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Il dilemma della teologia moderna: Gesù o Cristo


"Il tentativo, eludendo il cristianesimo storico, di costruire un puro Gesù ricavato dagli alambicchi degli storici, del quale poi si dovrebbe poter vivere, è intrinsecamente assurdo. ... Gesù contro Cristo; il che significa: via dal dogma e avanti con la carità!" (Ratzinger)

 

Partendo dalla fatidica domanda di Gesù Cristo: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? ...Voi chi dite che io sia?» (Mt.16,13-18) si legga anche qui, appare evidente che oggi assistiamo ad una vera spaccatura fra il "Cristo", l'unto di Dio, e il "Gesù" nome e persona propria del "Dio-con-noi" (Mt.1,23).

Ci troviamo davanti ad una vera "fine" del Cristianesimo convenzionale?

Secondo l'allora giovane teologo Joseph Ratzinger siamo andati anche ben oltre! C'è una vera spaccatura fra il Gesù storico e il Figlio di Dio-Dio nostro.

Senza aggiungere altro vi lasciamo alla lettura integrale del capitolo tratto da "Introduzione al Cristianesimo", Vi preghiamo di non estrapolare i singoli pensieri rischiando così di non comprendere bene e correttamente quanto vi è scritto nell'insieme.

 

II. Gesù il Cristo: la forma fondamentale della professione di fede cristologica (1)

1.Il dilemma della teologia moderna: Gesù o Cristo ?

Dopo quanto abbiamo detto, può ancora meravigliarci che la teologia, in una maniera o nell’altra, cerchi di sfuggire al dilemma della contemporaneità di fede e storia, tanto più se fra le due si frappone la parete divisoria dello ‘storico’?

Così, oggi, c’imbattiamo, or qua or là, nel tentativo di sottoporre a verifica la cristologia sul piano storico, mostrandone l’evidenza malgrado tutto mediante il metodo dell’‘esatto’ e documentabile , oppure scegliendo molto più semplicemente di ridurla sbrigativamente a dato comprovabile .

Il primo di questi tentativi non può riuscire, perché - come già abbiamo visto - il dato ‘storico’ in senso stretto implica una forma di pensiero che sottintende una limitazione al phainómenon (al documentabile), per cui non potrà mai far nascere la fede, allo stesso modo in cui la fisica non sarà mai in grado di far scaturire la professione di fede in Dio.

Il secondo, poi, non potrà mai soddisfare pienamente, perché in tal modo non si riesce ad afferrare la totalità di quanto è allora accaduto e ciò che si propone come affermazione è in realtà espressione di una privata concezione del mondo e non il puro risultato di un’indagine storica . Sicché a questi sforzi si accompagna sempre più il terzo tentativo, ossia di sfuggire completamente al dilemma storicistico lasciandoselo alle spalle come superfluo. E quanto avviene alla grande già in Hegel; e pure l’opera di R. Bultmann, sebbene si distingua da quella di Hegel, ha in comune la stessa direzione. Che ci si riduca all’idea o al kèrygma non è senz’altro la medesima cosa; la distinzione, tuttavia, non è così totale come sembrano supporre gli stessi sostenitori della teologia-del- kèrygma.

Il dilemma in cui si dibattono ambedue le vie - da un lato quella di trasporre o ridurre la cristologia a storia (Historie), dall’altro quella di sfuggire completamente alla storia, lasciandosela alle spalle come superflua per la fede - si può benissimo riassumere nell’alternativa che tormenta la teologia moderna: Gesù o Cristo?

La teologia inizia dapprima con il distaccarsi da Cristo per rifugiarsi in Gesù quale figura storicamente tangibile; ma poi, all’apice di questo movimento, con Bultmann, inverte la marcia fuggendo nella direzione opposta, da Gesù indietro verso Cristo: una corsa, questa, che al momento presente comincia già a tramutarsi nuovamente in una fuga da Cristo a Gesù.

Cerchiamo di approfondire maggiormente questo movimento a zig-zag della teologia moderna, perché osservandone le mosse ci avviciniamo meglio al problema stesso. Seguendo la prima tendenza - fuga da Cristo a Gesù - al principio del XX secolo Hamack ha abbozzato la sua opera Essenza del cristianesimo: un libro che propone una forma di cristianesimo satura di orgoglio e ottimismo razionalistico, secondo la quale il liberalismo aveva depurato il Credo originario.

Un’affermazione basilare di quest’opera suona: «Non il Figlio, ma solo il Padre deve stare dentro il vangelo, così come Gesù l’ha annunziato» .

Come sembra semplice, liberante, tutto ciò!

Mentre la professione di fede nel Figlio ha diviso - cristiani da non-cristiani, cristiani di diverse confessioni fra di loro - la conoscenza del Padre può invece unire. Mentre il Figlio appartiene solo a pochi, il Padre appartiene a tutti e tutti appartengono a lui. Mentre la fede ha diviso, l’amore può invece unire.

Gesù contro Cristo; il che significa: via dal dogma e avanti con la carità!

Il fatto che dal Gesù che annuncia, il quale aveva annunciato a tutti gli uomini il loro Padre comune rendendoli così fratelli, si sia passati al Cristo annunciato, che ora esigeva fede ed era diventato un dogma, secondo Hamack ha prodotto la frattura decisiva. Gesù aveva proclamato il messaggio non-dottrinale dell’amore, inaugurando così la grandiosa rivoluzione con cui egli fece saltare la corazza dell’ortodossia farisaica, introducendo al posto dell’intollerante fede formale la fiducia semplice nel Padre, la fratellanza degli uomini e la vocazione a un unico amore.

Ebbene, al posto di tutto questo, si sarebbe poi sostituita la dottrina dell’uomo-Dio, del ‘Figlio’, e così al posto della tolleranza e della fraternità, che sono la salvezza, una dottrina salvifica che può significare soltanto rovina e ha scatenato lotte su lotte, divisioni su divisioni. Donde la necessità di una nuova parola d’ordine: marcia indietro dal Cristo annunciato, oggetto di una fede che divide, e ritorno al Gesù che annuncia, all’appello alla potenza unificante dell’amore sotto l’unico Padre e con i molti fratelli.

Non si può certo negare che queste siano affermazioni incisive e stimolanti, alle quali non si può passare sopra tanto facilmente. Eppure, mentre Harnack stava ancora proclamando il suo ottimistico messaggio di Gesù, si sentivano già alla porta i passi di coloro che avrebbero portato la sua opera alla sepoltura. In quello stesso tempo, infatti, si fornivano già le prove che il Gesù di cui egli parlava era solo un romantico sogno, una fata morgana dello storico, il riflesso della sua sete e del suo desiderio che si dissolve a mano a mano ci si avvicina.

Bultmann imboccò così decisamente l’altra strada. Per quanto riguarda Gesù è assolutamente importante solo il ‘che’ (das Dass), il fatto che egli sia esistito; per il resto, la fede non si aggrappa a ipotesi così malsicure, sulle quali non c’è verso di raggiungere alcuna certezza storica, ma fa riferimento unicamente all’evento della parola nella predicazione, tramite il quale la chiusa esistenza umana viene aperta alla sua autenticità.

Ma un vuoto ‘che’ (Dass) è forse più facile da sostenere di uno riempito di contenuto?

Si è forse guadagnato qualcosa liquidando come insignificante la questione di chi, che cosa e come era questo Gesù e perciò legando così l’uomo a un semplice evento della parola? Quest’ultimo ha luogo senz’altro, giacché viene annunciato; ma la sua legittimazione e il suo contenuto di realtà continuano a rimanere, battendo questa via, quanto mai problematici.

Tenendo presenti questi problemi, è comprensibile che torni a crescere il numero di coloro che dal puro kèrygma e dal Gesù storico, ridotto per così dire al fantasma del puro ‘che’, ritornano ora indietro al più umano fra gli uomini, la cui umanità appare loro, in un mondo sdivinizzato, come l’ultimo barlume del divino sopravvissuto alla ‘morte di Dio’.

Questo accade oggi nella cosiddetta ‘teologia della morte di Dio’, la quale ci dice che, sì, non abbiamo più Dio, ma ci è rimasto tuttavia Gesù come segno della fiducia che ci rincuora a proseguire il cammino . In un mondo svuotato di Dio la sua umanità deve diventare una specie di rappresentanza di quel Dio che non riusciamo più a trovare. Ma quanto poco critici sono, su questo punto, coloro che prima si atteggiavano a critici tanto da volere permettere unicamente una teologia senza Dio, semplicemente per non apparire alquanto superati agli occhi dei loro contemporanei progressisti!

Del resto, bisognerebbe forse porre la questione già prima e riflettere se non si manifesti una pericolosa assenza di senso critico già nell’intenzione di praticare una teologia - discorso su Dio — prescindendo da Dio.

Non c’è bisogno che ci occupiamo di questo; per quanto concerne la nostra questione, resta comunque assodato che non possiamo cancellare gli ultimi quarant’anni, e che il ritorno al solo Gesù ci è irrevocabilmente precluso.

 Il tentativo, eludendo il cristianesimo storico, di costruire un puro Gesù ricavato dagli alambicchi degli storici, del quale poi si dovrebbe poter vivere, è intrinsecamente assurdo.

La semplice storia (Historie) non crea alcun presente, ma constata ciò che è stato. Pertanto, il romanticismo su Gesù è, in sostanza, altrettanto privo di avvenire: e tagliato fuori dal presente quanto doveva esserlo la fuga nel puro evento della parola.

Tuttavia, l’oscillare dello spirito moderno tra Gesù e Cristo, le cui tappe più significative nel XX secolo ho cercato di enucleare, non è stato inutile.

Penso che possa persino diventare un autentico segnavia, indicante che non esiste l’uno (Gesù) senza l’altro (Cristo), sicché si continua necessariamente a venir rimandati dall’uno all’altro, perché in verità Gesù sussiste soltanto come il Cristo e il Cristo non altrimenti che in Gesù.

Noi dobbiamo fare un passo innanzi e, prima di ogni ricostruire, che può offrirci sempre e soltanto dei rifacimenti, ossia delle figure artificiose ricavate in un secondo tempo, cercare semplicemente di comprendere che cosa ci dica la fede, la quale non è ricostruzione, ma presenza, non è teoria, bensì realtà viva ed esistenziale.

Forse dovremmo fidarci di più dell’attualità della fede che resiste ai secoli, fede che per sua stessa natura non ha voluto essere altro che un comprendere - comprendere, cioè, chi e che cosa sia veramente stato questo Gesù forse dovremmo contare più su di essa che sulla ricostruzione, la quale cerca la propria strada astraendo dalla realtà; perlomeno, però, dobbiamo cercare una buona volta di conoscere che cosa questa fede veramente dice.

2. L’immagine di Cristo nella professione di fede

 

Il Simbolo, da noi seguito in questo libro come sintesi rappresentativa della fede, formula la sua professione di fede in Gesù con questa semplicissima frase: «... e (io credo) in Gesù Cristo».

In essa, il fatto per noi più sorprendente è che, come nel linguaggio preferito dall’apostolo Paolo, il termine Cristo, il quale originariamente non era un nome, bensì un titolo (‘Messia’), nel testo originale viene premesso al nome (‘Cristo Gesù’).

Ora, si può dimostrare che alla comunità cristiana di Roma, cui si deve la formulazione della nostra professione di fede, il termine Cristo era già ben noto in tutta la sua portata contenutistica. La sua trasformazione in un puro e semplice nome proprio, così come lo intendiamo oggi, si è verificata già nei primissimi tempi; tuttavia qui l’appellativo ‘Cristo’ viene ancora impiegato come designazione di ciò che in realtà questo Gesù è.

La sua fusione col nome Gesù è, d’altronde, già molto avanzata, ci troviamo quasi all’ultima tappa nell’evoluzione del significato del termine Cristo.

Ferdinand Kattenbusch, il grande studioso del Simbolo apostolico, ha chiarito il dato di fatto con un azzeccatissimo esempio mutuato dalla realtà del suo tempo (1897).

Egli lo paragona al nostro modo di dire quando si parla del ‘Kaiser Guglielmo’: qui il titolo di Kaiser è divenuto quasi parte integrante del nome, tanto indissolubilmente uniti vanno i termini Kaiser e ‘Guglielmo’; eppure tutti sanno che con questa parola non si esprime soltanto un nome, bensì una funzione.

Qualcosa del genere troviamo anche qui, nell’abbinamento delle parole ‘Cristo Gesù’, che presenta la stessa formazione: Cristo è sì un titolo, ma è anche già una parte del nome proprio con cui si indica l’Uomo di Nazaret.

In questo processo di fusione del nome col titolo, del titolo in nome, si riflette qualcosa di ben diverso da una delle tante sbadataggini della storia, di cui qui avremmo un esempio in più. In esso emerge piuttosto in piena luce il nucleo più profondo di quel lavoro di comprensione che è stato compiuto dalla fede nei confronti della figura di Gesù di Nazaret.

La fede, infatti, ci viene appunto a dire che in quel Gesù non è possibile distinguere tra ufficio e persona: tale differenziazione è, nei suoi confronti, assolutamente priva di fondamento. La persona è l’ufficio, l’ufficio è la persona. Le due cose sono ormai inseparabili: qui non c’è alcuno spazio riservato al privato, all’Io, che in fin dei conti permane dietro le proprie azioni e attività, e perciò talvolta può essere anche "fuori servizio"; qui invece non c'è alcun "Io" staccato dalla sua opera: l'Io è l'opera, e l'opera è l' "Io".

 

(si legga in proposito: Mt.10,34 / 12,18 / 24,5 / Mc.14,62 / Lc.5,32 / 9,18 / 22,70 / 24,39 /

Gv.4,26 / 5,43 / 6,35 / 7,7 / 8,12 / 8,18 / 8,24 / 8,58 / 9,39 / 10,9 / 12,46 / 13,19 / 14,6 / 15,5 / 17,16 / Att.9,5 /

2Pt.1,13 /

 Apoc. 1,8 / 1,17 / 2,23 / 3,21 / 21,6 / 22,16 / )

 

Note

1)  Joseph Ratzinger - Introduzione al Cristianesimo - Queriniana - 1968 nuova riedizione 2000 - 2005, pag.187-193


 


[Modificato da Caterina63 05/06/2014 14:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)