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La sfida delle sètte

Insistenza escatologica, fuga dal mondo, appelli esasperati al "cambiamento di vita", alla "conversione", coinvolgimento del corpo (astensione dall'alcol, dal tabacco, spesso dalla carne, "penitenze " di vario tipo) contrassegnano quasi tutte le sètte che continuano a espandersi tra gli ex-fedeli delle chiese cristiane "ufficiali". Il fenomeno assume di anno in anno dimensioni sempre più imponenti: esiste una strategia comune della Chiesa per rispondere a questa avanzata?

"Ci sono singole iniziative di vescovi e episcopati - risponde il Prefetto -. Certamente dovremo stabilire una linea di azione comune tra le Conferenze episcopali e i competenti organi della Santa Sede e, nella misura del possibile, con altre grandi comunità ecclesiali. Va comunque detto che, in ogni tempo e luogo, la cristianità ha conosciuto frange di spiriti religiosi esposti al fascino di questo tipo di annuncio eccentrico, eterodosso".

Ora, però, queste "frange" sembrano trasformarsi in fenomeno di massa.

"La loro espansione - dice - segnala anche vuoti e carenze del nostro annuncio e della nostra prassi. Per esempio: l'escatologismo radicale, il millenarismo che contrassegna molte di queste sètte, può farsi strada anche grazie alla sparizione di questo aspetto del cattolicesimo autentico in molta pastorale. C'è in queste sètte una sensibilità (che in loro è estremizzata, ma che in misura equilibrata è autenticamente cristiana) ai pericoli del nostro tempo, e quindi a una possibilità della fine imminente della storia. La valorizzazione corretta di messaggi come quello di Fatima può essere un nostro tipo di risposta: la Chiesa, ascoltando il messaggio vivo del Cristo dato attraverso Maria al nostro tempo, sente la minaccia della rovina di ciascuno e di tutti e risponde con una penitenza, una conversione decise".

Per il Cardinale, tuttavia, la più radicale risposta alle sètte passa attraverso "la riscoperta della identità cattolica: occorre una nuova evidenza, una nuova gioia, se posso dire una nuova "fierezza" (che non contrasta con l'umiltà indispensabile) di essere cattolici. Bisogna poi ricordare che questi gruppi riscuotono favori anche perché propongono alla gente, sempre più sola, isolata, incerta, una sorta di " patria dell'anima ", il calore di una comunità. È proprio quel calore, quella vita che purtroppo sembrano spesso mancare presso di noi: là dove le parrocchie, questo nucleo di base irrinunciabile, hanno saputo rivitalizzarsi, offrire il senso della piccola chiesa che vive in unione con la grande Chiesa, là i settari non hanno potuto sfondare in modo significativo. La nostra catechesi, poi, deve smascherare il punto su cui insistono questi nuovi " missionari ": l'impressione, cioè, che la Scrittura sia letta da loro in modo " letterale " mentre i cattolici l'avrebbero indebolita o dimenticata. Questa letteralità è spesso il tradimento della fedeltà. L'isolamento di singole frasi, di versetti, è sviante, fa perdere di vista la totalità: letta nel suo insieme, la Bibbia è davvero " cattolica ". Ma occorre che questo sia mostrato attraverso una pedagogia catechetica che riabitui alla lettura della Scrittura nella Chiesa e con la Chiesa".

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LITURGIA TRA ANTICO E NUOVO

Ricchezze da salvare


Cardinal Ratzinger, vogliamo parlare un poco di liturgia, di riforma liturgica? È un problema tra i più dibattuti e spinosi, è uno dei cavalli di battaglia della anacronistica reazione anti-conciliare, dell'integrismo patetico alla Lefebvre, il vescovo in rivolta proprio a causa di certi aggiornamenti liturgici in cui crede di sentire odore di zolfo, di eresia...

Mi ferma subito per precisare: "Davanti a certi modi concreti di riforma liturgica e, soprattutto, davanti alle posizioni di certi liturgisti, l'arca del disagio è più ampia di quella dell'integrismo anticonciliare. Detto in altre parole: non tutti coloro che esprimono un tale disagio devono per questo essere necessariamente degli integristi".

Vuol forse dire che il sospetto, magari la protesta per certo liturgismo post-conciliare sarebbero legittimi anche in un cattolico lontano dal tradizionalismo estremo? In un cattolico, cioè, non malato di nostalgia ma disposto ad accettare interamente il Vaticano II?

"Dietro ai modi diversi di concepire la liturgia - risponde - ci sono, come di consueto, modi diversi di concepire la Chiesa, dunque Dio e i rapporti dell'uomo con Lui. Il discorso liturgico non è marginale: è stato proprio il Concilio a ricordarci che qui siamo nel cuore della fede cristiana".

I gravosi compiti romani impediscono a Joseph Ratzinger (per motivi di tempo ma anche di opportunità) di continuare come vorrebbe la pubblicazione di articoli scientifici e di libri. Ma, a conferma dell'importanza che dà all'argomento liturgico, una delle poche opere che ha pubblicato in questi anni è Das Fest des Glaubens, la festa della fede. Si tratta appunto di una raccolta di brevi saggi sulla liturgia e su un certo "aggiornamento" di fronte al quale si dichiarava perplesso già dieci anni dopo la conclusione del Vaticano II.

Tiro fuori dalla borsa quel ritaglio del 1975 e leggo: "L'apertura della liturgia alle lingue popolari era fondata e giustificata: anche il Concilio di Trento l'aveva avuta presente, almeno a livello di possibilità. Sarebbe poi falso dire, con certi integristi, che la creazione di nuovi canoni per la Messa contraddice la Tradizione della Chiesa. Tuttavia, resta da vedere sino a che punto le singole tappe della riforma liturgica dopo il Vaticano II siano state veri miglioramenti o non, piuttosto, banalizzazioni; sino a che punto siano state pastoralmente sagge o non, al contrario, sconsiderate".

Continuo a leggere da quell'intervento di Joseph Ratzinger, allora professore di teologia ma già prestigioso membro della Pontificia Commissione Teologica Internazionale: "Anche con la semplificazione e la formulazione meglio comprensibile della liturgia, è chiaro che deve essere salvaguardato il mistero dell'azione di Dio nella Chiesa; e, perciò, la fissazione della sostanza liturgica intangibile per i sacerdoti e le comunità, come pure il suo carattere pienamente ecclesiale". "Pertanto - esortava il professor Ratzinger - ci si deve opporre, più decisamente di quanto sia stato fatto finora, all'appiattimento razionalistico, ai discorsi approssimativi, all'infantilismo pastorale che degradano la liturgia cattolica al rango di circolo di villaggio e la vogliono abbassare a un livello fumettistico. Anche le riforme già eseguite, specialmente riguardo al rituale, devono essere riesaminate sotto questi punti di vista".

Mi ascolta, con l'attenzione e la pazienza consuete, mentre gli rileggo queste sue parole. Sono passati dieci anni da allora, l'autore di una simile messa in guardia non è più un semplice studioso, è il custode dell'ortodossia stessa della Chiesa. Il Ratzinger di oggi, Prefetto della fede, si riconosce ancora in questo brano?

"Interamente - non esita a rispondermi -. Anzi, da quando scrivevo queste righe altri aspetti che sarebbero stati da salvaguardare sono stati accantonati, molte ricchezze superstiti sono state dilapidate. Allora, nel 1975, molti colleghi teologi si dissero scandalizzati, o almeno sorpresi, dalla mia denuncia. Adesso, anche tra loro, sono numerosi quelli che mi hanno dato ragione, almeno parzialmente". Si sarebbero cioè verificati ulteriori equivoci e fraintendimenti che giustificherebbero ancor più le parole severe di sei anni dopo, nel libro recente che citavamo: "Certa liturgia post-conciliare, fattasi opaca o noiosa per il suo gusto del banale e del mediocre, tale da dare i brividi...".

La lingua, per esempio ...

Per lui, proprio nel campo liturgico - sia negli studi degli specialisti che in certe applicazioni concrete - si constaterebbe "uno degli esempi più vistosi di contrasto tra ciò che dice il testo autentico del Vaticano II e il modo con cui è stato poi recepito e applicato".

Esempio sin troppo famoso, si sa (ed esposto al rischio di strumentalizzazioni), è quello dell'impiego del latino, sul quale il testo conciliare è esplicito: "L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini" (Sacrosanctum Concilium, n. 36). Più avanti, i Padri raccomandano: "Si abbia ( ... ) cura che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'Ordinario della Messa che spettano ad essi" (n. 54). Più avanti ancora, nello stesso documento: "Secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici sia conservata nell'Ufficio divino la lingua latina " (n. 101).

Scopo del colloquio col card. Ratzinger, dicevamo all'inizio, non era certo mettere in rilievo il nostro punto di vista, bensì riferire quello dell'intervistato.

Tuttavia, personalmente - per quanto poco importi - troviamo un po' grottesco l'atteggiamento da "vedovi" e "orfani" di chi rimpiange un passato tramontato per sempre e non siamo affatto nostalgici di una liturgia in latino che abbiamo conosciuto solo nel suo ultimo, estenuato periodo di vita. Tuttavia, leggendo i documenti conciliari si può capire ciò che vuol dire il card. Ratzinger: è un fatto oggettivo che, anche solo limitandosi all'uso della lingua liturgica, balza agli occhi il contrasto tra i testi del Vaticano II e le successive applicazioni concrete.

Non si tratta di recriminare ma di sapere, da una voce autorevole, come mai questo gap si sia verificato.

Lo vedo scuotere il capo: "Che vuole, anche questo è tra i casi di una sfasatura - purtroppo frequente in questi anni - tra il dettato del Concilio, la struttura autentica della Chiesa e del suo culto, le vere esigenze pastorali del momento e le risposte concrete di certi settori clericali. Eppure la lingua liturgica non era affatto un aspetto secondario. All'origine della frattura tra Occidente latino e Oriente greco c'è anche una questione di incomprensione linguistica. È probabile che la scomparsa della lingua liturgica comune possa rafforzare le spinte centrifughe tra le varie aree cattoliche". Aggiunge però subito: "Per spiegare il rapido e quasi totale abbandono dell'antica lingua liturgica comune bisogna in verità anche rifarsi a un mutamento culturale dell'istruzione pubblica in Occidente. Come professore, ancora all'inizio degli anni Sessanta potevo permettermi di leggere un testo latino a giovani provenienti dalle scuole secondarie tedesche. Oggi questo non è più possibile".

"Pluralismo, ma per tutti"

A proposito di latino: nei giorni del nostro colloquio non era ancora conosciuta la decisione del Papa che (con lettera in data 3 ottobre 1984, a firma del Pro-Prefetto della Congregazione per il culto divino) concedeva il discusso " indulto " a quei preti che volessero celebrare la messa usando il messale romano, in latino appunto, del 1962. e, cioè, la possibilità di un ritorno (seppure ben delimitato) alla liturgia pre-conciliare; purché, si dice nella lettera, "consti con chiarezza, anche pubblicamente, che questi sacerdoti e i rispettivi fedeli in nessun modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l'esattezza dottrinale del Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970"; e purché la celebrazione secondo il vecchio rito "avvenga nelle chiese e negli oratori indicati dal vescovo, non però nelle chiese parrocchiali, a meno che l'ordinario del luogo lo abbia concesso, in casi straordinari". Malgrado questi limiti e le severe avvertenze ("in nessun modo la concessione dell'indulto dovrà essere usata in modo da recare pregiudizio all'osservanza fedele della riforma liturgica"), la decisione del Papa ha suscitato polemiche.

La perplessità è stata anche nostra, ma dobbiamo riferire quanto il card. Ratzinger ci aveva detto a Bressanone: pur senza parlarci della misura - che era evidentemente già stata decisa e della quale di certo era al corrente - ci aveva accennato a una possibilità del genere. Questo " indulto per lui, non sarebbe stato da vedere in una linea di " restaurazione " ma, al contrario, nel clima di quel " legittimo pluralismo" sul quale il Vaticano II e i suoi esegeti hanno tanto insistito.

Infatti, precisando di parlare " a titolo personale ", il cardinale ci aveva detto: "Prima di Trento, la Chiesa ammetteva nel suo seno una diversità di riti e di liturgie. I Padri tridentini imposero a tutta la Chiesa la liturgia della città di Roma, salvaguardando, tra le liturgie occidentali, solo quelle che avessero più di due secoli di vita. È il caso, ad esempio, del rito ambrosiano della diocesi di Milano. Se potesse servire a nutrire la religiosità di qualche credente, a rispettare la pietas di certi settori cattolici, sarei personalmente favorevole al ritorno alla situazione antica, cioè a un certo pluralismo liturgico. Purché, naturalmente, venisse riconfermato il carattere ordinario dei riti riformati e venisse indicato chiaramente l'ambito e il modo di qualche caso straordinario di concessione della liturgia preconciliare". Più che un auspicio il suo, visto che poco più di un mese dopo doveva realizzarsi.

Lui stesso, del resto, nel suo Das Fest des Glaubens aveva ricordato che "anche in campo liturgico, dire cattolicità non significa dire uniformità", denunciando che, "invece, il pluralismo postconciliare si è dimostrato stranamente uniformante, quasi coercitivo, non consentendo più livelli diversi di espressione di fede pur all'interno dello stesso quadro rituale".

Uno spazio per il Sacro

Per tornare al discorso generale: che rimprovera il Prefetto a certa liturgia d'oggi? (o, forse, non proprio di oggi visto che, come osserva, "sembra stiano attenuandosi certi abusi degli anni postconciliari: mi pare che ci sia in giro una nuova presa di coscienza, che alcuni stiano accorgendosi di avere corso troppo e troppo in fretta". "Ma - aggiunge - questo nuovo equilibrio è per ora di élite, riguarda alcune cerchie di specialisti mentre l'ondata messa in moto proprio da costoro arriva adesso alla base. Così, può succedere che qualche prete, qualche laico si entusiasmino in ritardo e giudichino d'avanguardia ciò che gli esperti sostenevano ieri, mentre oggi questi specialisti si attestano su posizioni diverse, magari più tradizionali").

Comunque sia, ciò che per Ratzinger va ritrovato in pieno è "il carattere predeterminato, non arbitrario, " imperturbabile -, " impassibile " del culto liturgico". "Ci sono stati anni - ricorda - in cui i fedeli, preparandosi ad assistere a un rito, alla messa stessa, si chiedevano in che modo, in quel giorno, si sarebbe scatenata la " creatività " del celebrante...". Il che, ricorda, contrastava oltretutto con il monito insolitamente severo, solenne del Concilio: "Che nessun altro, assolutamente (al di fuori della Santa Sede e della gerarchia episcopale, n.d.r.); che nessuno, anche se sacerdote, osi di sua iniziativa aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica" (Sacrosanctum Concilium n. 22).

Aggiunge: "La liturgia non è uno show, uno spettacolo che abbisogni di registi geniali e di attori di talento. La liturgia non vive di sorprese " simpatiche ", di trovate " accattivanti ", ma di ripetizioni solenni. Non deve esprimere l'attualità e il suo effimero ma il mistero del Sacro. Molti hanno pensato e detto che la liturgia debba essere "fatta" da tutta la comunità, per essere davvero sua. È una visione che ha condotto a misurarne il " successo " in termini di efficacia spettacolare, di intrattenimento. In questo modo è andato però disperso il proprium liturgico che non deriva da ciò che noi facciamo, ma dal fatto che qui accade Qualcosa che noi tutti insieme non possiamo proprio fare. Nella liturgia opera una forza, un potere che nemmeno la Chiesa tutta intera può conferirsi: ciò che vi si manifesta è lo assolutamente Altro che, attraverso la comunità (che non ne è dunque padrona ma serva, mero strumento) giunge sino a noi".

Continua: "Per il cattolico, la liturgia è la Patria comune, è la fonte stessa della sua identità: anche per questo deve essere " predeterminata ", " imperturbabile ", perché attraverso il rito si manifesta la Santità di Dio. Invece, la rivolta contro quella che è stata chiamata " la vecchia rigidità rubricistica ", accusata di togliere " creatività ", ha coinvolto anche la liturgia nel vortice del " fai-da-te ", banalizzandola perché l'ha resa conforme alla nostra mediocre misura".

C'è poi un altro ordine di problemi sul quale Ratzinger vuole richiamare l'attenzione: "Il Concilio ci ha giustamente ricordato che liturgia significa anche actio, azione, e ha chiesto che ai fedeli sia assicurata una actuosa participatio, una partecipazione attiva".

Mi sembra ottima cosa, dico.

"Certo - conferma -. è un concetto sacrosanto che però, nelle interpretazioni postconciliari, ha subìto una restrizione fatale. Sorse cioè l'impressione che si avesse una " partecipazione attiva " solo dove ci fosse un'attività esteriore, verificabile: discorsi, parole, canti, omelie, letture, stringer di mani... Ma si è dimenticato che il Concilio mette nella actuosa participatio anche il silenzio, che permette una partecipazione davvero profonda, personale, concedendoci l'ascolto interiore della Parola del Signore. Ora, di questo silenzio non è restata traccia in certi riti".





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)