Libro intervista Luce del mondo, un capolavoro di sublime pastorale

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Caterina63
00venerdì 10 maggio 2013 09:28

LEGGENDO "LUCE DEL MONDO"... - Parte Prima


di Francesco Colafemmina
 
Ho appena finito di rileggere "Luce del mondo", il libro intervista di Papa Benedetto XVI. Proporrò quindi una serie di brevi considerazioni divise in tre parti. Ad ogni parte seguirà una sorta di florilegio dei pensieri del Santo Padre.
 
 
Chiusa l'ultima pagina la sensazione finale è che "Luce del mondo", il libro intervista di Benedetto XVI non sia tanto indirizzato ai cattolici, quanto al "mondo" che porta già nel titolo. Forse i lettori di notizie ecclesiali sul web e sulla stampa, coloro che leggono i discorsi del Papa e le sue encicliche non vi troveranno nulla di nuovo, e non resteranno stupiti nell'apprendere che il messale è "il libro liturgico per il rito cattolico romano" (così si legge in nota a p.155), ma potranno trovarci nondimeno fatti e realtà della Chiesa dibattuti negli ultimi anni. Si deduce pertanto che la funzione del volume è chiaramente apologetica. Difendere il Papa, difendere la Chiesa e riabilitarle entrambi agli occhi del mondo, affinché il mondo guardi con maggiore fiducia al Cattolicesimo e non abbia paura di abbracciare il Vangelo.
 
La funzione coincide dunque con quell'intento di promuovere una "nuova evangelizzazione" di cui aveva parlato Mons. Fisichella il giorno della sua presentazione in Vaticano. Una evangelizzazione che deve partire questa volta non direttamente dal Vangelo ma da colui che lo annuncia e dall'istituzione in cui Cristo vive, ossia il Papa e la Chiesa. Abbattere i muri del pregiudizio, ridurre le distanze del disagio causato dall'impatto tragico degli scandali pedofili, recuperare la fiducia del mondo, delle istituzioni, degli uomini di cultura, dei lettori credenti e non credenti di questa terra: questo è l'obiettivo di "Luce del mondo". Non è detto, tuttavia, che a questo obiettivo corrispondano analoghi risultati.
 
Il tono dell'intervista lo si intuisce dalla citazione del salmo 53, 1-5: "lo stolto pensa: 'Dio non c'è'. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: non c'è chi agisca bene..."
 
Una citazione emblematica che focalizza già il discorso sulla questione degli abusi sessuali da parte di alcuni membri del clero, forse uno dei più grandi scandali mediatici che abbiano mai colpito la Chiesa Cattolica. Il volume si articola in tre parti: la prima dedicata ad una analisi dei "Segni dei Tempi" (ossia la crisi del clero, la crisi economica, e la crisi della fede); la seconda parte riguarda più specificamente la figura del Pontefice (notevoli i passaggi in cui Papa Benedetto racconta la sua elezione e il rapporto con Islam e Ortodossia); la terza parte passa ad affrontare le prospettive per il futuro, senza mai dimenticare le posizioni della Chiesa sui temi considerati più scottanti (in verità tali da almeno 60 anni): il sacerdozio femminile, il celibato, la comunione per i separati... Molto belle le pagine finali dedicate ai Novissimi e alla Parusia del Signore.
 
Ripeto, che il libro sia dedicato principalmente a non cattolici lo si comprende sin dall'inizio. Il Papa deve spiegare chi è e cosa fa il Successore di Pietro, deve anche spiegare cosa significa essere Vicario di Cristo ("se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui, parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze" - p.22). Giunge persino a parlare delle dimissioni di un Pontefice come di un fatto quasi scontato (p.53 "Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più...").
 
Le parole ricorrenti tendono ad essere improntate talvolta ad un lessico internazionale, come nel caso dell'espressione "diritti umani": "Il mio predecessore, in quanto grande antesignano della lotta per i diritti umani, per la pace e per la libertà, ha sempre trovato anche grande consenso. Sono temi tuttora validi. Oggi soprattutto il Papa ha il dovere di battersi ovunque per il rispetto dei diritti umani, come intima conseguenza della fede nel fatto che l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio e che ha una vocazione divina. Il Papa ha il dovere di lottare per la libertà, contro la violenza e contro le minacce di guerra." pp.39-40).
 
I giudizi del Papa sulla questione pedofilia sono oltremodo chiari e netti: punire i colpevoli, rifuggire da ogni forma di omertà, occuparsi delle vittime, evitare che si ripetano i crimini. Da notare che il Papa spiega la ragione per cui ha evitato di ripetere ogni cinque minuti il suo dolore e il suo sgomento per quanto accaduto, oltre alla richiesta di perdono rivolta alle vittime: "Penso che tutto l'essenziale sia stato detto; perché quello che è stato detto per l'Irlanda non valeva solo per l'Irlanda. In questo senso le parole della Chiesa e del Papa sono state udite in modo assolutamente chiaro, inequivocabile e ovunque." (p.52).
 
Anche l'analisi delle cause di questi abusi è oltremodo chiara e profonda. Il Papa non nasconde che il problema è nato con l'abolizione tacita della disciplina nei seminari a partire dagli anni Sessanta: "Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa di diritto, ma una Chiesa dell'amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d'amore" p.47.
 
Nell'affrontare il tema della crisi economica globale, il Papa ricorre a profonde argomentazioni filosofiche il cui obiettivo è armonizzare etica cattolica ed etica umana. In parole povere la coscienza del potere distruttivo che attualmente l'uomo ha a disposizione grazie alla scienza e alla tecnica, dovrebbe indurre l'umanità a cercare una espansione "etica" del proprio potenziale, affinché quel potere sia incanalato sulla strada della sopravvivenza dell'uomo, del rispetto del creato, della preservazione della vita (pp.79-74).
Sono temi già sviluppati nell'enciclica Caritas in Veritate, in particolare quello racchiuso in questa frase del Papa: "Cosa possiamo fare? A fronte della minaccia incombente, tutti ormai si sono resi conto che è necessario fare scelte di ordine morale".
 
Il Papa passa quindi ad affrontare la questione che da molti anni gli sta a cuore: la "dittatura del relativismo". Il rapporto fra fede, verità e tolleranza già elaborato in una famosa raccolta di saggi da Joseph Ratzinger, viene attualizzato alla luce dei più recenti fenomeni causati dalla globalizzazione e dalla perdita di riferimenti culturali. Da notare il riferimento del Papa ad una vera e propria "nuova religione" che in nome della tolleranza vorrebbe soppiantare il Cristianesimo: "C'è il pericolo che la ragione, la cosiddetta ragione occidentale, sostenga di avere finalmente riconosciuto ciò che è giusto e avanzi così una pretesa di totalità che è nemica della libertà. Credo necessario denunciare con forza questa minaccia. Nessuno è costretto ad essere cristiano. Ma nessuno deve essere costretto a vivere secondo la 'nuova religione' come fosse l'unica e vera, vincolante per tutta l'umanità" pp.82-83.
 
E' però a pagina 98 che Papa Benedetto rivela il senso di questo libro intervista, assieme ad una delle strategie da lui promosse perché il mondo secolarizzato possa ritornare ad aprirsi alla fede (concetto già espresso in altri termini nel famoso "cortile dei gentili"): "Spesso Colui che viene è stato presentato con formule senz'altro vere che però sono insieme inerti. Esse non riescono più a penetrare nel contesto della nostra vita e spesso ci risultano incomprensibili. Oppure accade anche che questo Colui che viene è totalmente svuotato, falsificato in quanto ridotto a generico topos morale dal quale non viene niente e che non significa niente. Dobbiamo quindi cercare di dire veramente l'essenziale come tale, ma di dirlo con parole nuove. Per Jurgen Habermas è importante che esistano teologi capaci di tradurre il tesoro della loro fede in modo tale che esso, nel mondo secolarizzato, riesca a diventare parole per questo mondo. Lui magari lo intenderà in maniera un po' diversa da noi, ma ha ragione quando dice che l'interno processo di traduzione delle grandi parole nei termini e modi di pensare del nostro tempo è avviato, ma non è ancora del tutto riuscito." pp.97-98.
 
Questo approccio tuttavia parte da un dato di fondo storicistico e sociologico (Habermas la chiamava "sociologizzazione della storia"): i gruppi culturali creano un proprio linguaggio e il linguaggio della cultura dominante colonizza gli altri linguaggi. Se le culture ristrette sono in grado di adattare il proprio linguaggio sopravvivono, sennò sono destinate ad estinguersi. Così la pensa - e sto semplificando di molto - Habermas. Chiaramente se applichiamo questo discorso al Cristianesimo entriamo nell'errore dello storicismo: la Chiesa in quanto cultura dominante del passato ha visto permanere il suo linguaggio per secoli, perché era "dominante" e non perché quel linguaggio fosse intrinsecamente vero. Oggi però lo deve adattare alla modernità se vuole proseguire il suo annuncio. Così facendo per prima cosa si crede che l'espressione, il linguaggio culturale cattolico sia prodotto di un'epoca, dunque mera forma espressiva e non unione di contenuto e struttura formale. In secondo luogo si rischia, adattando il "linguaggio" della Chiesa al mondo secolarizzato, di snaturarlo e di perderne per sempre il contenuto, perché sarà vero che ciò "potrà riuscire soltanto se gli uomini vivranno il Cristianesimo a partire da Colui che viene", tuttavia perché si viva a partire da Cristo, bisogna essere radicati nel mondo logico di Cristo. Il logos non è insomma una struttura culturale, è di più, è Cristo stesso.
Tantopiù che il linguaggio del mondo contemporaneo non è nato per un autonomo rinnovamento, bensì perché il mondo è stato permeato di logiche e linguaggi alieni al Cristianesimo, anzi in lotta aperta con esso.
 
Dopo averci rassicurati sull'inutilità del Concilio Vaticano III, senza però deludere coloro che in futuro se l'aspettano ("Abbiamo avuto in totale più di venti concili, prima o poi sicuramente ce ne sarà un altro. Al momento non ne vedo le condizioni" p.100), il Papa passa poi a descrivere la sua missione di Successore di Pietro....
 
Fine prima parte
 
 
Caterina63
00venerdì 10 maggio 2013 09:30

LEGGENDO LUCE DEL MONDO... - Parte Seconda


 
di Francesco Colafemmina
 
La seconda parte del libro intervista a Papa Benedetto XVI, "Luce del Mondo" è dedicata al Pontificato. Il Santo Padre sin dalle prime battute ci mostra la sua umiltà, l'uomo che guida la Chiesa di Cristo non si considera un monarca solitario scelto dallo Spirito Santo, dunque investito di una suprema autorità. Al contrario il Papa ci tiene ad affermare i suoi limiti, anche quelli relativi al suo potere: "ho capito che accanto ai grandi Papi devono esserci anhe pontefici piccoli che danno il proprio contributo" (p.107) e aggiunge "il Concilio Vaticano II ci ha insegnato, a ragione, che per la struttura stessa della Chiesa è costitutiva la collegialità; ovvero il fatto che il Papa è il primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé" (p.107).
 
In questo senso risulta illuminante anche quanto il Papa afferma più avanti riguardo ai segni esteriori di questa monarchia ormai dismessa: "la tiara era rimasta nello stemma papale, e adesso è sparita anche da lì. Non ho cancellato l' "io", ma ho lasciato entrambi, l' "io" e il "noi". Infatti, su molti argomenti non dico solo quello che è venuto in mente a Joseph Ratzinger, ma parlo a partire dalla comunitarietà, dal carattere comunitario della Chiesa. In un certo qual modo, parlo in intima comunione con i credenti ed esprimo ciò che tutti noi siamo e quello a cui insieme crediamo. Quindi, il "noi" non ha il valore di plurale maiestatis, ma indica il giusto peso che si vuole dare alla realtà del parlare a partire dagli altri, per mezzio degli altri e con gli altri. Ma quando si dice qualcosa di personale, bisogna anche utilizzare l' "io". Quindi utilizzo sia l' "io" che il "noi". "(p.124).
 
Quest'ultimo passaggio sul plurale maiestatis è, francamente, piuttosto aperto a controverse interpretazioni. Infatti che il Papa parli al singolare o al plurale, non fa differenza nella percezione dei fedeli e del mondo. Basti pensare alla questione del condom, affrontata più avanti in questa sezione del libro. Il Papa ha parlato in qualità di Joseph Ratzinger? O in qualità di Papa? E cosa fa la differenza? Certo, il Papa non è un politico, un membro delle istituzioni, che quando parla in Parlamento parla a livello istituzionale, e quando si ritrova fra amici, parla a livello personale. Tuttavia se già nell'ambito politico, è estremamente difficile scindere pareri privati da visioni istituzionali, quanto più complesso è questo genere di sottigliezza ermeneutica applicata ad un Sommo Pontefice?
 
Ad ogni modo se a queste affermazioni sommiamo le altre, espresse già nella prima parte del volume, riguardo alla natura di "Vicario di Cristo" del Papa, che Benedetto intende quale estensione del ministero sacerdotale, non possiamo non trarne una impressione di depotenziamento del primato petrino: "nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo. Cristo ha affidato la sua parola alla Chiesa. Questa Parola vive nella Chiesa. E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo per Lui, anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze. Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente" (p.22).
 
Quello di vicarius Christi è un titolo antichissimo (lo si ritrova già in Sant'Ambrogio) che non contiene implicitamente soltanto il ministero sacerdotale. Esso esprime il primato nella maniera più diretta ed essenziale, ma nei secoli è anche diventato sinonimo delle prerogative pontificie, prima fra tutte lo ius ligandi atque solvendi. Chiaramente è difficile spiegare all'occidentale medio, abituato al democratismo, ossia a questa fantapolitica pseudo-democratica che ci governa, il senso di istituti così antichi e stratificati. E' difficile spiegare la possibilità che un uomo in carne ed ossa possa ottenere una potestà così esclusiva sulle anime, e un primato talmente inspiegabile sulla Chiesa. Ma tant'è! Questo è il Papato, non solo belle parole e viaggi apostolici.
 
Tornano a questo punto di moda le parole del gesuita Wilhelm Beltrams che già nel 1964, in pieno Concilio, riaffermava il senso della collegialità e del primato petrino. Nelle sue Quaestiones fundamentales iuris canonici del 1969 (Pontificia Università Gregoriana) affermava a proposito della collegialità (p.347): "Officium primatiale non potest habere structuram collegialem. Potius ipsum potest esse tale tantum, si est subiectum plenae supremae potestatis distinctum a subiecto, quod est collegium. Hac ratione revera Romanus Pontifex constituitur Vicarius Christi pro tota Ecclesia, idque ipsi soli convenit. Ipse personaliter Dominum representat directe toti Ecclesiae et ipsi collegio Episcoporum. Non tantum vicariatum directe a Domino habet - hoc etiam de collegio Episcoporum dicendum est - sed ipse habe a Domino vicariatum cum libera dispositione; iuxta verbum Domini illudque fideliter servans ipse personaliter habet semper actu exercitium liberum potestatis plenae supremae; collegium Episcoporum vicariatum Domini habet sine libera dispositione quoad exercitium, ita ut cum capite, sub capite semper agere teneatur. Vinculum iuridicum, quo collegium Episcoporum, ligatur, etiam quoad docendum et pascendum ecclesias particulares, imprimis etiam ligatione eorum ad caput constituitur. " (Tradotto: L'ufficio del primato non può avere struttura collegiale. Piuttosto esso stesso può essere tale solo se il soggetto della piena suprema potestà è distinto dal soggetto che è il collegio. In questo senso sin dai tempi antichi il Pontefice Romano è costituito Vicario di Cristo per la Chiesa tutta, e questo titolo si addice solo a lui. Bisogna pertanto dire che egli personalmente rappresenta il Signore direttamente per tutta la Chiesa e per lo stesso collegio episcopale. Non ha solo il vicariato direttamente dal Signore - perché la stessa cosa è da dirsi anche per il collegio episcopale - ma egli ha dal Signore il vicariato con la libera disposizione; secondo la parola del Signore e egli personalmente ha l'esercizio in atto, libero, di una potestà piena suprema nel conservare sempre fedelmente la stessa parola del Signore. Il collegio episcopale ha il vicariato del Signore senza libera disposizione per quanto attiene al suo esercizio, affinché sia sempre tenuto ad agire assieme al capo e sotto il capo. Il vincolo giuridico con il quale il collegio episcopale è legato è inoltre costituito in primo luogo dal legame dei vescovi con il capo anche per quanto attiene all'insegnamento e alla pastorale delle chiese particolari).
 
Questa questione ritorna nelle pagine dedicate all'Ecumenismo. Il Papa infatti sottolinea l'inadeguatezza di un titolo di "primus inter pares" che il mondo Ortodosso vedrebbe di buon grado attribuito al Papa, ma che snaturerebbe la natura del primato petrino: "il primo fra pari non è esattamente la formula in cui crediamo noi cattolici. Il Papa è primo ed ha anche funzioni e compiti specifici. In questo senso non sono tutti pari. "Primo fra pari" è una formula che l'Ortodossia accetterebbe senz'altro. Essa riconosce che il vescovo di Roma, il protos, è il primo, e questo fu già stabilito nel Concilio di Nicea. Tuttavia, la questione è: egli ha compiti specifici oppure no?" (p.133).
 
Ma un altro preoccupante argomento è introdotto a p.134, a proposito di un ipotetico titolo onorifico che gli Anglicani (non quelli degli Ordinariati!) avrebbero proposto al Papa:
 
Seewald: In ogni caso il Metropolita greco ortodosso Agoustinos oggi considera possibile un Primato onorario del Papa per tutti i cristiani. Anche il vescovo luterano Johannes Friedrich ha parlato di un limitato riconoscimento del Papa come "portavoce ecumenicamente riconosciuto della cristianità mondiale". E' questo che lei intende quando afferma che oggi le Chiese dovrebbero trarre ispirazione dall'esempio del primo millennio?
 
Papa: Anche gli Anglicani hanno affermato che potrebbero ipotizzare un Primato onorario del Papa di Roma, fra l'altro nel ruolo di portavoce della cristianità. Naturalmente si tratta già di un passo rilevante. E nei fatti il mondo già considera le prese di posizione del Papa sui grandi temi etici come la voce della cristianità. Il Papa stesso è attento, quando affronta certi argomenti, a parlare per i cristiani e a non mettere in risalto in maniera specifica la dimensione cattolica; per quest'ultima vi è un altro posto." (pp.134-135)
 
Chiaramente ci rendiamo conto della gravità di quest'ultima affermazione. E' come se il Papa che parla all'ONU fosse un Papa cristiano, mentre quello che parla dalla loggia del Palazzo Apostolico un Papa cattolico. Ma è dunque possibile scindere la cattolicità del Papa dalla sua cristianità?
 
Il Papa poi si sofferma sui contrasti coi Protestanti e afferma: "in quanto cristiani dobbiamo trovare una base comune, metterci nella condizione di parlare ad una voce sui grandi temi e testimoniare Cristo come Dio vivente. Non potremo realizzare la piena unità in un prossimo futuro, ma facciamo tutto il possibile per compiere una missione comune in questo mondo, per dare una testimonianza comune." (p.139)
 
Tralasciando le parole del Papa dedicate all'Islam, improntate ad una notevole moderazione e alla ricerca anche in questo caso di una "base comune di valori" e di un metodo comune di adattamento alla modernità, passiamo quindi alla sezione dedicata all' "Annuncio". Vengono qui presi in esame alcuni importanti atti papali. Dalla pubblicazione della Deus Caritas Est ("naturalmente la corporeità comprende molto più della sessualità, ma quest'ultima ne è parte essenziale. E' importante che l'uomo sia anima nel corpo, che come corpo sia veramente se stesso e che a partire da qui concepisca il corpo positivamente e la sessualità come un dono positivo. Attraverso di essa l'uomo partecipa all'opera creatrice di Dio" p.150), a quella del Summorum Pontificum nel 2007:
 
"La liturgia rinnovata del Concilio Vaticano II è la forma valida in cui la Chiesa celebra la liturgia. Ho voluto rendere più facilmente accessibile la forma antica in modo tale da preservare il profondo ed ininterrotto legame che sussiste nella storia della Chiesa. Non possiamo dire: prima era tutto sbagliato, ora invece è tutto giusto. In una comunità infatti nella quale la preghiera e l'Eucaristia sono le cose più importanti, non può considerarsi del tutto errato quello che prima era ritenuta la cosa più sacra. Si è trattato della riconciliazione con il proprio passato, della continuità interna della fede e della preghiera nella Chiesa" (p.154).
 
Peccato che il Papa non faccia alcun riferimento alla tanto auspicata "Riforma della riforma". Di questa non v'è alcuna traccia in tutto il libro intervista!
 
Curiosamente però almeno il Papa fa riferimento alla musica nel ricordare alcuni dei suoi viaggi. Quello negli Stati Uniti: "a Whashington una celebrazione liturgica accompagnata da musica più moderna, a New York da una più classica"(p.165). E quello in Francia: durante "la recita dei Vespri nella Cattedrale di Notre Dame (...) la musica è stata eccezionale" (p.167).
 
Segue quindi la famosa questione relativa al profilattico. Sapete come la penso in merito, ma vorrei favorire ancor più la riflessione sull'argomento. Il Papa introduce la questione per schermirsi dalle incredibili accuse che gli furono rivolte nel 2009 quando affermò che il condom non aiuta a prevenire il contagio "ma anzi aumenta il problema". Lo fa così: "dicendo questo non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale". Questa frase presuppone che il Papa non fosse contrario in principio all'uso dei profilattici, ma che avesse espresso una considerazione sull'uso del condom quale unica soluzione al contagio dell'AIDS. Aggiunge quindi, poco più sotto: "Ma solo questo (la distribuzione di condom ndr) non risolve la questione. Bisogna fare di più." E quindi cita la teoria ABC (astinenza, fedeltà, condom): "laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità (...)".
Quindi, rileggendo l'intero passaggio è chiaro che il Papa considera il profilattico una soluzione che va sempre accompagnata. Non una soluzione in sé. Quando i vari neo-moralisti si sono affannati per difendere il corretto senso delle parole del Papa, hanno concentrato poi l'attenzione sul fatto che per la Chiesa l'uso del condom continuerebbe ad essere un peccato, in quanto i prostituti maschi (ma anche le prostitute e i trans) sarebbero già in stato di peccato, poiché avrebbero deciso di violare la castità. Non comprendono, tuttavia, che a questo punto è del tutto inutile limitarne l'uso ai soli prostituti. Anche i clienti dei prostituti, anche semplici uomini e donne che hanno deciso di fare sesso fuori dal matrimonio, anche una coppia in cui uno dei coniugi sia sieropositivo, in tutti questi casi se una persona decide di violare il sesto comandamento, l'uso del profilattico può costituire un "primo passo verso una moralizzazione". Per questa ragione le parole del Papa continuano a lasciarmi... senza parole.
 
Passando quindi al caso Williamson, si conclude la seconda parte del libro intervista "Luce del Mondo". Alcuni estratti relativi a Williamson li avete già letti. Personalmente ritengo che negare la remissione della scomunica a Williamson per il solo fatto di aver negato l'esistenza delle camere a gas naziste sia un eccesso. I Vescovi vanno giudicati per le loro opinioni sulla Chiesa e sulla fede, per la loro mancanza di obbedienza al Papa, per i loro abusi liturgici, per le malversazioni economiche, e non perché magari in maniera inadeguata e poco prudente, esprimono - su richiesta di giornalisti maliziosi arruolati da qualche esponente vaticano nemico della tradizione - pareri su fatti storici del passato.
 
Pensiamo ad esempio ai Vescovi che negano l'applicazione del Motu Proprio, a quelli che spendono e spandono milioni di euro per costruire nuove chiese orripilanti, per organizzare concorsi edilizi truccati e altre amenità simili, sono costoro davvero in comunione con il Papa più di Mons. Williamson e sono costoro più cattolici di Williamson che - per inciso - si è convertito al cattolicesimo ben prima di entrare nella FSSPX?
 
 
Caterina63
00venerdì 10 maggio 2013 09:34
NOTA DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE SULLA BANALIZZAZIONE DELLA SESSUALITÀ - A PROPOSITO DI ALCUNE LETTURE DI "LUCE DEL MONDO", 21.12.2010

Viene pubblicata questo pomeriggio su L’Osservatore Romano una Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla banalizzazione della sessualità, a proposito di alcune letture del libro-intervista di Papa Benedetto XVI "Luce del mondo".
Riportiamo di seguito il testo della Nota nelle diverse lingue, al fine di favorirne la corretta lettura:

In occasione della pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI,
Luce del mondo, sono state diffuse diverse interpretazioni non corrette, che hanno generato confusione sulla posizione della Chiesa cattolica riguardo ad alcune questioni di morale sessuale. Il pensiero del Papa non di rado è stato strumentalizzato per scopi e interessi estranei al senso delle sue parole, che risulta evidente qualora si leggano interamente i capitoli dove si accenna alla sessualità umana. L'interesse del Santo Padre appare chiaro: ritrovare la grandezza del progetto di Dio sulla sessualità, evitandone la banalizzazione oggi diffusa.

Alcune interpretazioni hanno presentato le parole del Papa come affermazioni in contraddizione con la tradizione morale della Chiesa, ipotesi che taluni hanno salutato come una positiva svolta e altri hanno appreso con preoccupazione, come se si trattasse di una rottura con la dottrina sulla contraccezione e con l'atteggiamento ecclesiale nella lotta contro l'Aids. In realtà, le parole del Papa, che accennano in particolare ad un comportamento gravemente disordinato quale è la prostituzione (cfr.
Luce del mondo, prima ristampa, novembre 2010, pp. 170-171), non sono una modifica della dottrina morale né della prassi pastorale della Chiesa.

Come risulta dalla lettura della pagina in questione, il Santo Padre non parla della morale coniugale e nemmeno della norma morale sulla contraccezione. Tale norma, tradizionale nella Chiesa, è stata ripresa in termini assai precisi da Paolo vi nel n. 14 dell'enciclica
Humanae vitae, quando ha scritto che è «esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione». L'idea che dalle parole di Benedetto xvi si possa dedurre che in alcuni casi sia lecito ricorrere all'uso del profilattico per evitare gravidanze indesiderate è del tutto arbitraria e non risponde né alle sue parole né al suo pensiero. A questo riguardo il Papa propone invece vie umanamente e eticamente percorribili, per le quali i pastori sono chiamati a fare «di più e meglio» (Luce del mondo, p. 206), quelle cioè che rispettano integralmente il nesso inscindibile di significato unitivo e procreativo in ogni atto coniugale, mediante l'eventuale ricorso ai metodi di regolazione naturale della fecondità in vista di una procreazione responsabile.

Quanto poi alla pagina in questione, il Santo Padre si riferiva al caso completamente diverso della prostituzione, comportamento che la morale cristiana da sempre ha considerato gravemente immorale (cfr. Concilio Vaticano ii, Costituzione pastorale
Gaudium et spes, n. 27; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2355). La raccomandazione di tutta la tradizione cristiana — e non solo di quella — nei confronti della prostituzione si può riassumere nelle parole di san Paolo: «Fuggite la fornicazione» (1 Corinzi, 6, 18). La prostituzione va dunque combattuta e gli enti assistenziali della Chiesa, della società civile e dello Stato devono adoperarsi per liberare le persone coinvolte.

A questo riguardo occorre rilevare che la situazione creatasi a causa dell'attuale diffusione dell'Aids in molte aree del mondo ha reso il problema della prostituzione ancora più drammatico. Chi sa di essere infetto dall'Hiv e quindi di poter trasmettere l'infezione, oltre al peccato grave contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché consapevolmente mette a serio rischio la vita di un'altra persona, con ripercussioni anche sulla salute pubblica. In proposito il Santo Padre afferma chiaramente che i profilattici non costituiscono «la soluzione autentica e morale» del problema dell'Aids e anche che «concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità», perché non si vuole affrontare lo smarrimento umano che sta alla base della trasmissione della pandemia. È innegabile peraltro che chi ricorre al profilattico per diminuire il rischio per la vita di un'altra persona intende ridurre il male connesso al suo agire sbagliato. In questo senso il Santo Padre rileva che il ricorso al profilattico «nell'intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana». Si tratta di un'osservazione del tutto compatibile con l'altra affermazione del Santo Padre: «questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male dell'Hiv».

Alcuni hanno interpretato le parole di Benedetto xvi ricorrendo alla teoria del cosiddetto «male minore». Questa teoria, tuttavia, è suscettibile di interpretazioni fuorvianti di matrice proporzionalista (cfr. Giovanni Paolo ii, enciclica
Veritatis splendor
, nn. 75-77). Un'azione che è un male per il suo oggetto, anche se un male minore, non può essere lecitamente voluta. Il Santo Padre non ha detto che la prostituzione col ricorso al profilattico possa essere lecitamente scelta come male minore, come qualcuno ha sostenuto. La Chiesa insegna che la prostituzione è immorale e deve essere combattuta.
Se qualcuno, ciononostante, praticando la prostituzione e inoltre essendo infetto dall'Hiv, si adopera per diminuire il pericolo di contagio anche mediante il ricorso al profilattico, ciò può costituire un primo passo nel rispetto della vita degli altri, anche se la malizia della prostituzione rimane in tutta la sua gravità. Tali valutazioni sono in linea con quanto la tradizione teologico-morale della Chiesa ha sostenuto anche in passato.

In conclusione, nella lotta contro l'Aids i membri e le istituzioni della Chiesa cattolica sappiano che occorre stare vicini alle persone, curando gli ammalati e formando tutti perché possano vivere l'astinenza prima del matrimonio e la fedeltà all'interno del patto coniugale. Al riguardo occorre anche denunciare quei comportamenti che banalizzano la sessualità, perché, come dice il Papa, proprio questi rappresentano la pericolosa ragione per cui tante persone nella sessualità non vedono più l'espressione del loro amore. «Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull'essere umano nella sua totalità» (Luce del mondo, p. 170).

Bollettino Ufficiale Santa Sede




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l'eccellente commento di Sandro Magister:


“Luce del mondo” riveduta e corretta. Con una nota del Sant’Uffizio

libro

La congregazione per la dottrina della fede ha diffuso nel pomeriggio di martedì 21 dicembre una nota “sulla banalizzazione della sessualità, a proposito di alcune letture di ‘Luce del mondo’”.

La nota è leggibile in sei lingue nel sito del Vaticano: “In occasione della pubblicazione del libro-intervista di Benedetto XVI…“.

Nel citare “Luce del mondo” nella versione italiana, la nota fa riferimento alla “prima ristampa” del volume, in libreria da pochi giorni dopo l’esaurimento della tiratura iniziale.

E il motivo si sa. La prima ristampa modifica in diversi punti la precedente traduzione dall’originale tedesco.

Ecco qui di seguito, integrale, il passo controversi del libro, con le modifiche evidenziate in neretto e le precedenti versioni tra parentesi quadre.

Va ricordato che “L’Osservatore Romano”, nell’anticipare sabato 20 novembre vari brani del libro, riportò di questo passaggio solo 19 righe su 64, cioè solo la parte finale della prima risposta del papa.

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DA “LUCE DEL MONDO”, PRIMA RISTAMPA, PP. 169-171

D. – [...] In Africa, Lei ha dichiarato che la dottrina tradizionale della Chiesa si è rivelata l’unico modo sicuro per arrestare la diffusione dell’HIV. I critici, anche all’interno della Chiesa, sostengono al contrario che è una follia vietare ad una popolazione minacciata dall’AIDS l’utilizzo di profilattici.

R. – Dal punto di vista giornalistico il viaggio in Africa è stato del tutto oscurato da un’unica mia frase. Mi è stato chiesto perché la Chiesa Cattolica, relativamente all’AIDS, assumesse una posizione irrealistica ed inefficace. Così mi sono sentito veramente sfidato, [come sfidato] perché la Chiesa fa più di tutti gli altri. E continuo a sostenerlo; perché la Chiesa è l’unica istituzione veramente vicina alle persone, molto concretamente; nel prevenire, nell’educare, nell’aiutare, nel consigliare e nello stare a fianco; e perché come nessun altro si cura di tanti malati di AIDS e, in particolare, di tantissimi bambini colpiti da questa malattia.

Ho potuto visitare una di queste strutture per i malati di AIDS e ho potuto parlare con loro. La risposta è stata sostanzialmente questa [e ho incontrato i malati, e mi hanno detto questo]: la Chiesa fa più degli altri perché non parla solo dal pulpito dei [dai] giornali, ma aiuta i fratelli e le sorelle sul posto. In tale contesto [sul luogo. Dicendo questo] non avevo preso posizione sul problema dei profilattici in generale, ma ho soltanto detto quello che poi ha suscitato tanto risentimento: che non si può risolvere il problema con la distribuzione di profilattici. Bisogna fare molto di più. Dobbiamo stare vicino alle persone, guidarle, aiutarle, e questo anche prima che si ammalino.

È un dato di fatto [La verità è] che i profilattici sono a disposizione ovunque, chi li vuole li trova subito. Ma solo questo non risolve la questione. Bisogna fare di più. Nel frattempo, proprio anche [anche] in ambito secolare si è sviluppata la cosiddetta teoria ABC, sigla che sta per “Abstinence – Be Faithful – Condom” (”Astinenza – Fedeltà – Profilattico”): laddove il profilattico è considerato soltanto come scappatoia, quando mancano gli altri due elementi. Questo significa che concentrarsi solo sul profilattico vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa origine [ragione] per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità.

Vi possono essere singoli casi motivati [giustificati], ad esempio quando uno che si prostituisce [una prostituta] utilizza un profilattico, e questo può essere un [il] primo passo verso una moralizzazione, un primo elemento [atto] di responsabilità per sviluppare di nuovo una [la] consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole. Tuttavia, questo non è il modo vero e proprio per affrontare il male [vincere l'infezione] dell’HIV. Esso in realtà deve consistere nell’umanizzazione [È veramente necessaria una umanizzazione] della sessualità.

D. – Questo significa, dunque, che la Chiesa cattolica non è fondamentalmente contraria all’uso dei profilattici?

R. – La Chiesa, naturalmente, [Naturalmente la Chiesa] non considera i profilattici come la soluzione autentica e morale. In un caso o nell’altro, nell’intenzione [Nell'uno o nell'altro caso, con l'intenzione] di diminuire il pericolo di contagio, può rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente vissuta, più umana.

*
La prima ristampa di “Luce del mondo” corregge anche i clamorosi errori dell’edizione iniziale nell’appendice con la cronologia di Joseph Ratzinger.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al più importante sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di “www.chiesa”:

20.12.2010
> Il Buon Natale del papa: “Solo la verità salva”
Nel suo discorso prenatalizio alla curia, Benedetto XVI parla in realtà al mondo intero. Gli abusi sessuali del clero, dice, sono l’effetto dell’incapacità di distinguere il bene e il male. E ricorda la lezione di Newman: la coscienza è fatta per obbedire alla verità

[SM=g27998]





Caterina63
00venerdì 10 maggio 2013 09:39
... possiamo leggere questi brani dal libro-intervista a Benedetto XVI, Luce del mondo. Visto che la prima edizione è esaurita, ci consoliamo dell'attesa della seconda leggendo gli excerpta che seguono
 
 
Pag. 41/43:  la questione della revoca della scomunica alla FSSPX (Fraternità Sacerdotale San Pio X)
 
- La revoca della scomunica è stata un errore?

Benedetto XVI:
Forse è il caso di fare qualche precisazione rispetto alla revoca della scomunica in sé; perchè sono state diffuse moltissime stupidaggini, perfino da presunti dotti teologici.
Non è vero che quei quattro vescovi, come spesso si è voluto sottendere, siano stati scomunicati a causa del loro atteggiamento negativo nei confronti del Concilio Vaticano II.
In realtà erano stati scomunicati perché avevano ricevuto la consacrazione episcopale senza il mandato del Papa.
E quindi si era proceduto secondo il relativo canone vigente, un canone già presente nell'antico Diritto ecclesiastico.
Secondo di esso [sic], la scomunica viene inflitta a coloro, che, senza mandato del Papa, conferiscono ad altri la consacrazione episcopale, ed anche a coloro che si lasciano consacrare.
Furono quindi scomunicati perchè avevano agito contro il Primato.
Esiste una situazione analoga in Cina; anche lì sono stati consacrati dei vescovi senza il mandato del Papa e per questo sono stati scomunicati.
Ora, non appena uno di questi vescovi dichiara di riconoscere il Primato in generale nonchè quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non più giustificata.
Questo è quello che stiamo facendo in Cina - e speriamo in questo modo di riuscire pian piano a risolvere lo scisma - e così abbiamo agito anche nei casi in questione.
In breve: per il fatto stesso di essere stati consacrati senza il mandato del Papa sono stati scomunicati; e per il fatto stesso di aver riconosciuto il Papa - anche se non lo seguono ancora in tutto - la loro scomunica è stata revocata.
In sé, è un processo giuridico assolutamente normale.
Devo dire a questo proposito che su questo punto il nostro lavoro di comunicazione non è riuscito bene.
Non è stato spiegato abbastanza perchè questi vescovi fossero stati scomunicati e perché poi, già solo per ragioni giuridiche, quella scomunica doveva essere revocata."
 
- Nell'opinione pubblica nacque l'impressione che Roma trattasse con riguardo gruppi conservatori di destra, mentre riducesse subito al silenzio esponenti liberali e di sinistra.

Benedetto XVI:
Si è trattato semplicemente di una situazione giuridica molto chiara. Il Vaticano II non c'entrava assolutamente nulla; e nemmeno altre posizioni teologiche.
Nel momento in cui questi Vescovi riconoscevano il Primato del Papa, giuridicamente dovevano essere liberati dalla scomunica; senza che per questo mantenessero i loro incarichi nella Chiesa e senza che per ciò stesso fosse accettata la posizione da loro assunta nei riguardi del Concilio Vaticano II".
 
 
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pag. 21/26 Sul Primato petrino e il ruolo del Pontefice
 
- Lei oggi è il Papa più potente di tutti i tempi. Mai prima d'ora la Chiesa Cattolica ha avuto tanti fedeli, mai un'estensione simile, letteralmente fino ai confini della terra.

Benedetto XVI:
Sono statistiche che certo hanno la loro importanza. Mostrano quanto la Chiesa sia vasta, quanto ampia sia in realtà questa comunità che abbraccia razze e popoli, continenti, culture e persone di ogni genere.
Ma il potere del Papa non è in questi numeri.
 
- Perchè no?

Benedetto XVI:
La comunione con il Papa è di tipo diverso, e naturalmente anche l'appartenenza alla Chiesa.
Tra quel miliardo e 200 milioni di persone ce ne sono molte che poi in realtà nel loro intimo non ne fanno parte.
Già ai suoi tempi, sant'Agostino diceva: molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro.
In una questione come la fede e l'appartenenza alla Chiesa Cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente.
Stalin aveva effettivamente ragione quando diceva che il Papa non ha divisioni e non può intimare o imporre nulla.
Non possiede nemmeno una grande impresa, nella quale, per così dire, tutti i fedeli della Chiesa sarebbero suoi dipendenti o subalterni.
In questo senso, da un lato il Papa è una persona assolutamente impotente.
Dall'altro ha una grande responsabilità.
Egli è, in un certo senso, il capo, il rappresentante e allo stesso tempo il responsabile del fatto che quella fede che tiene uniti gli uomini sia creduta, che rimanga viva e che rimanga integra nella sua identità.
Ma unicamente il Signore ha il potere di conservare gli uomini nella fede.
 
- Per la Chiesa Cattolica il Papa è Vicarius Christi, il rappresentante di Cristo in terra. Ma lei veramente può parlare a nome di Gesù?

Benedetto XVI:
Nell'annuncio della fede e nell'amministrazione dei sacramenti, ogni sacerdote parla e agisce su mandato di Gesù Cristo, per Gesù Cristo.
Cristo ha affidato la sua Parola alla Chiesa.
Questa Parola vive nella Chiesa.
E se nel mio intimo accolgo e vivo la fede di questa Chiesa, se parlo e penso a partire da questa fede, allora quando annuncio Lui parlo "per Lui", anche se è chiaro che nel dettaglio possono sempre esserci delle insufficienze, delle debolezze.
Quel che conta è che io non esponga le mie idee ma cerchi di pensare e di vivere la fede della Chiesa, di agire su Suo mandato in modo obbediente.
 
- Il Papa è veramente "infallibile", nel senso in cui a volte lo presentano i mass media? E' cioè un sovrano assoluto il cui pensiero e la cui volontà sono legge?

Benedetto XVI:
Questo è sbagliato.
Il concetto dell'infallibilità è andato sviluppandosi nel corso dei secoli.
Esso è nato di fronte alla questione se esistesse da qualche parte un ultimo organo, un ultimo grado che potesse decidere.
Il Concilio Vaticano I - rifacendosi ad una lunga tradizione che risaliva alla cristianità primitiva - alla fine ha stabilito che quest'ultimo grado esiste.
Non rimane tutto sospeso!
In determinate circostanze e a determinate condizioni, il Papa può prendere decisioni in ultimo vincolanti grazie alle quali diviene chiaro cosa è la fede della Chiesa, e cosa non è.
Il che non significa che il Papa possa di continuo produrre "infallibilità".
Normalmente il Vescovo di Roma si comporta come qualsiasi altro vescovo che professa la propria fede, la annuncia ed è fedele alla Chiesa.
Solo in determinate condizioni, quando la tradizione è chiara ed egli sa che in quel momento non agisce arbitrariamente, allora il Papa può dire: "Questa determinata cosa è fede della Chiesa e la negazione ad essa non è fede della Chiesa".
In questo senso il Concilio Vaticano I ha definito la facoltà della decisione ultima: affinchè la fede potesse conservare il suo carattere vincolante.
 
- Il ministero petrino - così Lei spiegava - garantisce la concordanza con la verità e la tradizione autentica. La comunione con il Papa è presupposto per una fede retta e per la libertà. Sant'Agostino aveva espresso questa idea così: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa, e lì c'è anche Dio. Ma è un'espressione che viene da altri tempi, oggi non è più valida....

Benedetto XVI:
In realtà l'espressione non è formulata in questi termini e non è di Agostino, ma ora non è questo il punto.
In ogni caso si tratta di un assioma antico della Chiesa Cattolica: dove c'è Pietro, c'è la Chiesa.
Ovviamente il Papa può avere opinioni personali sbagliate!
Ma come detto: quando parla come Pastore Supremo della Chiesa, nella consapevolezza della sua responsabilità, allora non esprime più la sua opinione, quello che gli passa per la mente in quel momento.
Il quel momento egli è consapevole della sua grande responsabilità e, al tempo stesso, della protezione del Signore; per cui egli non condurrà, con una siffatta decisione, la Chiesa nell'errore ma al contrario, garantirà la sua unione con il passato, il presente e il futuro e soprattutto con il Signore.
Questo è il nocciolo della faccenda e questo è quello che percepiscono anche le altre comunità cristiane.
 
- Durante un simposio svoltosi nel 1977 in occasione dell'80esimo compleanno di Paolo VI, Lei tenne una relazione su cosa e come dovrebbe essere un Papa. Citando il cardinale inglese Reginald Pole, disse che un Papa dovrebbe "considerarsi come il più piccolo degli uomini"; che dovrebbe ammettere "di non conoscere altro se non quell'unica cosa che gli è stata insegnata da Dio Padre attraverso Cristo".
Vicarius Christi, diceva, significa rendere presente il potere di Cristo come contrafforte al potere del mondo. E questo non sotto forma di qualsivoglia dominio, ma piuttosto portando questo peso sovrumano sulle proprie spalle umane. In questo senso, il luogo autentico del Vicarius Christi è la Croce.

Benedetto XVI:
Si, anche oggi ritengo che questo sia vero.
Il primato si è sviluppato fin dall'inizio come primato del martirio. Nei primi tre secoli, Roma, è stata fulcro e capitale delle persecuzioni dei cristiani. Tenere testa a queste persecuzioni e rendere testimonianza a Cristo fu il compito particolare della sede episcopale di Roma.
Possiamo considerare provvidenziale il fatto che, nel momento stesso in cui il Cristianesimo si riappacificò con lo Stato, l'impero si trasferisse a Costantinopoli, sul Bosforo.
Roma, per così dire, era divenuta provincia.
Così fu più facile per il Vescovo di Roma evidenziare l'indipendenza della Chiesa, la sua distinzione dallo Stato.
Non è necessario cercare sempre lo scontro, è chiaro, quanto piuttosto mirare al consenso, all'accordo. Ma sempre la Chiesa, il cristiano, e soprattutto il Papa deve essere cosciente del fatto che la testimonianza che deve rendere possa divenire scandalo, che non venga accettata e che quindi egli si trovi costretto nella condizione del testimone, di Cristo sofferente.
Il fatto che i primi Papi siano stati tutti martiri, ha il suo significato!
Essere Papa non significa porsi come un sovrano colmo di gloria, quanto piuttosto rendere testimonianza a Colui che è stato crocifisso, ed essere disposto ad esercitare il proprio ministero anche in questa forma, in unione a Lui.
 
 
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pag. 225/229 Maria, il culto a Maria e Fatima
 
- Al contrario del suo predecessore, Lei è considerato un teologo con un orientamento più cristologico che mariano. Eppure solo un mese dopo la Sua elezione Lei esortò i credenti radunati a Piazza san Pietro ad affidarsi alla Madonna di Fatima. Nel corso della sua visita a Fatima nel maggio 2010 usò parole spettacolari: l'avvenimento di 93 anni fa, quando il cielo si è aperto proprio sul Portogallo, è "come una finestra di speranza che Dio apre quando l'uomo Gli chiude la porta".
Proprio il Papa che il mondo conosce come il difensore della ragione ora dice: "La Vergine Maria è venuta dal Cielo per ricordarci la verità del Vangelo".

Benedetto XVI:
E' vero, sono cresciuto in una pietà anzitutto cristocentrica, come si era andata sviluppando tra le due guerre attraverso un rinnovato accostarsi alla Bibbia e ai Padri; in una religiosità che coscientemente ed in misura pronunciata veniva nutrita attraverso la Bibbia e dunque era orientata a Cristo.
Di questo però fa sempre parte certamente la Madre di Dio, la Madre del Signore.
Nella Bibbia, in Luca e Giovanni, compare relativamente tardi, ma in modo tanto più splendente, ed in questo senso è sempre appartenuta alla vita cristiana.
Nelle Chiese d'Oriente già molto presto Ella acquisì grande importanza, si pensi ad esempio al Concilio di Efeso del 431. E di continuo, attraverso tutta la storia, Dio se ne è servito come della luce perchè Egli possa condurci a sè.
In America Latina, ad esempio, il Messico è divenuto cristiano nel momento in cui è apparsa la Madonna di Guadalupe.
Allora gli uomini compresero: "Sì, è questa la nostra fede; con essa veramente arriviamo a Dio; in essa è trasformata e ricompresa tutta la ricchezza delle nostre religioni".
In America Latina, hanno portato le persone alla fede in ultimo due figure:
da una parte la Madre, dall'altra Dio che patisce, che patisce anche per tutto quello che di violento ciascuno di loro ha dovuto sopportare.
Così bisogna dire che la fede ha una storia. L'ha evidenziato il cardinale Newman. La fede si sviluppa. E di questo fa parte anche una manifestazione sempre più potente della Madre di Dio nel mondo, come guida, come luce di Dio, come la Madre attraverso la quale possiamo riconoscere il Padre e il Figlio.
Dio ci ha dato perciò dei segni; proprio nel XX secolo.
Nel nostro razionalismo e di fronte alle nascenti dittature, ci mostra l'umiltà della Madre che appare a dei bambini dicendo loro l'essenziale: fede, speranza, amore, penitenza.
E così capisco anche che le persone qui si trovino per così dire delle finestre. A Fatima ho visto centinaia di migliaia di persone che, attraverso quello che Maria aveva confidato a dei bambini, in questo mondo pieno di sbarramenti e chiusure, ritrovano in certo qual modo l'accesso a Dio.
 
- Il famoso "Terzo segreto di Fatima" venne pubblicato solo nell'anno 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger si disposizione di Giovanni Paolo II. Il testo parla di un vescovo vestito di bianco, che cade a terra, ucciso da un gruppo di soldati che gli sparano vari colpi di arma da fuoco, scena questa che venne interpretata come prefigurazione dell'attentato subito da Giovanni Paolo II.
Ora Lei dice: "Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa".
Cosa intende? Significa che il messaggio di Fatima in realtà ancora non si è compiuto?

Benedetto XVI:
Nel messaggio di Fatima bisogna tenere distinte due cose: vi è da un lato un preciso avvenimento, rappresentato in forma di visione, dall'altro la cosa fondamentale, della quale si tratta.
Il punto non era soddisfare una curiosità.
In questo caso avremmo dovuto pubblicare il testo molto prima! No, il punto è lasciare intendere un momento critico nella storia: quello nel quale si scatena tutta la forza del male che si è cristallizzata nelle grandi dittature e che, in altra forma, agisce anche oggi.
Si trattava poi della risposta a questa sfida. Questa risposta non consiste in grandi azioni politiche, ma ultimamente può giungere solo dalla trasformazione dei cuori: attraverso la fede, la speranza, l'amore e la penitenza. In questo senso il messaggio di Fatima non è concluso, anche se le due grandi dittature sono scomparse.
Rimane la sofferenza della Chiesa, resta la minaccia agli uomini e con essa permane anche la questione della risposta; rimane perciò anche l'indicazione che ci ha dato Maria.
Anche ora vi sono tribolazioni. Anche oggi il potere minaccia di calpestare la fede in tutte le forme possibili. Anche oggi è perciò necessaria la risposta della quale la Madre di Dio ha parlato ai bambini.
 
- La sua predica del 13 maggio a Fatima ha toni drammatici: "L'uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore", ha detto, "ma non riesce ad interromperlo...".
Quel giorno, di fronte a mezzo milione di persone espresse una supplica che in fin dei conti è impressionante: " Possano questi sette anni che ci separano dal centenario delle Apparizioni, affrettare il preannunciato trionfo del Cuore Immacolato di Maria a gloria della Santissima Trinità".
Significa che il Papa, che detiene un mandato profetico, ritiene possibile che nell'arco dei prossimi sette anni la Santa Madre di Dio si manifesterà in un modo che equivarrà ad un trionfo?

Benedetto XVI:
Ho detto che il "trionfo" si avvicinerà.
Dal punto di vista contenutistico è la stessa cosa di quando preghiamo che venga il Regno di Dio. E' una parola che non va intesa come se io mi aspetti che adesso avvenga una grande svolta e la storia improvvisamente cambi radicalmente corso: sono forse troppo razionalista per questo; volevo dire che la potenza del male deve essere sempre di nuovo arrestata; che sempre nella forza della Madre si mostra la forza di Dio stesso, e la tiene viva.
La Chiesa è sempre chiamata a fare ciò per cui Abramo pregò Dio, e cioè avere cura che vi siano abbastanza giusti per tenere a freno il male e la distruzione.
Ho voluto dire che le forze del bene possono sempre crescere di nuovo. In questo senso i trionfi di Dio, i trionfi di Maria sono silenziosi, e tuttavia reali.



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 Vorrei sottolineare alcuni aspetti alle parole integrali del Papa....  
 
dal libro intervista con Benedetto XVI emerge, sul caso mns. Lefebvre, una visione assai diversa....  
in passato, quando il Papa revocò la scomunica, tutti dissero che si trattava esclusivamente di un atto di misericordia....ma Benedetto XVI rompe gli indugi e dice che fu un atto di giustizia, lo definisce addirittura, questa revoca, UN ATTO DOVUTO... Wink e finalmente fa cadere uno dei luoghi comuni: la scomunica non fu data per la negazione del Concilio, il Concilio sia con la scomunica quanto poi la revoca, NON C'ENTRAVA NULLA.... parola di Benedetto XVI....  
 
Riguardo alla questione del primato petrino e dell'infallibilità del Pontefice, faccio notare come il Papa richiama il Vaticano Primo senza se e senza ma... e sottolinea l'importanza di quella affermazione dogmatica e che dunque il Papa esiste proprio per DEFINIRE L'ULTIMA PAROLA su qualsiasi soluzione dottrinale e dogmatica da prendersi all'interno della Chiesa....  
 
Riguardo al Terzo segreto di Fatima, confesso le mie perplessità....se notate bene il Papa non risponde direttamente alle domande, ma ci gira un pò attorno.... Laughing  senza dubbio il motivo c'è e si legge e si percepisce: abbiamo bisogno dell'aiuto di Maria Santissima perchè siamo in una brutta situazione....  
per comprendere le spiegazioni del Papa su questo argomento che riguarda il futuro, occorre leggersi da pag. 69 a pag.78  
In queste 10 pagine il Papa risponde ad una serie di domande che riguardano anche la situazione climatica della terra e il recente monito apocalittico degli scienziati i quali hanno decretato che se entro dieci anni il clima aumenterà e noi non avremmo fatto nulla per modificare i nostri consumi dannosi, avremo una situazione gravissima DI NON RITORNO....  
Il Papa, assai ottimista, spiega perfettamente i problemi avvertendo che "Il fatto che non rimarremmo qui per sempre ce lo dicono le Scritture...." Laughing  e dunque spiega la falsa interpretazione DEL PROGRESSO E DELLA LIBERTA'.....un capitolo davvero da meditare, dal quale emerge un Pontefice veramente MAESTRO DI VITA non arenata sulla terra, ma che si proietta nella vita eterna...  
 
Sarà opportuno leggere integralmente anche queste pagine che mi sembrano molto importanti ed interessanti per leggere correttamente le risposte date sul Terzo segreto di Fatima....

....credo che sia importantissimo andare sempre AI TESTI INTEGRALI....certe estrapolazioni ci avrebbero dovuto già insegnare la pericolosità di una interpretazione ambigua come è avvenuto in questi giorni nella presentazione di questo libro preso a pezzetti..... 

Caterina63
00venerdì 10 maggio 2013 09:42
Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all'altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.
comunione

Nel suo libro-intervista del 2010 "Luce del mondo", Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:

"Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l'ho amministrata così ed in quel modo l'ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale.
Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell'appiattimento è grande.
Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi.
In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch'io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: 'È qualcosa di particolare! Qui c'è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno'".






Caterina63
00domenica 28 agosto 2016 00:13
_016 LUCE DEL MONDO parte prima 1


Una conversazione con Peter Seewald (*) – pagg.59/78

Premessa: vi proponiamo la Conversazione di Benedetto XVI – divisa in più parti – per approfondire gli argomenti trattati. In questa parte, Benedetto XVI, offre l’unica risposta possibile ai tanti problemi che affliggono il mondo, compreso quello ambientalista per il quale risponde: “A fronte della minaccia incombente, tutti ormai si sono resi conto che è necessario fare scelte di ordine morale.….(..) Per questo è tanto urgente che la questione di Dio torni ad essere centrale. E non si tratta di un Dio che in qualche modo esiste, ma di un Dio che ci conosce, che ci parla e che ci riguarda, e che poi è anche nostro giudice…..” E’ necessario convertirsi, non abbiamo altre vie di uscita.

Domanda= PS  Risposta= BXVI

3. LA CRISI: CAUSE E OPPORTUNITÀ

PS. Resta indimenticabile l’accusa che Lei lanciò durante la Via Crucis del Venerdì Santo del 2005, poche settimane prima di essere eletto successore di Giovanni Paolo II: “Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata!”. E poi, quasi fosse già orientato agli eventi futuri: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!”. Tutte queste omissioni e questi crimini vengono alla luce ora, proprio nel corso dell’Anno Sacerdotale da Lei indetto. Da un punto di vista biblico, la notizia di questi scandali non è forse da intendere come segno?

BXVI. È immaginabile che il diavolo non riuscisse a sopportare l’Anno Sacerdotale e allora ci ha scaraventato in faccia il sudiciume. Ha voluto mostrare al mondo quanta sporcizia c’è anche proprio tra i sacerdoti. Dall’altro lato si potrebbe dire che il Signore abbia voluto metterci alla prova, chiamarci ad una più profonda purificazione, in modo che celebrassimo l’Anno Sacerdotale non in modo trionfalistico, come autocelebrazione, bensì come anno della purificazione, del rinnovamento interiore, della trasformazione e soprattutto della penitenza. Il concetto di penitenza, che appartiene agli elementi fondamentali del messaggio veterotestamentario, è andato smarrendosi sempre più. In qualche modo, si voleva dire solo il positivo. Ma il negativo esiste, è un dato di fattoche, attraverso la penitenza, si può cambiare e da essa ci si può fare trasformare, è qualcosa che ci è dato positivamente, è un regalo. Così pensava anche la Chiesa antica. Si tratta ora di ricominciare veramente daccapo nello spirito della penitenza, e contemporaneamente di non perdere la gioia del sacerdozio, ma di riconquistarla nuovamente. E con profonda gratitudine devo dire che proprio questo è accaduto. Da vescovi, da sacerdoti e laici ho ricevuto molte testimonianze di gratitudine che mi hanno scosso e commosso, che mi hanno toccato il cuore. Sono persone che testimoniano questo: “Abbiamo accolto l’Anno Sacerdotale come spunto per la purificazione, come atto di mortificazione per il quale ci facciamo chiamare nuovamente dal Signore. E proprio così abbiamo potuto vedere nuovamente la grandezza e la bellezza del sacerdozio”. In questo senso credo che queste terribili rivelazioni siano state alla fine un gesto della Provvidenza, che ci mortifica, che ci costringe a ricominciare di nuovo.

PS. Le cause degli abusi sessuali sono complesse. Senza parole ci si chiede soprattutto come sia possibile che abbia abusato sessualmente proprio chi ogni giorno legge il Vangelo e celebra la Messa, chi amministra i sacramenti, li riceve e da essi dovrebbe essere interiormente fortificato.

BXVI. È una domanda che veramente tocca il mysterium iniquitatis, il mistero del male. E ci si chiede anche: cosa pensa uno così quando al mattino va all’altare e celebra il Santo Sacrificio? Si confessa? E cosa dice quando si confessa? Quali effetti ha la confessione su di lui? In realtà, dovrebbe essere un mezzo potente per strapparlo dal male e per costringerlo a cambiare. È un mistero quello per cui qualcuno che si è votato a ciò che è sacro lo perda totalmente e poi smarrisca anche le sue stesse origini. Al momento dell’ordinazione sacerdotale deve pure avere avuto una nostalgia per ciò che è grande, per ciò che è puro, altrimenti non avrebbe compiuto quella scelta. Come è possibile che uno così precipiti in questo modo? Non lo sappiamo. Ma tanto più significa che i sacerdoti devono sostenersi a vicenda e non devono perdersi di vista; che i vescovi sono responsabili di questo e che noi dobbiamo raccomandare ai fedeli che anche loro sostengano i propri sacerdoti. Vedo che nelle parrocchie l’amore per il sacerdote cresce quando si riconoscono le sue debolezze e ci si propone di aiutarlo.

PS. Forse in parte abbiamo anche un’immagine completamente sbagliata della Chiesa; come se fosse immune da queste cose, come se anch’essa non fosse esposta alle tentazioni, anzi lei soprattutto. Cito ancora dalle sue meditazioni della Via Crucis: “La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! … Con la nostra caduta ti trasciniamo a terra, e Satana se la ride, perché spera che non riuscirai pili a rialzarti da quella caduta; spera che tu, essendo stato trascinato nella caduta della tua Chiesa, rimarrai per terra sconfitto”.

BXVI. Sì, questo è quello che oggi possiamo constatare con i nostri stessi occhi e che con particolare evidenza ci si impone durante la Via Crucis. Qui diviene evidente che Gesù non ha sofferto per degli eventi casuali ma che veramente ha preso nelle sue mani l’intera storia dell’uomo. La sua sofferenza per noi non è soltanto una formula teologica. Riconoscere questo e poi permettere che Lui ci tiri dalla sua parte, e non dall’altra, è un atto esistenziale. Nelle meditazioni della Via Crucis noi prendiamo coscienza di questo: Egli veramente soffre per noi. E si è fatto carico anche della mia causa. Ora mi tira a sé, viene a trovarmi nei miei abissi e mi trascina in alto con sé. In questo senso il male sempre farà parte del mistero della Chiesa. E se si considera tutto quello che gli uomini, che i chierici hanno fatto nella Chiesa, allora questo si rivela proprio come una prova che è Lui che sostiene e che ha fondato la Chiesa. Se dipendesse solo dagli uomini, la Chiesa sarebbe già affondata da un pezzo.

PS. La gran parte dei casi di abuso sessuale si registra tra gli anni Settanta e Ottanta. Il Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il cardinale Franc Rodé, ha fatto riferimento all’annoso declino della fede ed allo svuotamento della Chiesa, quali concause a suo giudizio degli scandali. “La cultura secolarizzata è penetrata in alcuni Ordini occidentali”, ha detto, “mentre proprio la vita religiosa dovrebbe rappresentare un’alternativa alla cultura dominante, invece di rispecchiarla”.

_016 LUCE DEL MONDO parte prima 2BXVI. È evidente che vi ha contribuito la situazione spirituale degli anni Settanta che già aveva incominciato a profilarsi negli anni Cinquanta. Proprio in quegli anni fu sviluppata la teoria per la quale la pedofilia dovesse essere considerata come una cosa positiva. Ma soprattutto venne sostenuta la tesi – che è penetrata anche nella teologia morale cattolica – che non esiste qualcosa di male in sé. Esisterebbe soltanto un male “relativo”. Quello che è bene o male dipenderebbe dalle conseguenze. In un contesto simile, in cui tutto è relativo e il male di per sé non esiste – esiste solo il bene relativo ed il male relativo – le persone che hanno una tendenza a un atteggiamento simile non trovano più limiti. E’ chiaro che in generale la pedofilia è più una malattia; ma il fatto che potesse attecchire in questo modo ed espandersi in tale misura è dovuto anche ad una situazione spirituale per la quale nella Chiesa iniziarono ad essere messi in discussione i fondamenti della teologia morale, il bene e il male. Bene e male erano divenuti interscambiabili e non si trovavano più nettamente in opposizione l’uno all’altro.

PS. Anche la rivelazione della doppia vita del fondatore della comunità religiosa dei “Legionari di Cristo “, Marciai Maciel Degollado, ha scosso la Chiesa. Accuse di abusi nei riguardi di Maciel, morto negli Stati Uniti nel 2008, circolavano già da anni. La sua compagna affermò di essere la madre dei due suoi figli. Dal Messico giungono voci per le quali le scuse pubbliche dei “Legionari di Cristo” non bastano, quella comunità religiosa dovrebbe essere sciolta.

BXVI. Purtroppo abbiamo affrontato la questione solo con molta lentezza e con grande ritardo. In qualche modo era molto ben coperta e solo dal 2000 abbiamo iniziato ad avere dei punti di riferimento concreti. Era necessario avere prove certe per essere sicuri che le accuse avessero un fondamento. Per me, Marcial Maciel rimane una figura misteriosa. Da un lato c’è un tipo di vita che, come ormai sappiamo, è al di là di ciò che è morale: un’ esistenza avventurosa, sprecata, stramba. Dall’altro vediamo la dinamicità e la forza con cui ha costruito la comunità dei Legionari. Nel frattempo abbiamo condotto una visitazione apostolica e nominato un delegato che, insieme ad un gruppo di collaboratori, preparerà le riforme necessarie. Ci sono da apportare delle correzioni, certamente, ma nel suo insieme la comunità è sana. Ci sono tanti giovani che con entusiasmo vogliono servire la fede. E non bisogna distruggere questo entusiasmo. In definitiva molti di loro sono stati chiamati al giusto da una figura sbagliata. E questa è una cosa singolare, la contraddizione per cui un falso profeta abbia potuto avere anche un effetto positivo. A tutti questi giovani, e sono tanti, bisogna infondere nuovo coraggio. È necessaria una struttura nuova affinché non cadano nel vuoto ma, guidati correttamente, possano ancora rendere un servizio alla Chiesa e agli uomini.

PS. Il caso Maciel è senza paragoni, e tuttavia ovunque ci sono sacerdoti che segretamente o anche non all’insaputa della loro comunità o addirittura della gerarchia ecclesiastica vivono relazioni simili al matrimonio. Lo scandalo diventa tanto più grande quando da quelle unioni nascono figli che vengono portati negli istituti e poi la Chiesa paga gli alimenti.

BXVI. Questo non deve essere. Tutto quello che è menzogna e occultamento, non deve essere. Purtroppo nella storia della Chiesa ci sono sempre state epoche in cui si sono verificate queste situazioni che poi si allargano per così dire proprio sulla scia del clima spirituale del tempo. È una sfida particolarmente urgente per noi tutti. Laddove un sacerdote vive insieme a una donna si deve esaminare se esista una vera volontà matrimoniale e se i due possano contrarre un buon matrimonio. Se così fosse, dovranno imboccare quella strada. Se invece si trattasse di una caduta della volontà morale, senza un’autentico legame interiore, sarà necessario trovare vie di risanamento per lui e per lei. In ogni caso è necessario provvedere al fatto che i bambini – che sono il bene più prezioso – siano tutelati e che possano vivere nel contesto educativo vivo del quale hanno bisogno.

Il problema di fondo è la sincerità. Il secondo problema è il rispetto, da parte delle due persone, per la verità e per i bambini, al fine di potere trovare la giusta soluzione. Il terzo è questo: come possiamo di nuovo educare i giovani al celibato? Come possiamo sostenere i sacerdoti affinché lo vivano in maniera tale che esso rimanga un segno in questo tempo così confuso, un tempo in cui attraversa una crisi profonda non solo il celibato ma anche il matrimonio? Molti sostengono che il matrimonio monogamico in realtà ormai non esista più. È una sfida immane sorreggere e riedificare ambedue: il celibato e il matrimonio. Il matrimonio monogamico è il fondamento su cui poggia la civiltà dell’Occidente. Se crolla, crolla un elemento essenziale della nostra cultura.

PS. Lo scandalo degli abusi potrebbe indurci ad interrogarci anche su altre forme di abuso; come per esempio, l’abuso di potere, l’abuso di una relazione, l’abuso del ruolo di educatore, l’abuso dei propri carismi. Nell’antichità greca la tragedia aveva lo scopo di provocare un turbamento negli spettatori, di innescare un processo di purificazione che li facesse riflettere sulla loro vita. Solo la catarsi porta gli uomini a modificare comportamenti ormai radicati. L’attuale crisi della Chiesa non potrebbe rappresentare una nuova possibilità?

BXVI. Credo di sì. Ho già detto che l’Anno Sacerdotale, che alla fine si è svolto in maniera completamente diversa da come avevamo immaginato, ha avuto un effetto catartico. Anche i laici sono tornati ad essere grati per quello che il sacerdozio in realtà è, sono riusciti a intenderlo nuovamente nella sua positività, e proprio attraverso minacce e disagi. Questa catarsi è un richiamo a noi tutti, a tutta la società ma naturalmente soprattutto alla Chiesa, a tornare a riconoscere i nostri valori portanti, a riconoscere i pericoli che ci minacciano, che minacciano non soltanto i sacerdoti ma profondamente l’intera società. La consapevolezza della minaccia di distruzione dell’intera struttura morale della nostra società dovrebbe essere per noi un richiamo alla purificazione. Dobbiamo tornare a riconoscere che non possiamo vivere nell’indifferenza, che libertà non significa indifferenza e che è importante imparare una libertà che sia responsabilità.

4. LA CATASTROFE GLOBALE

PS. C’è la crisi della Chiesa e c’è la crisi dovuta al secolarismo. La prima è grande, ma la seconda assomiglia sempre più ad una catastrofe globale permanente.

Con i cambiamenti climatici la fascia tropicale va estendendosi sempre più e il livello del mare si alza. I poli si sciolgono e il buco dell’ozono non si rimargina. Abbiamo vissuto tragedie come il disastro petrolifero nel Golfo del Messico, assistito ad incendi che distruggono superfici immense, alluvioni mai viste prima, ondate di calore e periodi di siccità sino ad oggi impensabili. Già nel novembre 2007, in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu a New York, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, affermò che il pianeta terra si trova “in estremo pericolo”. Una commissione d’inchiesta dell’Onu è arrivata alla conclusione che all’umanità rimangono ancora solo pochi decenni prima di raggiungere il punto di non ritorno. Alcuni esperti sono convinti che al point of no return, quello oltre il quale non si sarà più in grado di riprendere il controllo di un mondo super-tecnologicizzato, in realtà si è già arrivati. “Dio vide tutto quello che aveva fatto”, è scritto nella Genesi, “ed ecco, era molto buono”. Fa spavento osservare cosa è divenuto questo pianeta di sogno. La domanda è questa: è semplicemente la terra che non riesce a sostenere l’enorme potenziale evolutivo della nostra specie? Forse come tale non è fatta per sostenerci in modo permanente? Oppure siamo noi che stiamo sbagliando qualcosa?

BXVI. Il fatto che non rimarremo qui per sempre ce lo dicono le Sacre Scritture ed anche la nostra esperienza. Ma sicuramente stiamo sbagliando qualcosa. Emerge la problematicità del termine “progresso”. La modernità ha cercato la propria strada guidata dall’idea di progresso e da quella di libertà. Ma cos’è il progresso? Oggi vediamo che il progresso può essere anche distruttivo. Per questo dobbiamo riflettere sui criteri da adottare affinché il progresso sia veramente progresso. Il concetto di progresso, in origine, aveva due aspetti: da un lato c’era il progresso nella conoscenza. Si intendeva con questo il comprendere la realtà; che è avvenuto in larghissima misura attraverso una combinazione di visione del mondo matematica e sperimentazione. Così oggi siamo in grado di ricostruire il DNA, la struttura della vita e più in generale il funzionamento dell’intera realtà, sino al punto di essere in grado di riprodurre in parte la vita, ed abbiamo iniziato a tentare di generarla da noi. Da questo punto di vista con quel progresso sono sorte anche nuove possibilità dell’uomo.

PS. Il pensiero di fondo era questo: il progresso è conoscenza.

BXV. E la conoscenza è potere. Significa che se conosco posso anche disporre. La conoscenza ha portato potere, ma in modo tale che con quel potere noi possiamo distruggere quel mondo del quale siamo ormai convinti di sapere tutto. Così diviene evidente che nel concetto di progresso, così come inteso sino ad oggi, e cioè quale combinazione di conoscenza e potere, manca un terzo punto di vista essenziale: che è l’aspetto del bene. Si tratta della domanda: cosa è bene? Dove la conoscenza deve condurre il potere? Si tratta solo del potere di disporre prima o poi di qualcosa, oppure è necessario anche porsi la domanda sui metri di giudizio interiori, su quello che è bene per l’uomo, per il mondo? Penso che questo non sia avvenuto in maniera adeguata. Così in fondo per larghi tratti è venuto meno l’aspetto etico, del quale fa parte la responsabilità di fronte al Creatore. Se si incrementa unicamente il proprio potere per mezzo della propria conoscenza, questo tipo di progresso diventa vera-mente distruttivo.

PS. Quali conseguenze dovremmo trarne?

_016 LUCE DEL MONDO parte prima 4BXVI. Dovrebbe avere luogo un grande esame di coscienza. Cos’è veramente progresso? È progresso quando posso distruggere? È progresso quando posso creare, selezionare ed eliminare esseri umani? Com’è possibile dominare il progresso dal punto di vista umano ed etico? Ma non sono solo i criteri del progresso che devono essere ripensati. Accanto alla conoscenza e al progresso, c’è anche l’altro concetto fondamentale della modernità: la libertà; che è intesa come libertà di poter fare tutto. Da questo pensiero origina la pretesa secondo cui la scienza non è scindibile. Il che significa che quello che si è in grado di fare, si deve anche avere la libertà di realizzarlo. Ogni altra cosa sarebbe contraria alla libertà. È vero? Credo che non sia vero. Vediamo che il potere dell’uomo è cresciuto in modo abnorme. Quello che però non è cresciuto di pari passo è il suo potenziale etico. Questa sproporzione si rispecchia oggi nei frutti di un progresso privo di fondamenta morali. Ed ora la domanda fondamentale è questa: come è possibile correggere il concetto di progresso e la realtà da esso generata e successivamente dominarlo in maniera positiva dal suo interno? In questo senso è necessaria un’ampia riflessione di fondo.

PS. Quanto siamo refrattari a modificare questi criteri del progresso è emerso chiaramente dalla Conferenza sul clima che si è svolta a Copenaghen, nel dicembre 2009. Ci hanno messo 17 anni, i governi di questa terra, per arrivare dal primo incontro di Rio a questo vertice decisivo che scienziati, ambientalisti e politici avevano definito una delle più importanti conferenze nella storia dell’umanità. Alla base dell’incontro c’erano i risultati delle ricerche di più di mille scienziati che, su incarico del Consiglio per il clima delle Nazioni Unite, l’IPCC, avevano calcolato che le temperature globali da adesso in poi non devono aumentare di più di due gradi. Nel caso di un riscaldamento ulteriore, il clima si capovolgerà irrimediabilmente. La bozza di accordo di Copenaghen, però, non contiene alcun impegno concreto. E pressoché certo che il limite dei due gradi verrà superato. Le conseguenze saranno tempeste, alluvioni, aridità, mancati raccolti. Tutto questo non dà ragione a chi ritiene l’umanità incapace di risolvere, in uno sforzo collettivo, una minaccia come quella dei cambiamenti climatici?

BXVI. È questo in effetti il grande problema. Cosa possiamo fare? A fronte della minaccia incombente, tutti ormai si sono resi conto che è necessario fare scelte di ordine morale.Esiste perfino una coscienza comune, più o meno sviluppata rispetto ad una responsabilità globale; il che significa che l’istanza etica non può più riferirsi soltanto al proprio gruppo o alla propria nazione ma che invece deve considerare la terra intera e tutti gli uomini. In questo senso, un certo potenziale di coscienza morale esiste. Convertirla in volontà politica ed in scelte politiche è però di fatto reso impossibile dalla mancanza di disponibilità alla rinuncia. Tutto dovrebbe trovare espressione nei bilanci delle singole nazioni ed essere in definitiva sostenuto dai singoli; e rispetto ad essi, si pone la questione della diversa distribuzione dei carichi. Ne deriva che la volontà politica, in definitiva, non può divenire efficace sin tanto che non nascerà nell’intera umanità – e soprattutto nei grandi attori dello sviluppo e del progresso – una nuova e più profonda coscienza morale, una concreta disponibilità alla rinuncia che, per il singolo, diventi criterio morale che decide del proprio stile di vita.

La questione è dunque la seguente: in che modo, la grande volontà morale alla quale tutti aderiscono e che tutti reclamano, può diventare scelta personale? Perché, sin tanto che questo non accadrà, la politica sarà impotente. Chi può far sì che questa coscienza generale penetri veramente in ogni singola persona? Può farlo solo un’istanza che tocca le coscienze, che è vicina al singolo e che non chiama a raccolta solo per manifestazioni di facciata. Ecco la sfida per la Chiesa; che non ha solo questa grande responsabilità, perché direi che spesso la Chiesa rimane l’unica speranza. La Chiesa è così vicina alla coscienza dell’uomo da poterlo muovere a determinate rinunce e da riuscire ad imprimere nell’animo suo determinati atteggiamenti di fondo.

PS. Il filosofo Peter Sloterdijk, circa la gestione globale della questione ambientale ha detto: “Gli uomini sono atei rispetto al futuro. Non credono a ciò che sanno nemmeno se gli si dimostra chiaramente cosa è inevitabile che accada”.

BXVI. In teoria forse ci credono pure. Ma si dicono anche: “Non capiterà proprio a me; ed in ogni caso non cambierò la mia vita”. E poi, in definitiva, non ci sono soltanto gli egoismi individuali, in lotta tra loro, ma anche gli egoismi di gruppi. Uno è abituato ad un certo tipo di vita e quando lo sente minacciato, naturalmente si difende. Si è a conoscenza di troppo pochi modelli rispetto a come dovrebbe configurarsi quella rinuncia di cui parlavamo. In questo senso, le comunità religiose hanno un ruolo esemplare. Possono mostrare come uno stile di vita improntato alla rinuncia razionale e morale sia assolutamente praticabile senza dover per così dire mettere tra parentesi tutte le possibilità che il nostro tempo ci offre.

PS. Quando si tratta di dare il buon esempio nemmeno lo Stato è in prima fila. I governi accumulano debiti come non mai. Un Paese come la Germania spenderà nel 2010 non meno di 43,9 miliardi di euro solo per pagare gli interessi alle banche, cioè per aver vissuto, nonostante la sua grande ricchezza, al di là delle proprie possibilità. Quella cifra spesa per pagare gli interessi da sola sarebbe sufficiente per garantire cibo a sufficienza a tutti i bambini nei Paesi in via di sviluppo. In tutto il mondo, da quando è scoppiata la crisi finanziaria, il debito pubblico è aumentato del 45%, oggi ha superato i 50 bilioni di dollari: sono cifre inimmaginabili, situazioni mai viste prima. Nel 2010, solo i Paesi dell’Unione Europea hanno chiesto prestiti per oltre 80 miliardi di euro. Il nuovo indebitamento del governo statunitense è di 1,56 bilioni di dollari, il livello più alto mai raggiunto. È per questo che il professor Kenneth Rogoff, della Harvard University, afferma che ormai la normalità non esiste più, bensì soltanto l’illusione della normalità. Certo è che sulle spalle delle generazioni future è messo il peso enorme di debiti giganteschi. Non è forse anche questo un grandissimo problema morale?

BXVI. Certo, perché stiamo vivendo a spese delle generazioni futureCosì vediamo che viviamo nella menzogna. Viviamo per l’apparenza, e trattiamo i grandi debiti come fossero qualcosa che fa parte di noi. E anche qui: in teoria tutti comprendono che sarebbe necessario un ravvedimento per riconoscere nuovamente cosa è effettivamente possibile, cosa si deve fare, cosa è permesso fare. Eppure non si riesce a far breccia nel cuore degli uomini.    Al di là dei singoli piani finanziari, un esame di coscienza globale è assolutamente inevitabile. E a questo la Chiesa ha cercato di contribuire con l’Enciclica Caritas in Veritate. Non dà risposte a tutti i problemi. Vuole essere un passo in avanti per guardare le cose da un altro punto di vista, che non sia soltanto quello della fattibilità e del successo, ma dal punto di vista secondo cui esiste una normatività dell’amore per il prossimo che si orienta alla volontà di Dio e non soltanto ai nostri desideri. In questo senso dovrebbero essere dati degli impulsi perché realmente avvenga una trasformazione delle coscienze.

PS. Abbiamo riconosciuto il problema della distruzione ambientale. E tuttavia solo molto lentamente matura nella nostra coscienza la consapevolezza che la condizione per salvare l’ambiente è ripristinare il nostro strato di ozono spirituale, salvaguardare le nostre foreste vergini dell’anima. Non avremmo da tempo dovuto chiederci: che ne è dell’inquinamento del nostro pensiero, dell’insudiciamelo della nostra anima? Molte delle cose che permettiamo alla cultura dei media e del commercio in definitiva equivale ad una intossicazione che quasi inevitabilmente conduce all’avvelenamento spirituale.

BXVI. E’ evidente che esiste un avvelenamento del pensiero che, a priori, ci dà prospettive sbagliate. Liberarcene per mezzo di un’autentica conversione, per usare questo termine fondamentale della fede cristiana, è una sfida ormai chiara a tutti. In un mondo tutto proteso alla scientificità e alla modernità, questi concetti hanno perso qualsiasi significato. Viene considerata antiquata e superata l’idea di una conversione, nel senso della fede nella volontà di Dio che ci indica una strada. E tuttavia credo che lentamente inizi a farsi strada la consapevolezza che c’è del vero quando diciamo che dobbiamo nuovamente ritornare in noi.

PS. Badessa e medico, Hildegard von Bingen ha riassunto ben 900 anni fa questi nessi nel modo seguente: “Quando l’uomo pecca, ne soffre tutto il cosmo”. I problemi dell’attuale momento storico, così Lei scrive nel suo libro su Gesù, sono conseguenza del fatto che Dio non è più ascoltato. Una volta Lei ha parlato addirittura dello “spegnersi della luce che viene da Dio”.

BXVI. Per molti, l’ateismo pratico è oggi regola di vita. Forse, si dicono, in tempi remotissimi qualcosa o qualcuno ha dato inizio alla terra, ma lui non ci riguarda. Quando una simile atteggiamento spirituale diviene diffuso stile di vita, la libertà non ha più un termine di misura, e tutto è possibile e permesso. Per questo è tanto urgente che la questione di Dio torni ad essere centrale. E non si tratta di un Dio che in qualche modo esiste, ma di un Dio che ci conosce, che ci parla e che ci riguarda, e che poi è anche nostro giudice.

– continua

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Nota

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