Ciao, Joseph Aloisius!
un saluto sommesso a Te, ora che ti allontani, ora che ci eravamo affezionati a quella Tua discreta fotografia.
Una fotografia che per otto anni ci ha tenuto compagnia incorniciata dall’icona del Cupolone, un anno in più di quei sette anni fatidici che segnano il passo di un matrimonio tra civili. Tra noi c’era un matrimonio spirituale, ma quella crisi non esisteva tra Te e noi, bensì nella Chiesa e dentro di te.
Quando, neonato al Soglio, ci comparisti in alto sulla Piazza di Pietro, non ci hai sorpreso con l’imponenza fisica ma col sorriso della modestia, colorata da quegli occhi che hanno le tinte della fanciullezza. Fu un impatto iniziale non segnato dalla forte emozionalità di gesti verbali , quelli che la folla della piazza si aspetta per ondeggiare in preda al misticismo popolare. Ora, invece, in questa Tua decisione di salutarci per sempre, hai saputo scatenare urbis et orbis un turbinio di emozioni, l’evento del Secolo.
Avevamo imparato ad amarti col tempo, come accade in quegli amori non partoriti dal “colpo di fulmine”. E ce ne accorgiamo ora che ci lasci, dubbiosi e perplessi, fedeli e non fedeli, credenti e agnostici, pascolo di un gregge allo sbando per uno stile di vita ispirato a quelle filosofie relativistiche, da sempre osteggiate nelle tue profonde analisi teologiche e sociali.
La Tua decisione ci restituisce l’emozionalità di quel “colpo di fulmine” che non fu. Siamo rimasti sconvolti nell’ora del Tuo “rifiuto”, rivelandoci , dietro l’uomo di pensiero, al di là dell’immagine angelicata, la forza di una tempra germanica, il coraggio umile e responsabile di consegnare ad altri un peso troppo grave per la Tua ingravescente aetate, scossa da quel difficile intreccio di situazioni che da tempo agita le acque all’interno delle Mura, dentro quella Città per noi quasi “ invisibile”.
La rinuncia deve essere stata frutto di una sofferta riflessione, maturata per porre di fronte alle proprie responsabilità divine tutti coloro che se ne sono allontanati. E’ un “no” che si inserisce in analoghe ma storicamente diverse “negazioni”, un atto che ha sapore di rivoluzione nelle moderne parabole del Tempio di Roma, una sorta di “schiaffo” che non subisce Benedetto XVI ma quella Santa Romana Chiesa che più santa non è.
Un Papa è anche uomo, con le sue angosce e le sue limitazioni fisiche. Lo spettacolo del dolore, del lento e inesorabile decadimento fisico, è pane per il popolo, non per Dio. E quello di mantenere fino in fondo una tradizione storica che andrebbe archiviata si rivela come alimento di quella specie di masochismo religioso collettivo nel volere a tutti i costi centellinare l’immagine in terra di un Cristo sofferente fino all’ultimo respiro.
Ma il popolo di Roma vuole sperare che il Papa dallo sguardo azzurro ancora per molto tempo ci tenga compagnia in quel suo “nascondimento”, forse designato dall’Alto per il bene della Chiesa. E nella speranza che i suoi occhi, pur se stanchi, possano attendere ancora per anni ai suoi amati studi teologici.
In questa fase di anomalo interregno, dove un Papa ancora vivente viene sostituito da un altro, tutti si chiedono quale sia la formula per appellarti. Noi, in questi pochi giorni che ci separano dal Tuo saluto formale di fine febbraio, ci siamo rivolti a Te col nome di battesimo, Joseph Aloisius, lo stesso che i tuoi genitori usavano per chiamare un bambino biondo, dalla bellezza delicata e gentile, quello che un giorno sarebbe stato arruolato come interprete della legge di Dio sulle sponde di quell’altra Roma.
Il fulmine, stavolta reale, che si è abbattuto durante un recente temporale sul pinnacolo michelangiolesco proprio il giorno dell’annuncio delle Tue dimissioni , appare il singolare avverarsi di profezie bibliche. Inquieti restiamo, gli occhi spalancati e manzonianamente “attoniti” sugli avvenimenti che ci assalgono a ondate, ma nella ferma aspettativa del cambiamento, del risveglio spirituale di coloro che attendono alle cose di Dio.
Hai detto:”Non mi vedrete mai più!” Una frase lapidaria, un “mai” quasi… punitivo. Ma non per noi, noi che speriamo di rivederti in un prossimo futuro, chissà ( è un nostro desiderio), magari ripreso nel rifugio di quella Tua romantica e tranquilla Baviera che ti farebbe rifiorire, assai più vicino a Dio che tra le mura di Babilonia la Grande, là dove Dio da tempo non mette più piede.
Arrivederci, Papa Ratzinger, e non addio!
Angela Grazia Arcuri
Roma, 25 febbraio 2013
Fraternamente CaterinaLD
"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)