimo attragga sempre più teologi, sacerdoti e religiosi, specialmente sullo sfondo dei problemi del terzo mondo.

Sottrarsi ad essa deve necessariamente apparire ai loro occhi come un'evasione dalla realtà, come una rinuncia alla ragione e alla morale. Però d'altro canto, se si pensa quanto sia radicale l'interpretazione del cristianesimo che ne deriva, diviene tanto più urgente il problema di che cosa si possa e si debba fare di fronte ad essa. Solo se noi riusciremo a rendere visibile la logica della fede in una maniera altrettanto cogente e a presentarla nell'esperienza vissuta come logica della realtà, cioè come forza reale di una risposta migliore, noi supereremo questa crisi. Proprio perché le cose stanno in questo modo (cioè proprio perché pensiero ed esperienza, riflessione ed azione sono in egual misura sollecitati), tutta la Chiesa è qui interpellata. La sola teologia non basta, il solo magistero non basta: poiché il fenomeno "teologia della liberazione "segnala una carenza di conversione nella Chiesa, una carenza in essa di radicalità della fede, soltanto un di più in conversione e in fede renderanno possibili e risveglieranno quelle intuizioni teologiche e quelle decisioni dei pastori, che corrispondono alla gravità del problema.

Tra marxismo e capitalismo

Questo che abbiamo riportato è dunque il quadro delle riflessioni e delle constatazioni sul cui sfondo, secondo il teologo Joseph Ratzinger, va vista l'ormai celebre "Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione".

Aggiungiamo, che, durante il nostro colloquio, il Cardinale è più volte tornato su un aspetto dimenticato in molti commenti: "La teologia della liberazione, nelle sue forme che si rifanno al marxismo, non è affatto un prodotto autoctono, indigeno, dell'America Latina o di altre zone sottosviluppate, dove sarebbe nata e sarebbe cresciuta quasi spontaneamente, per opera del popolo. Si tratta in realtà, almeno all'origine, di una creazione di intellettuali; e di intellettuali nati o formati nell'Occidente opulento: europei sono i teologi che l'hanno iniziata, europei - o allevati nelle università europee - sono i teologi che la fanno crescere in Sud America. Dietro lo spagnolo o il portoghese di quella predicazione si intravvede in realtà il tedesco, il francese, l'anglo-americano".

Dunque, per lui anche la teologia della liberazione farebbe parte "della esportazione verso il Terzo Mondo di miti e utopie elaborate nell'Occidente sviluppato. Quasi un tentativo di esperimentare in concreto ideologie pensate in laboratorio da teorici europei. Per qualche aspetto, pertanto, è ancora una forma di imperialismo culturale, seppur presentato come la creazione spontanea delle masse diseredate. È poi tutto da verificare che influsso reale abbiano davvero sul " popolo " i teologi che dicono di rappresentarlo, di dargli voce".

Osserva, continuando su questa linea: "In Occidente il mito marxista ha perso fascino tra i giovani e tra gli stessi lavoratori; si tenta allora di esportarlo nel Terzo Mondo da parte di intellettuali che vivono però al di fuori dei Paesi dominati dal Il socialismo reale ". Infatti, solo dove il marxismo leninismo non è al potere c'è ancora qualcuno che prende sul serio le sue illusorie " verità scientifiche "".

Segnala ancora che "paradossalmente - ma non troppo - la fede sembra essere più al sicuro all'Est, dove è ufficialmente perseguitata. Sul piano dottrinale non abbiamo quasi alcun problema con il cattolicesimo di quelle zone. Il fatto è che, là, per i cristiani non c'è certo il pericolo di convertirsi alle posizioni di una ideologia imposta con la forza: la gente sconta ogni giorno sulla sua pelle la tragedia di una società che ha tentato sì una liberazione, ma da Dio. Anzi, in alcuni Paesi dell'Est, sembra emergere l'idea di una " teologia della liberazione", ma come liberazione dal marxismo. Il che non significa certo che guardino con simpatia alle ideologie e al costume prevalenti in Occidente".

Mi ricorda che "il cardinale primate di Polonia, Stefan Wyszynski, metteva in guardia dall'edonismo e dal permissivismo occidentali non meno che dall'oppressione marxista. Alfred Bengsch, cardinale di Berlino, mi diceva un giorno di vedere un pericolo più grave per la fede nel consumismo occidentale e in una teologia contaminata da questo atteggiamento che non nel comunismo marxista".

Ratzinger non teme di riconoscere "il marchio del satanico nel mondo con cui in Occidente si sfrutta il mercato della pornografia e della droga". "Sì - dice - c'è qualcosa di diabolico nella freddezza perversa con cui, in nome del denaro, si corrompe l'uomo approfittando della sua debolezza, della sua possibilità di essere tentato e vinto. È infernale la cultura dell'Occidente, quando persuade la gente che il solo scopo della vita sono il piacere e l'interesse privato".

Eppure, se gli si chiede quale - a livello di elaborazione teorica - gli sembri il più insidioso tra i molti ateismi del nostro tempo, è ancora al marxismo che ritorna: "Mi sembra che il marxismo, nella sua filosofia e nelle sue intenzioni morali, sia una tentazione più profonda che non certi ateismi pratici, dunque intellettualmente superficiali. È che nell'ideologia marxista si approfitta anche della tradizione giudeo-cristiana, rovesciata però in un profetismo senza Dio; si strumentalizzano per fini politici le energie religiose dell'uomo, indirizzandole verso una speranza solo terrena che è il capovolgimento della tensione cristiana verso la vita eterna. È questa perversione della tradizione biblica che trae in inganno molti credenti, convinti in buona fede che la causa di Cristo sia la stessa di quella proposta dagli annunciatori della rivoluzione politica".

Il dialogo impossibile

E qui - con aria che mi è sembrata più sofferente che " inquisitoria " - mi ha di nuovo ricordato quel "dramma del Magistero" che gli avvenimenti susseguenti alla pubblicazione dell'Istruzione sulla teologia della liberazione avrebbero riconfermato: "C'è questa dolorosa impossibilità di dialogare con i teologi che accettano quel mito illusorio, che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie, e che è la lotta di classe come strumento per creare una società senza classi". Continua: "Se, Bibbia e Tradizione alla mano, fraternamente, si cerca di denunciare le deviazioni, subito si è etichettati come " servi ", "lacchè " delle classi dominanti che vogliono conservare il potere appoggiandosi anche alla Chiesa. D'altronde, le più recenti esperienze mostrano che rappresentanti significativi della teologia della liberazione si differenziano felicemente (per la loro disponibilità alla comunità ecclesiale e al servizio reale dell'uomo) dall'intransigenza di una parte dei mass-media e di numerosi gruppi di loro sostenitori, prevalentemente europei. Da parte di questi ultimi ogni nostro intervento, anche il più pensato e rispettoso, viene respinto a priori, perché si schiererebbe dalla parte dei "padroni". Mentre la causa degli ultimi è tradita proprio da queste ideologie, che si sono rivelate fonte di sofferenza per il popolo stesso".

Mi ha poi parlato dello sgomento provocatogli dalla lettura di molti dei teologi della liberazione: "C'è un ritornello ripetuto senza tregua: " bisogna liberare l'uomo dalle catene dell'oppressione politico-economica; per liberarlo le riforme non bastano, anzi sono devianti; quel che ci vuole è la rivoluzione; ma il solo modo per fare la rivoluzione è bandire la lotta di classe ". Eppure, coloro che ripetono tutto questo non sembrano porsi alcun problema concreto, pratico, sul come organizzare una società dopo la rivoluzione. Ci si limita a ripetere che bisogna farla".

Dice ancora: "Ciò che è inaccettabile teologicamente e pericoloso socialmente, è questo miscuglio tra Bibbia, cristologia, politica, sociologia, economia. Non si può abusare della Scrittura e della teologia per assolutizzare, sacralizzare una teoria sull'ordinamento socio-politico. Questo, per sua natura, è sempre relativo. Se invece si sacralizza la rivoluzione mescolando Dio, Cristo, ideologie si crea un fanatismo entusiastico che può portare alle ingiustizie e alle oppressioni peggiori, rovesciando nei fatti ciò che in teoria ci si proponeva". Continua: "Colpisce dolorosamente poi - in sacerdoti, in teologi! - questa illusione così poco cristiana di potere creare un uomo e un mondo nuovi, non col chiamare ciascuno a conversione, ma agendo solo sulle strutture sociali ed economiche. È il peccato personale che è in realtà alla base anche delle strutture sociali ingiuste. E sulla radice, non sul tronco e i rami dell'albero dell'ingiustizia che bisognerebbe lavorare se si vuole davvero una società più umana. Sono verità cristiane fondamentali, eppure respinte con disprezzo come " alienanti spiritualiste ".

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)