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adorazione Benedetto XVI san Michele arcangelo

Benedetto XVI, Discorso nella visita all’Abbazia di Heiligenkreuz, 9 settembre 2007

Con piacere, nel mio pellegrinaggio alla Magna Mater Austriae, sono venuto anche nell’Abbazia di Heiligenkreuz, che non è solo una tappa importante sulla Via Sacra verso Mariazell, ma il più antico monastero cistercense del mondo restato attivo senza interruzione. Ho voluto venire a questo luogo ricco di storia, per attirare l’attenzione alla direttiva fondamentale di san Benedetto, secondo la cui Regula vivono anche i cistercensi. Benedetto dispone concisamente di “non anteporre nulla al divino Officio”.[1]  

Per questo in un monastero di impostazione benedettina, le lodi di Dio, che i monaci celebrano come solenne preghiera corale, hanno sempre la priorità. Certo -e grazie a Dio!-, non sono solo i monaci che pregano; anche altre persone pregano: bambini, giovani e anziani, uomini e donne, persone sposate e nubili -ogni cristiano prega, o almeno dovrebbe farlo! 

Nella vita dei monaci, tuttavia, la preghiera ha una speciale importanza: è il centro del loro compito professionale. Essi, infatti, esercitano la professione dell’orante. Nell’epoca dei Padri della Chiesa, la vita monastica veniva qualificata come vita a modo degli angeli. E come caratteristica essenziale degli angeli si vedeva il loro essere adoratori. La loro vita è adorazione. Questo dovrebbe valere anche per i monaci. Essi pregano innanzitutto non per questa o quell’altra cosa, ma semplicemente perché Dio merita di essere adorato. “Confitemini Domino, quoniam bonus! -Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la sua misericordia!”, esortano vari Salmi (ad es. Sal 106, 1). Una tale preghiera senza scopo specifico, che vuol essere puro servizio divino viene perciò chiamata con ragione “officium”. È il “servizio” per eccellenza, il “servizio sacro” dei monaci. Esso è offerto al Dio trinitario che, al di sopra di tutto, è degno “di ricevere la gloria, l’onore e la potenza” (Ap 4,11), perché ha creato il mondo in modo meraviglioso e in modo ancora più meraviglioso l’ha rinnovato.  

Allo stesso tempo, l’officium dei consacrati è anche un servizio sacro agli uomini e una testimonianza per loro. Ogni uomo porta nell’intimo del suo cuore, consapevolmente o in modo inconscio, la nostalgia di un definitivo appagamento, della massima felicità, quindi in fondo di Dio. Un monastero, in cui la comunità si raduna più volte al giorno per lodare Dio, testimonia che questo originario desiderio umano non cade nel vuoto: il Dio Creatore non ha posto noi uomini in tenebre spaventose dove, andando a tentoni, dovremmo disperatamente cercare un fondamentale ultimo senso (cfr At 17,27); Dio non ci ha abbandonati in un deserto del nulla, privo di senso, dove, in definitiva, ci aspetta soltanto la morte. No! Dio ha illuminato le nostre tenebre con la sua luce, per opera del suo Figlio Gesù Cristo. In Lui, Dio è entrato nel nostro mondo con tutta la sua “pienezza” (cfr Col 1,19), in Lui ogni verità, di cui abbiamo nostalgia, ha la sua origine ed il suo culmine.[2]

La nostra luce, la nostra verità, la nostra meta, il nostro appagamento, la nostra vita -tutto ciò non è una dottrina religiosa, ma una Persona: Gesù Cristo. Molto al di là delle nostre capacità di cercare e di desiderare Dio, siamo già prima stati cercati e desiderati, anzi, trovati e redenti da Lui! Lo sguardo degli uomini di ogni tempo e popolo, di tutte le filosofie, le religioni e le culture incontra infine gli occhi spalancati del Figlio di Dio crocifisso e risorto; il suo cuore aperto è la pienezza dell’amore. Gli occhi di Cristo sono lo sguardo del Dio che ama. L’immagine del Crocifisso sopra l’altare, il cui originale romano si trova nel Duomo di Sarzano, mostra che questo sguardo si volge ad ogni uomo. Il Signore, infatti, guarda nel cuore di ciascuno di noi. 

Il nocciolo del monachesimo è l’adorazione -il vivere alla maniera degli angeli. Essendo, tuttavia, i monaci uomini con carne e sangue su questa terra, san Benedetto all’imperativo centrale dell’”ora” ne ha aggiunto un secondo: il “labora”. Secondo il concetto di san Benedetto come anche di san Bernardo, una parte della vita monastica, insieme alla preghiera, è anche il lavoro, la coltivazione della terra in conformità alla volontà del Creatore. Così in tutti i secoli i monaci, partendo dal loro sguardo rivolto a Dio, hanno reso la terra vivibile e bella. La salvaguardia e il risanamento della creazione provenivano proprio dal loro guardare a Dio. Nel ritmo dell’ora et labora la comunità dei consacrati dà testimonianza di quel Dio che in Gesù Cristo ci guarda, e uomo e mondo, guardati da Lui, diventano buoni.  

Non solo i monaci dicono l’officium, ma la Chiesa dalla tradizione monastica ha derivato per tutti i religiosi, ed anche per sacerdoti e diaconi la recita del Breviario. Vale anche qui che le religiose e i religiosi, i sacerdoti e i diaconi -e naturalmente anche i Vescovi -nella quotidiana preghiera “ufficiale” si presentano davanti a Dio con inni e salmi, con ringraziamenti e domande senza scopi specifici. 

Cari confratelli nel ministero sacerdotale e diaconale, cari fratelli e sorelle nella vita consacrata! Io so che ci vuole disciplina, anzi, a volte anche superamento di sé per recitare fedelmente il Breviario; ma mediante questo officium riceviamo allo stesso tempo molte ricchezze: quante volte nel fare ciò stanchezza e abbattimento si dileguano! E là dove Dio viene lodato ed adorato con fedeltà, la sua benedizione non manca. Con ragione si dice in Austria: “Tutto dipende dalla benedizione di Dio!”





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)