00 28/05/2013 19:57

Chiese nella bufera

Lei è stato bambino, poi adolescente e giovane (aveva 18 anni nel 1945) nella Germania del nazismo. Come ha vissuto, da cattolico, quel tempo terribile?

"Sono venuto su in una famiglia molto credente, praticante. Nella fede dei miei genitori, nella fede della nostra Chiesa, ho avuto la conferma del cattolicesimo come roccaforte della verità e della giustizia contro quel regno dell'ateismo e della menzogna che fu il nazismo. Nel crollo del regime ho visto nei fatti che la Chiesa aveva intuìto giusto".

Ma Hitler veniva dall'Austria cattolica, il partito fu fondato e prosperò nella cattolica Monaco...

"Tuttavia sarebbe affrettato presentarlo come prodotto del cattolicesimo. 1 germi velenosi del nazismo non sono il frutto del cattolicesimo dell'Austria o della Germania meridionale, ma semmai dell'atmosfera decadente e cosmopolita della Vienna alla fine dell'impero, nella quale Hitler guardava con invidia alla forza e alla risolutezza della Germania del Nord: Federico II e Bismarck erano i suoi idoli politici. Nelle decisive elezioni del 1933 notoriamente Hitler non ha avuto nessuna maggioranza nei Lànder cattolici a differenza di quanto avvenuto in altre regioni tedesche".

Come spiega questo?

"Devo premettere innanzitutto che il nucleo credente della Chiesa protestante ha avuto un ruolo di primo piano nella resistenza contro Hitler. Vorrei ricordare ad esempio la dichiarazione di Barmen del 31 maggio 1934, con la quale la "Chiesa confessante" prese le distanze dai filonazisti " Cristiani tedeschi " e compì così l'atto fondamentale di resistenza contro la pretesa totalitaria di Hitler. Dall'altra parte il fenomeno dei " Cristiani tedeschi " mette in luce il tipico pericolo al quale si trovava esposto il protestantesimo nel momento della presa del potere da parte dei nazisti. La concezione di un cristianesimo nazionale, cioè germanico, anti-latino, offrì a Hitler un punto di aggancio; così come la tradizione di una Chiesa di Stato e la fortissima sottolineatura dell'ubbidienza nei confronti dell'autorità, che è di casa nella tradizione luterana. Proprio per questi aspetti il protestantesimo tedesco, soprattutto il luteranesimo, fu all'inizio molto più facilmente esposto all'aggressione di Hitler; un movimento come i " Cristiani tedeschi " non si sarebbe potuto formare nell'ambito del concetto cattolico di Chiesa".

Ciò non toglie che anche i protestanti si segnalarono nella lotta al nazismo.

"Questo è fuori discussione. Proprio perché la situazione era così come l'ho descritta, da parte dei protestanti era richiesto un coraggio più personale per intraprendere la resistenza contro Hitler. Karl Barth ha espresso molto chiaramente questo stato di cose, rifiutandosi di prestare il giuramento richiestogli nella sua funzione. Ecco perché proprio il protestantesimo ha potuto vantare personalità di grande rilevanza nella resistenza. Si capisce però anche, da quanto ho detto sopra, perché fra i comuni fedeli i cattolici si trovassero più facilitati a resistere nel rifiuto delle dottrine di Hitler. Si vide anche allora ciò che la storia ha sempre confermato: come male minore, la Chiesa cattolica può venire tatticamente a patti con sistemi statali anche oppressivi, ma alla fine si rivela una difesa per tutti contro le degenerazioni del totalitarismo. Non può infatti, per sua natura, confondersi con lo stato e si deve opporre a uno stato che costringa anche i suoi fedeli in una sola visione. E quanto ho constatato io stesso, da giovane cattolico, nella Germania nazista".

 

[SM=g27998]  CAPITOLO DODICESIMO

UNA CERTA "LIBERAZIONE"

Una "Istruzione" da leggere


Nei giorni del colloquio con il card. Ratzinger a Bressanone, non era ancora pubblica (sarebbe stata presentata a settembre) la Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione che pure era già pronta, portando la data del 6 agosto 1984. Era però già stata pubblicata - con un'indiscrezione giornalistica - la riflessione in cui Ratzinger spiegava la sua posizione personale, di teologo, attorno all'argomento. Era poi già preannunciata la "convocazione a colloquio" di uno degli esponenti più noti di quella teologia.

Dunque, il tema "teologia della liberazione" aveva già invaso le pagine dei giornali; e le avrebbe occupate ancora più dopo la presentazione della Istruzione. E bisogna pur dire che sconcerta come molti dei commenti - anche i più ambiziosi, anche quelli pubblicati dalle testate più illustri - abbiano giudicato il documento della Congregazione senza averlo letto se non in qualche sintesi incompleta, magari sospetta di partito preso. Inoltre, quasi tutti i commenti si sono occupati solo delle implicazioni politiche del documento, ignorandone le motivazioni religiose.

Anche per questo, la Congregazione per la fede ha poi deciso di rifiutare ulteriori commenti, rinviando a un testo tanto dibattuto quanto misconosciuto. Leggere la Instructio: è quanto noi stessi siamo stati pregati di chiedere al lettore, quali che siano poi le sue conclusioni.

Ci è sembrato invece importante mettere qui a disposizione il testo che - pur pubblicato con quella che dicevamo una "indiscrezione giornalistica" -, è divenuto ormai di dominio pubblico, rispecchia fedelmente il pensiero di Joseph Ratzinger (in quanto teologo: non, dunque, in quanto Prefetto della Congregazione per la fede) e non è di facile reperimento per il lettore non specialista. Questo testo può servire a comprendere il pensiero personale del card. Ratzinger su un tema così spinoso e attuale. Qui più che mai, per il Prefetto, "difendere l'ortodossia significa davvero difendere i poveri ed evitare loro le illusioni e le sofferenze di chi non sa dare una prospettiva realistica di riscatto neppure materiale".

Segnaliamo inoltre quanto l'Instructio afferma sin dalla introduzione: "Questa Congregazione per la dottrina della fede non intende qui affrontare nella sua completezza il vasto terna della libertà cristiana e della liberazione. Essa si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza, in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto l'aspetto sia dottrinale che pratico". Solo una prima parte, dunque, di un discorso che va completato.

Inoltre, "il richiamo" contenuto nella prima parte, quella "negativa", "non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla " opzione preferenziale per i poveri ". La presente Istruzione non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dell'ingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai, è necessario che numerosi cristiani, di fede illuminata e risoluti a vivere la vita cristiana nella sua integralità, si impegnino nella lotta per la giustizia, la libertà e la dignità dell'uomo, per amore verso i loro fratelli diseredati, oppressi o perseguitati. Più che mai la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori e lottare, con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dell'uomo, specialmente nella persona dei poveri".

Il bisogno di redenzione

Prima di passare a riprodurre il documento "Privato" del teologo Ratzinger, diamo intanto conto sempre nel tentativo di situare la sua posizione su uno sfondo generale - di quanto è emerso nel nostro colloquio a proposito del termine "liberazione" E uno scenario di portata mondiale.

"Liberazione - dice infatti il Cardinale - sembra essere il programma, la bandiera di tutte le culture attuali, in tutti i continenti. Al seguito di queste culture, la volontà di cercare una "liberazione" passa attraverso il movimento teologico dei diversi ambiti culturali del mondo".

Continua: "Come ho già osservato parlando della crisi della morale, la "liberazione" è la tematica chiave anche della società dei ricchi, del Nord America e dell'Europa Occidentale: liberazione dall'etica religiosa e, con essa, dai limiti stessi dell'uomo. Ma si cerca " liberazione " anche in Africa e in Asia, dove lo sganciamento dalle tradizioni occidentali si presenta come un problema di liberazione dal retaggio coloniale, alla ricerca della propria identità. Ne parleremo in modo specifico più avanti. È " liberazione " infine in Sud America, dove la si intende soprattutto in senso sociale, economico, politico. Dunque, il problema soteriologico, cioè della salvezza, della redenzione (della liberazione, come appunto si preferisce dire) è divenuto il punto centrale del pensiero teologico".

Perché, chiedo, questa focalizzazione, che peraltro sembra corretta anche alla Congregazione (le prime parole della Istruzione del 6 agosto non sono forse: "Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forma di liberazione")?

"Questo è avvenuto e avviene - dice - perché la teologia tenta di rispondere così al problema più drammatico del mondo di oggi: il fatto cioè che malgrado tutti gli sforzi l'uomo non è affatto redento, non è per nulla libero, conosce anzi una crescente alienazione. E questo appare in tutte le forme di società attuale. L'esperienza fondamentale della nostra epoca è proprio quella della "alienazione", cioè lo stato che l'espressione cristiana tradizionale chiama: mancanza di redenzione. È l'esperienza di un'umanità che si è distaccata da Dio e in questo modo non ha trovato la libertà, ma solo schiavitù".

Parole dure, ancora una volta, osservo.

"Eppure così è a una visione realistica, che non si nasconda la situazione. E del resto al realismo che sono chiamati i cristiani: essere attenti ai segni del tempo significa anche questo, ritrovare il coraggio di guardare la realtà in faccia, nel suo positivo e nel suo negativo. Ora, giusto in questa linea di oggettività, vediamo che c'è un elemento in comune ai programmi di liberazione secolaristici: quella liberazione la vogliono cercare solo nell'immanenza, dunque nella storia, nell'aldiquà. Ma è proprio questa visione chiusa nella storia, senza sbocchi sulla trascendenza, che ha condotto l'uomo nella sua attuale situazione".

Resta comunque il fatto, dico, che questa esigenza di liberazione è una sfida che va accettata; non ha dunque ben fatto la teologia a raccoglierla per darle una risposta cristiana?

"Certo, purché quella risposta sia cristiana veramente. Il bisogno di salvezza oggi così avvertito esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. Ma il pericolo di certe teologie è che si lascino suggerire il punto di vista immanentistico, solo terrestre, dai programmi di liberazione secolaristici. I quali non vedono, né possono vedere che la " liberazione " è innanzitutto e principalmente liberazione da quella schiavitù radicale che il "mondo" non scorge, che anzi nega: la schiavitù radicale del peccato".

Un testo da "teologo privato"

Da questo quadro generale, torniamo a quel "fenomeno straordinariamente complesso" che è la teologia della liberazione che, pur tendendo a diffondersi un po' ovunque nel Terzo Mondo, ha tuttavia "il suo centro di gravità in America Latina".

Torniamo dunque a quel testo "privato" di Ratzinger teologo, che ha preceduto l'Instructio dell'autunno 1984. Le pagine seguenti (in corsivo) lo riproducono per intero. Data l'origine e la destinazione strettamente teologica, il linguaggio non è sempre il più divulgativo possibile. Crediamo comunque che valga la pena di superare qualche passaggio forse complesso per il lettore non specialista: al di là, ripetiamo, delle valutazioni di ciascuno, questo testo aiuta a situare il fenomeno " teologia della liberazione " nel più ampio scenario della teologia mondiale. E chiarisce i motivi dell'intervento della Congregazione in una strategia già avviata e che prevede altre "tappe".




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)