00 16/04/2013 12:12
Parte seconda.
Per superare la crisi
 
1. Cosa e la fede?
 
Sarebbe dare prova di un inammissibile accademismo attendere che si "sia finito di discutere" prima di promuovere un rinnovamento della catechesi. La vita non aspetta che la teoria sia arrivata alla fine della sua elaborazione; la teoria, piuttosto, ha bisogno delle iniziative della vita, che è sempre "aggiornata". La fede stessa è anticipazione su quanto è attualmente inaccessibile. Così essa 1o raggiunge nella nostra vita e conduce la nostra vita a superarsi.
 
In altri termini: in vista di un giusto rinnovamento teorico e pratico della trasmissione della nostra fede, proprio come in vista di un vero rinnovamento della catechesi, è indispensabile che i problemi appena enunciati siano riconosciuti come tali e condotti verso la loro soluzione. Ora, l'impossibilita in cui siamo di rinunciare alla teoria, sia nella Chiesa che riguardo alla fede, non significa che la fede debba risolversi in teoria, né che dipenda totalmente dalla teoria. La discussione teologica, di norma, è possibile e significativa solo se e perché vi è, in permanenza, una avanzata del reale. Di questo parla con insistenza la prima lettera di san Giovanni, a proposito di una crisi del tutto simile alla nostra: "[...] voi avete l'unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza" (1 Gv. 2,20).
 
Questo vuole dire: la vostra fede battesimale, la conoscenza che vi è stata trasmessa con l'unzione (sacramentale), sono un contatto con la realtà stessa, che ha, dunque, la precedenza sulla teoria. Non è la fede battesimale che deve giustificarsi davanti alla teoria, ma la teoria davanti alla realtà, davanti alla conoscenza della verità concessa nella confessione battesimale. Alcuni versetti più avanti, l'Apostolo traccia una frontiera molto netta alle esigenze intellettuali che si chiamavano "gnosi". Poiché ciò che allora era in causa, era l'esistenza stessa del cristianesimo o il suo recupero da parte della filosofia del tempo. L'Apostolo dice: "E quanto a voi, l'unzione che avete ricevuto da Lui rimane in voi [cioè la conoscenza della fede in comunione di spirito con la Chiesa]. E non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa [la sua unzione, cioè la fede cristologica della Chiesa, dono dello Spirito], è veritiera e non mentisce, così state saldi in Lui come essa vi insegna" (Ibid. 2,27).
 
Questo passaggio avverte, attraverso l'autorità apostolica di colui che aveva toccato il Verbo incarnato, che i fedeli devono resistere alle teorie che dissolvono la fede in nome dell’autorità della pura ragione. Ai cristiani viene detto che il loro giudizio - quello della semplice fede della Chiesa - ha una autorità più alta di quella delle teorie teologiche, poiché la loro fede esprime la vita della Chiesa, che è al di sopra delle spiegazioni teologiche e delle loro certezze ipotetiche (è la posizione di base di sant'Ireneo nel suo scontro con la gnosi; questa posizione, che sta al fondamento stesso della teologia cattolica, ha avuto, e ha ancora, una importanza decisiva nella formazione, come pure nella esistenza, della Chiesa cattolica: cfr. H. J. JASCHKE, Der Heilige Geist im Bekenntnis der Kirche, Munster 1976, pp. 265-294).
 
Ora, con questi rinvii al primato della fede battesimale su tutte le teorie didattiche e teologiche, diamo, in realtà, una risposta completa alle domande fondamentali della nostra esposizione. Per meglio elaborare e approfondire queste vedute, dobbiamo adesso formulare meglio la nostra questione. Per rispondere esattamente, dobbiamo, dunque, chiarire ciò che si deve intendere per fede e per fonte della fede.
 
L’ambiguità del termine "credere" deriva dal fatto che riveste due atteggiamenti spirituali diversi. Nel linguaggio quotidiano, credere significa "pensare, supporre"; questo è un grado inferiore del sapere rispetto a realtà di cui non abbiamo ancora certezza. Ora, è comunemente ammesso che la fede cristiana stessa è un insieme di supposizioni su argomenti di cui non abbiamo una conoscenza esatta. Ma una tale opinione manca totalmente il suo obiettivo. Il più importante catechismo cattolico, il Catechismo Romano pubblicato sotto Pio V in seguito al Concilio di Trento - e al quale dovremo sovente ritornare -, in merito al fine e al contenuto della catechesi, che è la somma delle conoscenze cristiane, si esprime, infatti, conformemente a un detto di Gesù riportato da san Giovanni: "E la vita eterna è questa, che conoscano te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo" (Gv. 17,3. Cfr. Catechismo Tridentino, prefazione, n. 10 [trad. it., Cantagalli, Siena 1981, p. 26]).
 
Dicendo ciò, il Catechismo Romano intende precisare contenuto e finalità di ogni catechesi, e precisa effettivamente, in un modo fondamentale, ciò che è la fede: credere significa trovare e realizzare la vita, la vera vita. Non si tratta di un qualsiasi potere, che sarebbe lecito acquisire o lasciare da parte, ma proprio del potere di imparare a vivere, e di vivere una vita che possa rimanere sempre. Sant’Ilario di Poitiers, che scrisse nel secolo IV un libro sulla Trinità, ha descritto in modo simile il punta di partenza della sua ricerca di Dio: aveva finalmente preso coscienza che la vita non è donata solamente per morire; nello stesso tempo, aveva compreso che i due scopi della vita, che si impongono come contenuto di vita, sono insufficienti: non sono sufficienti, dice, ne' il possesso ne' il godimento tranquilli della vita. "Beni e sicurezza" sono ciò che la vita non può accontentarsi di essere, "altrimenti l'uomo ubbidirebbe solo al suo ventre e alla sua pigrizia" (SANT'ILARIO DI POITIERS, La Trinità, I, 1 e 2).
 
Il vertice della vita può essere raggiunto solo la' dove vi è qualche cosa di più: la conoscenza e l’amore. Si potrebbe dire anche: solo la relazione dona alla vita la sua ricchezza: la relazione con l’altro, la relazione con l'universo. Tuttavia, neppure questa duplice relazione è sufficiente, perché "la vita eterna è che conoscano te". La fede è la vita, perché è relazione, cioè conoscenza che diventa amore, amore che viene dalla conoscenza e che conduce alla conoscenza. Come la fede indica un altro potere oltre a quello di compiere alcune azioni isolate, cioè il potere di vivere, così essa possiede anche, in proprio, un altro campo oltre a quello della conoscenza degli esseri particolari, vale a dire il potere della conoscenza fondamentale stessa, grazie alla quale prendiamo coscienza del nostro fondamento, impariamo ad accettarlo, e grazie a esso possiamo vivere. Il dovere essenziale della catechesi consiste, dunque, nel condurre alla conoscenza di Dio e del suo inviato, come dice giustamente il Catechismo Tridentino.
 
Le nostre riflessioni ci hanno fatto descrivere, fino a ora, quello che si potrebbe chiamare il carattere personale della nostra fede. Ma questa è solo la meta di un tutto. Vi è un secondo aspetto che troviamo ancora descritto nella prima lettera di san Giovanni. Al versetto I, l'esperienza dell'Apostolo è definita "visione" e "contatto" con il Verbo, che è Vita
 e si offrì al tatto facendosi carne. Di qui la missione degli apostoli, che consiste nel trasmettere quanto hanno sentito e visto, "perché anche voi siate in comunione con noi", con questa Parola (1 Gv I, 1-4).
 
La fede non è, dunque, soltanto un incontro a faccia a faccia con Dio e Cristo: è anche quel contatto che apre all'uomo la comunione con coloro ai quali Dio stesso si è comunicato. Questa comunione - possiamo aggiungere - è dono dello Spirito, che getta per noi un ponte verso il Padre e il Figlio. La fede non è, dunque, solo un "io" e un "tu", essa è anche un "noi". In questo "noi" vive il memoriale che ci fa ritrovare quanto abbiamo dimenticato: Dio e il suo Inviato.
 
Per dirla in altri termini, non vi è fede senza Chiesa. Henri de Lubac ha dimostrato che l’"io" della confessione di fede cristiana non è l’"io" isolato dell'individuo, ma l’"io" collettivo della Chiesa (Cfr. HENRI DE LUBAC S.J., Paradoxe et mystere de l’Eglise, Aubier-Montagne, Parigi 1967). Quando io dico: "Credo", significa che supero le frontiere della mia soggettività per integrarmi nell'"io" della Chiesa e, nello stesso tempo, mi integro nel suo sapere, che oltrepassa i limiti del tempo. L'atto di fede è sempre un atto con il quale si entra nella comunione di un tutto. E' un atto di comunione con il quale ci si lascia integrare nella comunione dei testimoni, tanto che, attraverso loro, tocchiamo l’intoccabile, udiamo l'inaudibile, vediamo l'invisibile. Il cardinale de Lubac ha dimostrato anche che noi non crediamo nella Chiesa allo stesso modo con il quale crediamo in Dio, ma che la nostra fede è fondamentalmente un atto compiuto con tutta la Chiesa (Cfr. IDEM, La Foi chretienne. Essai sur la structure du symbole des apotres. Aubier-Montagne, Parigi 1969, 28 ed. 1970, pp.201-234; cfr. anche J. RATZINGER, Theologische Prinzipienlehre. cit., pp. 15-27; importante e chiarificatore a tale proposito è quanto sottolinea LOUIS BOUYER, Le metier du theologien, France-Empire, Parigi 1979, pp. 207-227).

Dunque, tutte le volte che si pensa di potere trascurare anche solo un poco, nella catechesi, la fede della Chiesa, con il pretesto di attingere alla Scrittura una conoscenza più diretta e più precisa, si penetra nel campo dell'astrazione. Allora, infatti, non si pensa più, non si vive più, non si parla più in ragione di una certezza che oltrepassa le possibilità dell'io individuale e che si fonda su una memoria ancorata alle basi della fede e derivante da essa; non si parla più in virtù di una delega che oltrepassa i poteri dell'individuo; al contrario, ci si tuffa in quell'altra sorta di fede che è solo opinione, più o meno fondata, su quanto non è conosciuto. In queste condizioni, la catechesi si riduce a essere soltanto una teoria accanto ad altre, un potere simile ad altri; essa non può più essere, allora, studio e accoglienza della vita vera, della vita eterna.

[SM=g28005]  continua...




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)