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Ars celebrandi – Partecipazione attiva

Benedetto XVI, Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, 7 febbraio 2008

Sono don Alberto Orlando, vice parroco della parrocchia di Santa Maria Madre della Provvidenza. Vorrei rappresentarLe una difficoltà vissuta a Loreto con i giovani lo scorso anno. A Loreto abbiamo trascorso una giornata bellissima, ma tra le tante cose belle abbiamo notato una certa distanza tra Lei e i giovani. Siamo arrivati il pomeriggio. Non siamo riusciti né a sistemarci, né a vedere, né a sentire. Quando poi è arrivata la sera Lei è andato via e noi siamo come rimasti in balìa della televisione, che in un certo senso ci ha usato. I giovani però hanno bisogno di calore. Una ragazza per esempio mi ha detto: «Normalmente il Papa ci chiama “cari giovani”, invece oggi ci ha chiamato “giovani amici”». Ed era molto contenta per questo. Come mai non sottolineare questo particolare, questa vicinanza? Anche il collegamento televisivo con Loreto era molto freddo, molto lontano; anche il momento della preghiera ha vissuto delle difficoltà perchè era legato a dei punti luce rimasti chiusi sino a tardi, almeno sino a quando non è terminato lo spettacolo televisivo.  La seconda cosa invece che ci ha creato qualche difficoltà è stata la liturgia del giorno dopo, un po' pesante soprattutto  per quanto riguarda canti e musica. Al momento dell'alleluja, per farLe un esempio, una ragazza ha notato che, nonostante il caldo, queste canzoni e queste musiche si protraevano in tempi lunghissimi, quasi che a nessuno importasse dei disagi di chi era stretto nella calca. E si trattava di ragazzi che tutte le domeniche frequentano la messa. Ecco le due domande: come mai questa distanza tra Lei e loro; e poi come conciliare il tesoro della liturgia in tutta la solennità  con il sentimento, l'affetto e l'emotività che nutre i giovani e dei quali essi hanno tanto bisogno? Vorrei anche un consiglio: come regolarci tra solennità e emotività. Anche perchè siamo noi stessi sacerdoti a chiederci spesso quanto noi preti siamo capaci di vivere con semplicità l'emozione e il sentimento. Ed essendo noi i ministri del sacramento vorremmo essere in grado di orientare sentimento e emotività verso un giusto equilibrio. 

R. Il primo punto propostomi è legato alla situazione organizzativa: io l'ho trovata così come era, quindi non so se era possibile magari organizzare in modo diverso. Considerando le migliaia di persone che c'erano, era impossibile, credo, far sì che tutti potessero essere vicini allo stesso modo. Anzi, per questo abbiamo seguito un percorso con la macchina, per avere un po' di vicinanza con le singole persone. Però terremo conto di questo e vedremo se in futuro, in altri incontri con migliaia e migliaia di persone, sarà mai possibile fare qualcosa di diverso. Mi sembra tuttavia importante che cresca il sentimento di una vicinanza interiore, che trovi il ponte che ci unisce anche se localmente distanti.

Un grande problema è quello invece delle liturgie alle quali partecipano masse di persone. Mi ricordo  nel 1960, durante il grande congresso eucaristico internazionale di Monaco, si cercava di dare una nuova fisionomia ai congressi eucaristici, che sino ad allora erano soltanto atti di adorazione. Si voleva mettere al centro la celebrazione dell'Eucaristia come atto della presenza del mistero celebrato. Ma subito è nata la domanda sul come fosse possibile. Per adorare, si diceva, lo si può fare anche a distanza; ma per celebrare è necessaria una comunità limitata che possa interagire con il mistero, dunque una comunità che doveva essere assemblea attorno alla celebrazione del mistero. Molti erano quelli contrari alla celebrazione dell'Eucaristia in pubblico con centomila persone. Dicevano che non era possibile proprio per la struttura stessa dell'Eucaristia, che esige la comunità per la comunione. Erano anche grandi personalità, molto rispettabili, quelle contrarie a questa soluzione. Poi il professor Jungmann, grande liturgista, uno dei grandi architetti della riforma liturgica, ha creato il concetto di statio orbis, cioè è tornato alla statio Romae dove proprio nel tempo della Quaresima  i fedeli si raccolgono in un punto, la statio: quindi sono in statio come i soldati per Cristo, poi vanno insieme all'Eucaristia. Se questa, ha detto, era la statio della città di Roma, dove la città di Roma si riunisce, allora questa è la statio orbis. E dal quel momento abbiamo le celebrazioni eucaristiche con la partecipazione delle masse. Per me, devo dire, rimane un problema, perchè la comunione concreta nella celebrazione è fondamentale e quindi non trovo che la risposta definitiva sia stata realmente trovata. Anche nel Sinodo scorso ho fatto emergere questa domanda, che però non ha trovato risposta. Anche un'altra domanda  ho fatto fare, sulla concelebrazione in massa: perchè  se concelebrano, per esempio, mille sacerdoti, non si sa se c'è ancora la struttura voluta dal Signore.  Ma in ogni caso sono domande. E così si è presentata a lei la difficoltà nel partecipare ad una celebrazione di massa durante la quale non è possibile che tutti siano ugualmente coinvolti. Si deve dunque scegliere un certo stile, per conservare quella dignità che è sempre necessaria per l'Eucaristia, e quindi la comunità non è uniforme e l'esperienza della partecipazione all'avvenimento è diversa;  per alcuni  è certamente insufficiente. Ma non è dipesa da me, piuttosto da quanti si sono occupati della  preparazione.

Si deve riflettere bene dunque sul cosa fare in queste situazioni, come rispondere alle sfide di questa situazione. Se non sbaglio, era un'orchestra di handicappati ad eseguire le musiche e forse l'idea era proprio quella di far capire che gli handicappati possono essere animatori della sacra celebrazione e proprio loro non devono essere esclusi ma agenti primari. E così tutti, amando loro, non si sono sentiti esclusi ma anzi coinvolti. Mi sembra una riflessione molto rispettabile e io la condivido. Naturalmente però rimane il problema fondamentale. Ma mi sembra che anche qui, sapendo che cosa è l'Eucaristia, anche se non si ha la possibilità di un'attività esteriore come si desidererebbe per sentirsi compartecipi, vi si entra con il cuore, come dice l'antico imperativo nella Chiesa, creato forse proprio per quelli che stavano dietro nella basilica: «In alto i cuori! Adesso tutti usciamo da noi stessi, così tutti siamo con il Signore e siamo insieme». Come detto, non nego il problema, ma se seguiamo realmente questa parola «In alto i nostri cuori» troveremo tutti, anche in situazioni difficili ed a volte discutibili, la vera partecipazione attiva.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)