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UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE
DEL SOMMO PONTEFICE

Il velo del calice e la benedizione dell’incenso

 

Si odono di frequente richiami a volgere l’attenzione all’Oriente cristiano, intanto sono omessi nel rito romano elementi che lo richiamano, come velare il calice e benedire l’incenso. La presenza di tende e veli nella liturgia è riconducibile al culto giudaico; per esempio il doppio velo all’ingresso del santuario nel tempio di Gerusalemme, segno di riverenza verso il mistero della Shekina, la presenza divina. Così per l’incenso e gli altri aromi che bruciavano sull’altare apposito antistante, al fine di elevare visibilmente l’anima alla preghiera, secondo le parole del salmo 140: Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum, in conspectu tuo – La mia preghiera stia davanti a te come incenso, o Signore. Nello stesso tempo il profumo copriva l’effetto sgradevole degli odori degli animali immolati e del sangue dei sacrifici.

Il velo rappresenta visibilmente l’esigenza di non toccare con mani, impure, le cose sacre: un simbolo dell’esigenza di purezza spirituale per avvicinarsi a Dio. Se la liturgia è fatta di simboli, questo è uno dei più importanti. I veli coprono le mani dei ministri, come gli angeli offerenti rappresentati nell’arte bizantina e romanica. In linea di principio, i vasi sacri, quando non in uso, sono sempre velati per alludere alla ricchezza che vi si nasconde.

Il velo del calice è un piccolo drappo del medesimo colore e stoffa della pianeta o casula, oppure sempre bianco, che serve a coprire tutto il calice, sull’altare o sulla credenza, dall’inizio della Messa all’offertorio; e poi dopo la purificazione che segue la comunione. Nel rito bizantino i veli sono due, per il calice e per il disco, ovvero la patena dei pani da consacrare. Nel rito romano, sebbene sia prescritto «lodevolmente» dall’Ordinamento generale del Messale di Paolo VI (n. 118), il velo che copre il calice è, nell’odierna prassi celebrativa, ordinariamente omesso.

Veniamo all’incensazione. Il sacerdote, all’inizio della Liturgia Eucaristica, messo l’incenso nel turibolo, lo benedice e poi incensa tutto l’altare, in onore del Signore. L’incenso viene benedetto, nella Messa in forma extraordinaria, con la preghiera: Per intercessionem beati Michaelis Archangeli, stantis a dextris altaris incensi, et omnium electorum suorum, incensum istud dignetur Dominus benedicere, et in odorem suavitatis accipere – Per intercessione di san Michele arcangelo, che sta alla destra dell’altare dell’incenso, e di tutti i suoi santi, il Signore voglia benedire questo incenso e accoglierlo come profumo a Lui gradito. Questa benedizione è più solenne della prima, nella quale si dice: Ab illo benedicaris, in cuius honore cremaberis – Ti benedica Colui in onore del quale sarai bruciato. Qui sono invocati gli angeli perché il mistero dell’incenso non rappresenta altro che la preghiera dei santi presentata a Dio dagli angeli, come dice san Giovanni nell’Apocalisse (8,4): Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo – E dalla mano dell’Angelo il fumo degli aromi ascende con la preghiera dei santi davanti a Dio.

Ancor prima però, come spiega Prosper Guéranger, «siccome il pane e il vino che ha offerti hanno cessato d’appartenere all’ordine delle cose comuni e usuali, [il sacerdote] li profuma con l’incenso, come fa per Cristo stesso, rappresentato dall’altare». Belle le parole che accompagnano l’incensazione prima in forma di triplice croce e poi di triplice cerchio sul pane e del calice: Incensum istud a Te benedictum ascendat ad Te Domine et descendat super nos misericordia tua – Ascenda a te, Signore, questo incenso da Te benedetto e discenda su di noi la tua misericordia. È tutto il senso della liturgia, che ascende a gloria della presenza divina e discende per la nostra salvezza – in latino, salvare vuol dire conservare – affinché siamo completamente noi stessi e possiamo vivere in eterno con Dio. Il sacerdote si inchina «in spirito di umiltà e con animo contrito» affinché il sacrificio si compia alla presenza di Dio in modo da essere gradito; poi invoca lo Spirito sulle offerte. Il sacerdote, rendendo il turibolo al diacono, gli rivolge un augurio che fa ugualmente a sé medesimo, dicendo: Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam aeternae caritatis – Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità.Il diacono, ricevendo il turibolo, bacia la mano del sacerdote e poi la parte superiore delle catene, invertendo l’ordine delle azioni che aveva compiuto presentandoglielo. Tutti questi usi sono orientali e la liturgia li conserva perché sono dimostrazioni di rispetto e riverenza.

Dunque, la Chiesa non ha escluso gli aromi dai suoi riti, anzi usa il balsamo per preparare il Crisma. L’incensazione simboleggia il sacrificio perfetto dei santi doni del pane e del vino, cioè Gesù Cristo, a cui sono unite le nostre persone in sacrificio spirituale, emananti profumo soave che sale al cielo (cf. Gen8,21; Ef5,2); così sono le preghiere dei santi (Ap5,8) e le virtù dei cristiani (2Cor2,15).

Qualcuno osserverà che, da quanto il velo del tempio si è squarciato, non abbiamo più bisogno di alcun velo, e da quando si è offerto il sacrificio di Cristo non abbiamo più bisogno di incenso. In verità non dovremmo nemmeno più aver bisogno di alcun edificio sacro, perché Cristo è il nuovo tempio. Il punto è che, con la venuta di Gesù, il profano non è scomparso del tutto: però è continuamente incalzato dal sacro che è dinamico, in via di compimento: «Perciò dobbiamo ritrovare il coraggio del sacro,il coraggio della distinzione di ciò che è cristiano; non per creare steccati, ma per trasformare, per essere realmente dinamici» (J. Ratzinger, Servitori della vostra gioia, Milano 2002, p 127).

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Formazione dottrinale e Comunione sotto le due specie

  

Nella forma ordinaria della Messa, la distribuzione della Comunione sotto le due specie è un’opzione che è diventata di uso quotidiano in molti Paesi e, sebbene non dappertutto, anche in Europa. L’Istruzione Redemptionis Sacramentum (RS), promulgata nel 2004, illustra il contesto di simile pratica: «Al fine di manifestare ai fedeli con maggior chiarezza la pienezza del segno nel convivio eucaristico, sono ammessi alla Comunione sotto le due specie nei casi citati nei libri liturgici anche i fedeli laici, con il presupposto e l’incessante accompagnamento di una debita catechesi circa i principi dogmatici fissati in materia dal Concilio Ecumenico Tridentino» (RS, n. 100).

Le lodevoli intenzioni spesso urtano contro la pietra d’inciampo catechetica ora menzionata. Senza dubbio, la Santa Comunione sotto le due specie illustra l’intenzione di Cristo, che noi mangiamo il suo Corpo e beviamo il suo Sangue. Tuttavia, il desiderio della Comunione sotto le due specie non sempre si è accompagnato con la fedeltà alle norme dei libri liturgici e con il supporto alla dovuta formazione, per evitare che ci fossero abusi nei confronti dell’Eucaristia o equivoci a livello dottrinale. Mentre molti hanno recepito che l’Eucaristia è «fonte e culmine» della vita cristiana, la trasmissione dei principi dogmatici del Concilio di Trento è stata spesso vista come fuori moda. L’Istruzione RS ha perciò affermato chiaramente che la coerenza con i libri liturgici e con gli insegnamenti di Trento è intrinseca alla «pienezza del segno».

RS rimuove ogni ambiguità circa la pratica eucaristica e «intende condurre a questa conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della liturgia» (RS, n. 5). Non di rado, l’essenziale deficit di consapevolezza eucaristica si rivela quando, per mancanza di formazione, i ministri straordinari della Comunione fanno riferimento al «distribuire il vino». Proprio questa terminologia suggerisce che il principio dogmatico di Trento non è stato assorbito all’interno del percorso di preparazione. Forse qualcuno ha potuto sentire parlare di «sostanza» e «accidenti» nel contesto della sua educazione religiosa passata, ma magari deve aver pensato che, nel frattempo, in qualche modo la Chiesa è andata avanti. Per le generazioni moderne, il Concilio di Trento potrebbe non essere stato neppure citato all’interno della formazione dottrinale, la quale invece sottolinea che «il popolo può ricevere il Corpo senza il Sangue, senza che ne derivi alcun inconveniente, perché il sacerdote offre e consuma il Sangue a nome di tutti; inoltre perché […] in ciascuna delle due specie Cristo è contenuto per intero» (san Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, III, q. 80, a. 12, ad 3). Perciò, sotto la specie del pane è presente anche, per «concomitanza», il preziosissimo Sangue.

Lo scopo, allora, di ricevere la Santa Comunione sotto le due specie non è che i fedeli ricevano più grazia di quando comunicano sotto una sola specie, bensì che essi siano messi nella condizione di apprezzare al vivo il valore del segno. È triste constatare che questa distinzione non sempre è stata fatta chiaramente e perciò alcuni, quando non si è offerta loro la Comunione sotto entrambe le specie, hanno manifestato un senso di perplessità, persino di violazione di un loro diritto, o almeno la percezione che la Santa Comunione sotto una sola specie fosse, in qualche misura, mancante.

Le conferenze episcopali e i vescovi diocesani, in particolare, hanno un ruolo chiave a livello locale, nell’assicurare che la Santa Comunione sia distribuita con riverenza ed evitando ogni fraintendimento. RS al n. 101 dice con chiarezza che va evitato anche il più piccolo pericolo che le specie consacrate siano profanate. E il n. 106 manifesta preoccupazione a riguardo di «qualunque cosa che possa risultare irrispettosa di così grande mistero». Mentre le parole «profanazione» e «irrispettoso» indicano diversi livelli di abuso eucaristico, entrambi i livelli sono però menzionati espressamente, affinché siano evitati. Bisogna avere ogni cura per evitare, ad esempio, la condivisione del calice lì dove le circostanze creano ambiguità nella ricezione, oppure la situazione logistica non garantisce la sicurezza di quanto in esso è contenuto. RS al n. 102 ricorda ancora che, lì dove non si può stimare la quantità di vino da consacrare in una celebrazione, a motivo della presenza di un gran numero di fedeli, il calice non va condiviso. Anche metodi alternativi, quali l’uso di un cucchiaio o di una cannuccia, potrebbero essere ugualmente difficili da auspicare, lì dove simili modalità non facessero parte dell’uso locale. Per quanto riguarda, poi, la Comunione per intinzione, si stabilisce: «Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’Ostia nel calice, né di ricevere in mano l’Ostia intinta» (RS, n. 104).

Le prossime traduzioni della terza edizione del Messale Romano rappresentano – come hanno scritto le conferenze episcopali di Inghilterra e Galles, in una lettera pastorale congiunta di questo mese – «un momento di grazia speciale». C’è da sperare che anche l’auspicata catechesi approfondita sulla Messa ritorni sulla mentalità e sul modo con cui è ricevuta la Santa Comunione. Sembra restrittivo suggerire che la Comunione ricevuta con fervore sotto una sola specie è più fruttuosa di una Comunione tiepida ricevuta sotto entrambe, quando obiettivi concreti rivolti alla formazione dottrinale, alla cura e riverenza nella celebrazione liturgica, e la previdenza organizzativa potrebbero fare davvero tanto per riconoscere e affrontare le sfide che sono emerse. Il salmista dichiara l’imperativo di tale catechesi in profondità: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alle generazioni future le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto» (Sal 78,3-4). Sant’Ambrogio svela ciò che gli uomini di fede ottengono da questa conoscenza: «Perché ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice, proclamiamo la morte del Signore. Se proclamiamo la morte del Signore, proclamiamo il perdono dei peccati. Se, ogni volta che il suo Sangue viene sparso, esso è sparso in remissione dei peccati, io devo sempre riceverlo in modo che esso possa rimettere i miei peccati. Siccome io pecco sempre, dovrei sempre ricevere la medicina» (De sacramentis, IV, 6, 28: PL 16, 464).

 

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)