00 28/05/2013 19:40

[SM=g27998]  CAPITOLO SETTIMO

LE DONNE, UNA DONNA



Un sacerdozio in questione


Il discorso sulla crisi della morale è, per il Cardinale, strettamente legato a quello (oggi attualissimo nella Chiesa) sulla donna e il suo ruolo.

Il documento della Congregazione per la dottrina della fede che ribadiva il "no" cattolico (condiviso da tutte le Chiese dell'ortodossia orientale e, sino a tempi recentissimi, dagli anglicani) al sacerdozio femminile porta la firma del predecessore del card. Ratzinger. Questi però vi ha contribuito come consulente e, a una mia domanda, lo definirà "molto ben preparato, anche se come tutti i documenti ufficiali presenta una certa secchezza: va diritto alle conclusioni senza potere motivare tutti i passi che vi conducono con l'ampiezza che sarebbe necessaria".

A quel documento il Prefetto rinvia comunque per un riesame di una questione che, a suo avviso, è spesso male impostata.

Parlando della questione femminile in generale (e dei suoi riflessi sulla Chiesa, in particolare tra le religiose) mi sembra di avvertire in lui un rammarico singolare: "è la donna che sconta più duramente le conseguenze della confusione, della superficialità di una cultura frutto di menti maschili, di ideologie maschiliste che ingannano la donna, la scardinano nel profondo, dicendo che in realtà vogliono liberarla".

Dice dunque: "A prima vista, le istanze del femminismo radicale a favore di una totale equiparazione tra uomo e donna sembrano nobilissime, in ogni caso del tutto ragionevoli. E sembra logico che questa richiesta di ingresso della donna in tutte le professioni, nessuna esclusa, si trasformi all'interno della Chiesa in una domanda di accesso anche al sacerdozio. A molti, questa richiesta di ordinazione, questa possibilità di avere delle sacerdotesse cattoliche pare non solo giustificata ma innocua: un semplice, indispensabile adeguamento della Chiesa a una situazione sociale nuova che si è verificata".

E allora, dico, perché ostinarsi nel rifiuto?

"In realtà questo tipo di " emancipazione " della donna non è affatto nuovo. Si dimentica che nel mondo antico tutte le religioni avevano anche delle sacerdotesse. Tutte, tranne una: quella ebraica. Il cristianesimo, anche qui sull'esempio "scandalosamente" originale di Gesù, apre alle donne una situazione nuova, dà loro un posto che rappresenta uno degli elementi di novità rispetto all'ebraismo. Ma di questo conserva il sacerdozio solo maschile. Evidentemente, l'intuizione cristiana ha compreso che la questione non era secondaria, che difendere la Scrittura (la quale né nell'Antico né nel Nuovo Testamento conosce donne-sacerdote) significava ancora una volta difendere la persona umana. A cominciare, si intende, da quella di sesso femminile".

Contro un sesso "banalizzato"

La cosa, osservo, va ulteriormente spiegata: resta da vedere in che modo la Bibbia e la Tradizione che l'ha interpretata intenderebbero " mettere al riparo " la donna escludendola dal sacerdozio.

"Certamente. Ma bisogna allora andare a fondo della richiesta, che il femminismo radicale trae dalla cultura oggi diffusa, di "banalizzare" la specificità sessuale, rendendo interscambiabile ogni ruolo tra uomo e donna. Parlando della crisi della morale tradizionale, accennavo che alla radice della crisi c'è una serie di rotture fatali: quella, ad esempio, tra sessualità e procreazione. Staccato dal legame con la fecondità, il sesso non appare più come una caratteristica determinata, come un orientamento radicale, originario della persona. Maschio? Femmina? Sono domande che per alcuni sono ormai " vecchie ", prive di senso, se non razziste. La risposta del conformismo corrente è prevedibile: "maschio o femmina che si sia interessa poco, siamo tutti semplicemente delle persone umane". Questo in realtà è grave anche se sembra molto bello e generoso: significa infatti che la sessualità non è più considerata come radicata nella antropologia, significa che il sesso è visto come un semplice ruolo interscambiabile a piacere".

E dunque?

"Dunque, ne segue per logica coerenza che tutto l'essere e tutto l'agire della persona umana sono ridotti a pura funzionalità, a puro ruolo: per esempio il ruolo del "consumatore" o il ruolo del " lavoratore ", secondo i regimi. Qualcosa comunque che non riguarda direttamente il diverso sesso. Non è un caso che, tra le battaglie di "liberazione" di questi anni, ci sia stata anche quella per sfuggire alla "schiavitù della natura", chiedendo il diritto di diventare maschio o femmina a piacere, per esempio per via chirurgica, ed esigendo che lo stato nella sua anagrafe prenda atto di questa autonoma volontà dell'individuo. E non è un caso che le leggi si siano prontamente adeguate a una simile richiesta. Anche se questo cosiddetto "cambiamento di sesso" non muta nulla nella costituzione genetica della persona interessata. È soltanto un artefatto esteriore, con il quale non si risolvono i problemi ma semplicemente si costruiscono delle realtà fittizie. Se tutto non è che "ruolo" determinato dalla cultura, dalla storia e non specificità naturale inscritta nel profondo, anche la maternità è una funzione casuale: e difatti certe rivendicazioni femministe considerano " ingiusto " che alla sola donna tocchi partorire, allattare. E la scienza, non solo la legge, corre in aiuto: trasformando un maschio in femmina e viceversa, come già abbiamo visto; o staccando la fecondità dalla sessualità, mirando a far procreare a piacere con manipolazioni tecniche. Non siamo forse tutti eguali? Dunque, se necessario, si combatta anche contro la " ineguaglianza " della natura. Ma la natura non si combatte senza subirne le conseguenze più devastanti. La sacrosanta eguaglianza tra maschio e femmina non esclude, anzi esige, la diversità".

A difesa della natura

Dal discorso generale, vediamo di passare a quello che più ci interessa. Che cosa avviene quando questi orientamenti entrano nella dimensione religiosa, cristiana?

"Avviene che la interscambiabilità dei sessi visti come semplici " ruoli " determinati più dalla storia che dalla natura, che la banalizzazione del maschile e del femminile si estendono all'idea stessa di Dio e da lì si allargano a tutta la realtà religiosa".

Eppure, sembra davvero sostenibile anche per un cattolico (e un Papa lo ha recentemente ricordato) che Dio è al di là delle categorie della sua creazione; e dunque è tanto Padre che Madre.

"Questo è corretto se ci poniamo da un punto di vista puramente filosofico, astratto. Ma il cristianesimo non è una speculazione filosofica, non è una costruzione della nostra mente. Il cristianesimo non è " nostro ", è la Rivelazione di Dio, è un messaggio che ci è stato consegnato e che non abbiamo il diritto di ricostruire a piacimento. Dunque, non siamo autorizzati a trasformare il Padre nostro in una Madre nostra: il simbolismo usato da Gesù è irreversibile, è fondato sulla stessa relazione uomo-Dio che è venuto a rivelarci. Ancor meno ci è lecito sostituire Cristo con un'altra figura. Ma ciò che il femminismo radicale - talvolta anche quello che dice di richiamarsi al cristianesimo - non è disposto ad accettare è proprio questo: il carattere esemplare, universale, immodificabile della relazione tra Cristo e il Padre".

Se queste sono le posizioni contrapposte, osservo, il dialogo sembra bloccato.

"Sono infatti convinto - dice - che ciò cui porta il femminismo nella sua forma radicale non è più il cristianesimo che conosciamo, è una religione diversa. Ma sono anche convinto (cominciamo a vedere le ragioni profonde della Posizione biblica) che la Chiesa cattolica e quelle ortodosse, difendendo la loro fede e il loro concetto di sacerdozio, difendono in realtà sia gli uomini che le donne nella loro totalità, nella loro distinzione irreversibile in maschile e femminile; dunque nella loro irriducibilità a semplice funzione, ruolo".

"Del resto - continua - vale anche qui quanto non mi stanco di ripetere: per la Chiesa, il linguaggio della natura (nel nostro caso: due sessi complementari tra loro e insieme ben distinti) è anche il linguaggio della morale (uomo e donna chiamati a destini egualmente nobili, entrambi eterni, ma insieme diversi). È in nome della natura - si sa che di questo concetto diffida invece la tradizione protestante e, al suo seguito, quella dell'illuminismo - che la Chiesa alza la voce contro la tentazione di precostituire le persone e il loro destino secondo meri progetti umani, di togliere loro l'individualità e, con questa, la dignità. Rispettare la biologia è rispettare Dio stesso, quindi salvaguardare le sue creature".

Frutto anch'esso, per Ratzinger "dell'Occidente opulento e del suo establishment intellettuale", il femminismo radicale "annuncia una liberazione, cioè una salvezza, diversa se non opposta a quella cristiana". Ma ammonisce: "Tocca agli uomini e soprattutto alle donne che sperimentano i frutti di questa presunta salvezza post-cristiana interrogarsi realisticamente se questa sta davvero significando un aumento di felicità, un maggior equilibrio, una sintesi vitale, più ricca di quella abbandonata perché giudicata superata".

Dunque, dico, a suo avviso le apparenze ingannerebbero: più che beneficate, le donne sarebbero vittime della " rivoluzione " in corso.

"Sì - ripete -, è la donna che paga di più. Maternità e verginità (i due valori altissimi in cui realizzava la sua vocazione più profonda) sono diventati valori opposti a quelli dominanti. La donna, creatrice per eccellenza dando la vita, non " produce " però in quel senso tecnico che è il solo valorizzato da una società più maschile che mai nel suo culto dell'efficienza. La si convince che si vuole " liberarla ", " emanciparla ", inducendola a mascolinizzarsi e rendendola così omogenea alla cultura della produzione, facendola rientrare sotto il controllo della società maschile dei tecnici, dei venditori, dei politici che cercano profitto e potere, tutto organizzando, tutto vendendo, tutto strumentalizzando per i loro fini. Affermando che lo specifico sessuale è in realtà secondario (e, dunque, negando il corpo stesso come incarnazione dello Spirito in un essere sessuato), la donna è derubata non solo della maternità, ma anche della libera scelta della verginità: eppure, come l'uomo non può procreare, così non può essere vergine se non " imitando " la donna. La quale, anche per questa via, aveva per l'altra parte dell'umanità valore altissimo di " segno ", di "esempio"".

Femminismo in convento

Che ne è, chiedo, di quel mondo ricchissimo e complesso (spesso un po' impenetrabile agli occhi di un uomo, soprattutto se laico), il mondo delle religiose cioè: suore, monache, consacrate di ogni tipo?

"Certa mentalità femminista - risponde - è entrata anche nelle comunità religiose femminili. Questo ingresso è particolarmente vistoso, persino nelle sue forme più estreme, nel continente nordamericano. Hanno resistito piuttosto bene, invece, le claustrali, gli ordini contemplativi, perché più al riparo dallo Zeitgeist, lo spirito del tempo, e perché caratterizzati da uno scopo preciso e non modificabile: la lode a Dio, la preghiera, la verginità e la separazione dal mondo come segno escatologico. In grave crisi, invece, ordini e congregazioni di vita attiva: la scoperta della professionalità, il concetto di "assistenza sociale" che ha sostituito quello di " carità ", l'adeguamento spesso indiscriminato e magari entusiastico ai valori nuovi e sino ad allora sconosciuti della moderna società secolare, l'ingresso, qualche volta senza alcun filtro, di psicologie e psicoanalisi di ogni scuola nei conventi: tutto questo ha portato a laceranti problemi di identità e alla caduta di motivazioni sufficienti a giustificare presso molte donne la vita religiosa. Visitando in Sudamerica una libreria cattolica, ho notato che là (e non solo là!) i trattati spirituali di un tempo erano ormai sostituiti da manuali divulgativi di psicoanalisi, la teologia aveva fatto posto alla psicologia, magari la più corrente. Quasi irresistibile, poi, il fascino per ciò che è orientale o presunto tale: in molte case religiose (maschili e femminili) la croce ha talvolta lasciato il posto a simboli della tradizione religiosa asiatica. Sparite anche in diversi luoghi le devozioni di un tempo per far posto a tecniche yoga o zen".

E' stato osservato come molti religiosi abbiano cercato di risolvere la crisi di identità proiettandosi all'esterno - secondo la ben nota dinamica maschile -, cercando dunque "liberazione" nella società, nella politica. Molte religiose, invece, sembrano essersi proiettate all'interno (seguendo anche qui una dialettica legata al sesso), inseguendo quella stessa "liberazione" nella psicologia del profondo.

"Sì - dice -, ci si è rivolti con grande fiducia a quei confessori profani, a quegli " esperti dell'anima " che sarebbero psicologi e psicoanalisti. Ma costoro possono al massimo dire come funzionano le forze dello spirito, non possono dire perché, a che scopo. Ora, la crisi di molte suore, di molte religiose era determinata proprio dal fatto che il loro spirito sembrava lavorare nel vuoto, senza più una direzione riconoscibile. Proprio da questo lavorìo di analisi è risultato chiaro che l' "anima" non si spiega da se stessa, che ha bisogno di un punto di riferimento al di fuori. È stata quasi una conferma "scientifica" della appassionata constatazione di sant'Agostino: "Ci hai fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto sino a quando in Te non riposi". Questo andar cercando e sperimentando, spesso affidandosi a "esperti" improvvisati, ha significato pesi umani insondabili, comunque altissimi, per le religiose: sia per quelle che sono rimaste che per quelle che hanno lasciato".

Un futuro senza suore?

C'è un rapporto aggiornato e minuzioso sulle religiose del Ouébec, la provincia-stato del Canada che parla francese. Un caso esemplare, quello québécois: si tratta infatti della sola zona del Nord America che sin dagli inizi sia stata colonizzata ed evangelizzata da cattolici, che vi avevano costruito un regime di chrétienté gestito da una Chiesa onnipresente. In effetti, ancora vent'anni fa, all'inizio degli anni Sessanta, il Québec era la regione del mondo con il più alto numero di religiose rispetto agli abitanti, che sono in tutto sei milioni. Tra il 1961 e il 1981 per uscite, morti, arresto del reclutamento, le religiose si sono ridotte da 46.933 a 26.294. Una caduta, dunque, del 44 per cento e che sembra inarrestabile. Le nuove vocazioni, infatti, si sono ridotte nello stesso periodo di ben il 98,5 per cento. Risulta poi che buona parte di quell'1,5 superstite è costituito non da giovani ma da " vocazioni tardive ". Tanto che, con una semplice proiezione, tutti i sociologi concordano in una conclusione cruda ma oggettiva: "Tra poco (a meno di rovesciamenti di tendenza del tutto improbabili almeno a viste umane), la vita religiosa femminile così come l'abbiamo conosciuta non sarà in Canada che un ricordo".

Sono gli stessi sociologi che hanno preparato il rapporto che ricordano come in questi vent'anni tutte le comunità abbiano proceduto a ogni sorta di riforma immaginabile: abbandono dell'abito religioso, stipendio individuale, lauree nelle università laiche, inserimento nelle professioni secolari, assistenza massiccia di ogni tipo di " specialisti ". Eppure, le suore hanno continuato a uscire, le nuove non sono arrivate, quelle rimaste - età media attorno ai sessant'anni - spesso non sembrano avere risolto i problemi di identità e in qualche caso dichiarano di attendere rassegnate l'estinzione delle loro congregazioni.

L'aggiornamento, anche il più coraggioso, era certo necessario, ma non sembra avere funzionato, proprio in quell'America del Nord cui in particolare si riferisce Ratzinger. Forse perché, dimenticando l'ammonimento evangelico, si è cercato di mettere "vino nuovo" in "otri vecchi", in comunità cioè nate in altri climi spirituali, figlie di una Societas christiana che non è più la nostra? Dunque, la fine di una vita religiosa non significa la fine della vita religiosa che si incarnerà in forme nuove, adeguate ai nostri tempi?

Il Prefetto non lo esclude di certo, anche se il caso esemplare del Québec conferma che gli ordini in apparenza più opposti alla mentalità attuale e più refrattari alle modifiche, quelli di contemplative, di claustrali "hanno al massimo registrato qualche problema ma non hanno conosciuto una vera crisi", per stare alle parole dei sociologi stessi.

Comunque sia, per il Cardinale, "se è la donna che paga lo scotto maggiore alla nuova società e ai suoi valori, tra tutte le donne le suore erano le più esposte". Ritornando ancora a quanto già accennato, osserva che "l'uomo, anche il religioso, malgrado i problemi che sappiamo, ha potuto cercare un rimedio alla crisi gettandosi sul lavoro, tentando di ritrovare il suo ruolo nell'attività. Ma la donna, quando i ruoli inscritti nella sua stessa biologia sono stati negati e magari irrisi? Quando la sua meravigliosa capacità di dare amore, aiuto, Sollievo, calore, solidarietà è stata sostituita dalla mentalità economicistica e sindacale della "professione", questa tipica preoccupazione maschile? Che può fare la donna, quando tutto ciò che più è suo è spazzato via e giudicato irrilevante o deviante?".

Continua: "L'attivismo, il voler fare comunque cose "produttive", "rilevanti" è la tentazione costante dell'uomo, anche del religioso. Ed è proprio questo orientamento che domina nelle ecclesiologie (ne parlavamo) che presentano la Chiesa come un "popolo di Dio" indaffarato, impegnato a tradurre il vangelo di un programma di azione che consegua dei "risultati" sociali, politici, culturali. Ma non è un caso se la Chiesa è nome di genere femminile. In essa, infatti, vive il mistero della maternità, della gratuità, della contemplazione, della bellezza, dei valori insomma che sembrano inutili agli occhi del mondo profano. Senza magari essere pienamente cosciente delle ragioni, la religiosa avverte il disagio profondo di vivere in una Chiesa dove il cristianesimo è ridotto a ideologia del fare, secondo quell'ecclesiologia duramente maschilista e che pure è presentata - e magari creduta - come più vicina anche alle donne e alle loro esigenze "moderne".

E invece un progetto di Chiesa dove non c'è più posto per l'esperienza mistica, questa vetta della vita religiosa che non a caso è stata tra le glorie e le ricchezze offerte a tutti, con millenaria costanza e abbondanza, più da donne che da uomini. Quelle donne straordinarie che la Chiesa ha proclamato sue " sante " e talvolta suoi " dottori ", non esitando a proporle come esempio a tutti i cristiani. Un esempio che oggi è forse di particolare attualità".

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)