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AVVENTO E NATALE CON BENEDETTO XVI

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2014 17:00
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01/12/2014 13:47

 

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Ricordiamo che la prima parte del testo è stata proposta "qui".

Segue ora l'approfondimento di Benedetto XVI sulla Annunciazione, su quelle parole pronunciate dall'Angelo....

3. L’Annunciazione a Maria

«Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26s).

L’annuncio della nascita di Gesù è collegato con la storia di Giovanni Battista innanzitutto cronologicamente mediante l’indicazione del tempo trascorso dopo il messaggio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria, cioè «al sesto mese» della gravidanza di Elisabetta. Ambedue gli eventi ed ambedue le missioni, tuttavia, in questo brano vengono collegati anche mediante l’informazione che Maria ed Elisabetta - e quindi anche i loro bambini - sono parenti. La visita di Maria ad Elisabetta, che deriva come conseguenza dal colloquio tra Gabriele e Maria (cfr. Lc 1,36), porta - ancora prima della nascita - ad un incontro, nello Spirito Santo, tra Gesù e Giovanni, e in questo incontro si rende al contempo evidente anche la correlazione delle loro missioni: Gesù è il più giovane, Colui che viene dopo.

Ma è la vicinanza di Lui che fa sussultare Giovanni nel grembo materno e colma Elisabetta di Spirito Santo (cfr. Lc 1,41). Così appare oggettivamente, già nei racconti di san Luca sull’annuncio e sulla nascita, ciò che il Battista dirà nel Vangelo di Giovanni: «Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”» (1,30).

Anzitutto, però, conviene considerare in modo più dettagliato la narrazione dell’annuncio della nascita di Gesù a Maria. Guardiamo prima il messaggio dell’angelo e poi la risposta di Maria.

Nel saluto dell’angelo colpisce il fatto che egli non rivolge a Maria l’usuale saluto ebraico, shalom - la pace sia con te -, ma la formula greca chaîre, che si può tranquillamente tradurre con «ave», come avviene nella preghiera mariana della Chiesa, composta con parole tratte dalla narrazione dell’Annunciazione (cfr. Lc 1,28.42).

Tuttavia è giusto cogliere, a questo punto, il vero significato della parola chaîre: rallégrati! Con questo augurio dell’angelo - possiamo dire inizia, in senso proprio, il Nuovo Testamento. La parola ricompare nella Notte Santa sulle labbra dell’angelo, che dice ai pastori: «Vi annuncio una grande gioia» (2,10). Ricompare - in Giovanni - in occasione dell’incontro con il Risorto: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Nei discorsi di addio in Giovanni appare una teologia della gioia che illumina, per così dire, le profondità di questa parola. «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (16,22).

La gioia appare, in questi testi, come il dono proprio dello Spirito Santo, come il vero dono del Redentore. Così, con il saluto dell’angelo viene fatto echeggiare l’accordo che continuerà poi a risuonare attraverso tutto il tempo della Chiesa e che, per quanto riguarda il suo contenuto, può essere percepito anche nella parola fondamentale con la quale si qualifica l’intero annuncio cristiano: il Vangelo - la Buona Novella. 

 

«Rallégrati» è - come abbiamo visto - anzitutto un saluto in lingua greca, e così si apre subito, in questa parola dell’angelo, anche la porta verso i popoli del mondo; si ha un accenno all’universalità del messaggio cristiano. Eppure questa è, al tempo stesso, anche una parola tratta dall’Antico Testamento e sta quindi pienamente nella continuità della storia biblica della salvezza. Soprattutto Stanislas Lyonnet e René Laurentin hanno mostrato che nel saluto di Gabriele a Maria è ripresa ed attualizzata la profezia di Sofonia 3,14- 17, che suona così: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele! [...] Il Signore, tuo Dio, è in mezzo a te».

Non è necessario entrare qui nei particolari di un confronto testuale tra il saluto dell’angelo a Maria e la parola di promessa del profeta. Il motivo essenziale perché la figlia di Sion può esultare è espresso nell’affermazione: «Il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,15.17) - tradotto letteralmente: «è nel tuo grembo».

Con ciò Sofonia riprende parole del Libro dell’Esodo che descrivono il dimorare di Dio nell’arca dell’alleanza come un dimorare «nel grembo di Israele» (cfr. Es 33,3; 34,9; cfr. Laurentin, Structure et Théologie, pp. 64-71).

Proprio questa parola ricompare nel messaggio di Gabriele a Maria: «Concepirai nel grembo» (Lc 1,31). Comunque si valutino i particolari di questi parallelismi, si rende evidente una vicinanza interna dei due messaggi.

Maria appare come la figlia di Sion in persona. Le promesse riguardanti Sion si adempiono in lei in modo inaspettato. Maria diventa l’arca dell’alleanza, il luogo di una vera inabitazione del Signore.

«Rallégrati, piena di grazia!» Un ulteriore aspetto di questo saluto chaîre è degno di riflessione: la connessione tra gioia e grazia. Nel greco, le due parole, gioia e grazia (chará e cháris), sono formate dalla stessa radice. Gioia e grazia vanno insieme.

Dedichiamoci ora al contenuto della promessa. Maria darà alla luce un bambino, al quale l’angelo attribuisce i titoli «Figlio dell’Altissimo» e «Figlio di Dio». Inoltre viene promesso che Dio, il Signore, gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno (la sua signoria) non avrà fine.

Si aggiunge poi una serie di promesse in riferimento al «come» del concepimento: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Cominciamo con quest’ultima promessa. Stando al suo linguaggio, essa appartiene alla teologia del Tempio e della presenza di Dio nel santuario. La nube sacra - la shekinà - è segno visibile della presenza di Dio. Essa insieme nasconde e mostra il suo dimorare nella sua casa.

La nube che getta la sua ombra sugli uomini ritorna poi nel racconto della Trasfigurazione del Signore (cfr. Lc 9,34; Mc 9,7). Di nuovo essa è segno della presenza di Dio, del mostrarsi di Dio nel nascondimento. Così, con la parola circa l’ombra che scende con lo Spirito Santo, è ripresa la teologia relativa a Sion, contenuta nel saluto.

Ancora una volta Maria appare come la tenda viva di Dio, nella quale, in un modo nuovo, Egli vuole dimorare in mezzo agli uomini.

Al tempo stesso, nell’insieme di queste parole dell’annuncio è percettibile un accenno al mistero del Dio trinitario. Agisce Dio Padre, che aveva promesso stabilità al trono di Davide e ora istituisce l’erede il cui regno non avrà fine, l’erede definitivo di Davide, predetto dal profeta Natan con le parole: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2 Sam 7,14). Il Salmo 2 lo ripete: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (v. 7).

Le parole dell’angelo rimangono totalmente nella concezione religiosa veterotestamentaria e, tuttavia, la superano. A partire dalla nuova situazione ricevono un nuovo realismo, una densità e una forza prima inimmaginabili. Ancora il mistero trinitario non è stato oggetto di riflessione, ancora non è sviluppato fino alla dottrina definitiva.

Appare da sé, grazie al modo di agire di Dio prefigurato nell’Antico Testamento; appare nell’avvenimento, senza diventare dottrina. E, ugualmente, il concetto dell’essere Figlio, proprio del Bambino, non è approfondito e sviluppato fin nella dimensione metafisica. In questo modo, tutto rimane nell’ambito della concezione religiosa giudaica.

E, tuttavia, le antiche parole stesse, a causa dell’avvenimento nuovo che esprimono e interpretano, sono nuovamente in cammino, vanno al di là di se stesse. Proprio nella loro semplicità ricevono una nuova grandezza quasi sconcertante, che però solo nel cammino di Gesù e nel cammino dei credenti dovrà svilupparsi. 

 

In questo contesto si colloca anche il nome «Gesù» che l’angelo, sia in Luca (1,31) sia in Matteo (1,21), attribuisce al bambino. Nel nome di Gesù, il tetragramma, il nome misterioso dall’Oreb (YHWH; cfr. Es 3,1.13-14; 34,6), è nascostamente contenuto ed allargato fino all’affermazione: Dio salva. Il nome dal Sinai, rimasto - per così dire - incompleto, viene pronunciato fino in fondo. Il Dio che è, è il Dio presente e salvatore. La rivelazione del nome di Dio, iniziata nel roveto ardente, viene portata a compimento in Gesù (cfr. Gv 17,26).

La salvezza, che il Bambino promesso porta, si manifesta nell’instaurazione definitiva del regno di Davide. In effetti, al regno davidico era stata promessa una durata permanente: «La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre grazie a me; il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2 Sam 7,16), aveva annunciato Natan, per incarico di Dio stesso.

Nel Salmo 89 si riflette in modo sconvolgente la contraddizione tra la definitività della promessa e il crollo di fatto del regno davidico: «Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo. Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge [...] punirò con la verga la loro ribellione [...] Ma non annullerò il mio amore e alla mia fedeltà non verrò mai meno» (vv. 30-34).

Perciò il salmista, in modo commovente e con insistenza, ripete davanti a Dio la promessa, bussa al suo cuore e reclama la sua fedeltà. La realtà da lui vissuta, infatti, è totalmente diversa: «Ma tu lo hai respinto e disonorato, ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. [...] tutti i passanti lo hanno depredato, è divenuto lo scherno dei suoi vicini. [...] Ricorda, Signore, l’oltraggio fatto ai tuoi servi» (vv. 39-42.51). Questo lamento di Israele stava davanti a Dio anche nel momento in cui Gabriele preannunciava alla Vergine Maria il nuovo re sul trono di Davide. Erode era re per grazia di Roma. Era idumeo, non un figlio di Davide.

Ma, soprattutto, per la sua crudeltà inaudita, era una caricatura di quella regalità che era stata promessa a Davide.

L’angelo annuncia che Dio non ha dimenticato la sua promessa; ora, nel bambino che Maria concepirà per opera dello Spirito Santo, essa si avvererà.«Il suo regno non avrà fine», dice Gabriele a Maria.

Nel IV secolo, questa frase è stata assunta nel Credo nicenocostantinopolitano nel momento in cui il regno di Gesù di Nazaret abbracciava ormai l’intero mondo del bacino del Mediterraneo. Noi cristiani sappiamo e professiamo con gratitudine: sì, Dio ha attuato la sua promessa. Il regno del Figlio di Davide, Gesù, si espande «da mare a mare», da continente a continente, da un secolo all’altro.

Certo - resta sempre vera anche la parola che Gesù disse a Pilato: «Il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). A volte, nel corso della storia, i potenti di questo mondo lo attraggono a sé; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere con il potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano. Oppure esso è sottoposto all’insistente persecuzione da parte dei dominatori che non tollerano alcun altro regno e desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono. Ma «il suo regno non avrà fine»: questo regno diverso non è costruito su un potere mondano, ma si fonda solo sulla fede e sull’amore. È la grande forza della speranza in mezzo a un mondo che così spesso sembra essere abbandonato da Dio.

Il regno del Figlio di Davide, Gesù, non conosce fine, perché in esso regna Dio stesso, perché in esso il regno di Dio entra in questo mondo. La promessa che Gabriele ha trasmesso alla Vergine Maria è vera. Si adempie sempre di nuovo. La risposta di Maria, alla quale ora giungiamo, si sviluppa in tre passi. La prima reazione al saluto dell’angelo è di turbamento e pensosità. La sua reazione è diversa da quella di Zaccaria. Di lui si riferisce che si turbò e «fu preso da timore» (Lc 1,12). Nel caso di Maria, inizialmente è usata la stessa parola (fu turbata), ma poi non segue il timore, bensì una riflessione interiore sul saluto dell’angelo. Maria riflette (entra in dialogo con se stessa) su che cosa significhi il saluto del messaggero di Dio.

Così emerge già qui un tratto caratteristico dell’immagine della Madre di Gesù, un tratto che incontriamo nel Vangelo altre due volte in situazioni analoghe: l’interiore confrontarsi con la Parola (cfr. Lc 2,19.51). Lei non si ferma al primo turbamento per la vicinanza di Dio nel suo angelo, ma cerca di comprendere. Maria appare quindi una donna coraggiosa, che, anche di fronte all’inaudito, mantiene l’autocontrollo. Al tempo stesso, è presentata come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione e cerca di capire il contesto, l’insieme del messaggio di Dio.

In questo modo, diventa immagine della Chiesa che riflette sulla Parola di Dio, cerca di comprenderla nella sua totalità e ne custodisce il dono nella sua memoria. Enigmatica è per noi la seconda reazione di Maria. In seguito alla titubanza pensierosa con cui ella aveva accolto il saluto del messaggero di Dio, l’angelo, infatti, le aveva comunicato la sua elezione a diventare la madre del Messia.

 

Allora Maria pone una breve, incisiva domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Consideriamo di nuovo la differenza rispetto alla risposta di Zaccaria, che aveva reagito con un dubbio circa la possibilità del compito assegnatogli. Lui era, come Elisabetta, in un’età avanzata; non poteva più sperare in un figlio. Maria invece non dubita.

Non pone domande sul «che», ma sul «come» possa realizzarsi la promessa, essendo questo per lei non riconoscibile: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (1,34). Questa domanda appare incomprensibile, perché Maria era fidanzata e, secondo il diritto giudaico, era ritenuta ormai equiparata ad una moglie, anche se non abitava ancora con il marito e la comunione matrimoniale non era ancora iniziata.

A partire da Agostino la questione è stata spiegata nel senso che Maria avrebbe fatto un voto di verginità e avrebbe attuato il fidanzamento solo per avere un protettore della sua verginità.

Ma questa ricostruzione fuoriesce totalmente dal mondo del giudaismo dei tempi di Gesù e sembra impensabile in tale contesto. Ma che cosa significa allora questa parola?

Una risposta convincente non è stata trovata dall’esegesi moderna. Si dice che Maria, non ancora introdotta in casa, in quel momento non avrebbe ancora avuto alcun contatto con un uomo e avrebbe considerato il compito come immediatamente urgente. Questo, però, non convince, perché il tempo della convivenza non poteva più essere molto lontano.

Altri esegeti tendono a considerare la frase come una costruzione puramente letteraria, per sviluppare il dialogo tra Maria e l’angelo. Pure questa non è una vera spiegazione della frase. Si potrebbe anche ricordare che, secondo l’uso giudaico, il fidanzamento veniva espresso unilateralmente dall’uomo, e alla donna non si chiedeva il consenso.

Ma anche questa indicazione non risolve il problema.

Permane quindi l’enigma - o diciamo forse meglio: il mistero - di tale frase.

Maria, per motivi a noi non accessibili, non vede alcun modo di diventare madre del Messia per via del rapporto coniugale.

L’angelo le dà la conferma che lei non sarà madre attraverso il modo normale dopo essere accolta in casa da Giuseppe, ma attraverso «l’ombra della potenza dell’Altissimo», mediante l’arrivo dello Spirito Santo, e attesta con forza: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).

Dopo questo, segue la terza reazione, la risposta essenziale di Maria: il suo semplice «sì». Si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte.

Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana.

Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà.

Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»?

Lei indugia... Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta - le dice Bernardo - non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola».

È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì».

I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio - e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo?

Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23).

Penso che sia importante ascoltare anche l’ultima frase della narrazione lucana dell’Annunciazione: «E l’angelo si allontanò da lei» (Lc 1,38). La grande ora dell’incontro con il messaggero di Dio, nella quale tutta la vita cambia, passa, e Maria resta sola con il compito che, in verità, supera ogni capacità umana. Non ci sono angeli intorno a lei.

Ella deve continuare il cammino che passerà attraverso molte oscurità - a cominciare dallo sconcerto di Giuseppe di fronte alla sua gravidanza fino al momento in cui Gesù viene dichiarato «fuori di sé» (Mc 3,21; cfr. Gv 10,20), anzi, fino alla notte della Croce. Quante volte in queste situazioni Maria si sarà interiormente riportata all’ora in cui l’angelo di Dio le aveva parlato, avrà riascoltato e meditato il saluto: «Rallégrati, piena di grazia!», e la parola di conforto: «Non temere!». L’angelo se ne va, la missione rimane, e insieme con essa matura la vicinanza interiore a Dio, l’intimo vedere e toccare la sua vicinanza.

 

Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - L’infanzia di Gesù - RIZZOLI

 
  


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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02/12/2014 18:23





Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

(ricordiamo di cliccare sulle immagini per ingrandirle)


4. Concepimento e nascita di Gesù secondo Matteo


Dopo la riflessione sulla narrazione lucana dell’Annunciazione dobbiamo ascoltare ancora la tradizione del Vangelo di Matteo riguardo allo stesso avvenimento.

Al contrario di Luca, Matteo ne parla esclusivamente dalla prospettiva di san Giuseppe che, in quanto discendente di Davide, funge da collegamento della figura di Gesù con la promessa fatta a Davide. Matteo ci informa innanzitutto del fatto che Maria era fidanzata con Giuseppe. Secondo il diritto giudaico allora vigente, il fidanzamento significava ormai un legame giuridico tra i due partner, così che Maria poteva essere chiamata moglie di Giuseppe, anche se l’atto del suo accoglimento in casa, che fondava la comunione matrimoniale, non era ancora avvenuto.

Da fidanzata, «la donna viveva ancora nella casa dei genitori e restava sotto la patria potestas. Dopo un anno si svolgeva poi l’accoglimento in casa ovvero la celebrazione del matrimonio» (Gnilka, Das Matthäusevangelium I/1, p. 17).

Ora Giuseppe dovette constatare che Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18).

Ma ciò che Matteo anticipa qui sulla provenienza del bambino, Giuseppe ancora non lo sa. Egli deve supporre che Maria abbia rotto il fidanzamento e secondo la Legge - deve abbandonarla; al riguardo, egli può decidere tra un atto giuridico pubblico e una forma privata: può portare Maria davanti a un tribunale o rilasciarle una lettera privata di ripudio. Giuseppe sceglie la seconda via, per non «accusarla pubblicamente» (1,19).

In questa decisione Matteo vede un segno che Giuseppe era «uomo giusto». La qualificazione di Giuseppe come uomo giusto (zaddik) va ben al di là della decisione di quel momento: offre un quadro completo di san Giuseppe e al contempo lo inserisce tra le grandi figure dell’Antica Alleanza - a cominciare da Abramo, il giusto. Se si può dire che la forma di religiosità presente nel Nuovo Testamento si riassume nella parola «fedele», l’insieme di una vita secondo la Scrittura si compendia, nell’Antico Testamento, nel termine «giusto».

Il Salmo 1 offre l’immagine classica del «giusto». Quindi possiamo considerarlo quasi come un ritratto della figura spirituale di san Giuseppe.Giusto, secondo questo Salmo, è un uomo che vive in intenso contatto con la Parola di Dio; che «nella legge del Signore trova la sua gioia» (v. 2).

È come un albero che, piantato lungo corsi d’acqua, porta costantemente il suo frutto. Con l’immagine dei corsi d’acqua, dei quali esso si nutre, s’intende naturalmente la Parola viva di Dio, in cui il giusto fa calare le radici della sua esistenza. La volontà di Dio per lui non è una legge imposta dall’esterno, ma «gioia».

 La legge gli diventa spontaneamente «vangelo», buona novella, perché egli la interpreta in atteggiamento di apertura personale e piena di amore verso Dio, e così impara a comprenderla e a viverla dal di dentro. Se il Salmo 1 considera come caratteristica dell’«uomo beato» il suo dimorare nella Torà, nella Parola di Dio, il testo parallelo in Geremia 17,7 chiama «benedetto» colui che «confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia».

Qui emerge, in modo più forte che non nel Salmo, il carattere personale della giustizia - il fidarsi di Dio, un atteggiamento che dà speranza all’uomo.

Anche se ambedue i testi non parlano direttamente del giusto, bensì dell’uomo beato o benedetto, possiamo tuttavia considerarli, con Hans-Joachim Kraus, come l’immagine autentica del giusto veterotestamentario e così, a partire da qui, imparare anche che cosa Matteo voglia dirci quando presenta san Giuseppe come «uomo giusto».

Questa immagine dell’uomo, che ha le sue radici nelle acque vive della Parola di Dio, sta sempre nel dialogo con Dio e perciò porta costantemente frutto, questa immagine diventa concreta nell’evento descritto, come pure in tutto ciò che, in seguito, si racconta di Giuseppe di Nazaret. Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare ed applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia. Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione.

Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta san Paolo. Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore. E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio. Mentre l’angelo «entra» da Maria (Lc 1,28), a Giuseppe appare solo nel sogno - in un sogno, però, che è realtà e rivela realtà.

Ancora una volta si mostra a noi un tratto essenziale della figura di san Giuseppe: la sua percettività per il divino e la sua capacità di discernimento.Solo ad una persona intimamente attenta al divino, dotata di una peculiare sensibilità per Dio e per le sue vie, il messaggio di Dio può venire incontro in questa maniera. E la capacità di discernimento è necessaria per riconoscere se si era trattato solo di un sogno, oppure se veramente il messaggero di Dio era venuto da lui e gli aveva parlato. Il messaggio che gli viene partecipato è sconvolgente e richiede una fede eccezionalmente coraggiosa. 



È possibile che Dio abbia veramente parlato? Che Giuseppe, nel sogno, abbia ricevuto la verità - una verità che va al di là di tutto ciò che ci si può attendere? Può essere che Dio abbia agito in questo modo in un essere umano? È possibile che Dio abbia realizzato in questo modo l’inizio di una nuova storia con gli uomini?

Matteo aveva detto prima che Giuseppe stava «considerando interiormente» (enthymethéntos) la questione della giusta reazione alla gravidanza di Maria. Possiamo dunque immaginare come egli lotti ora nel suo intimo con questo messaggio inaudito del sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.

Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe viene interpellato esplicitamente come figlio di Davide, e con ciò è indicato, al tempo stesso, il compito che, in questo evento, gli è assegnato: in quanto destinatario della promessa fatta a Davide, egli deve farsi garante della fedeltà di Dio.

«Non temere» di accettare questo compito, che davvero può suscitare timore. «Non temere» - questo aveva detto l’angelo dell’Annunciazione anche a Maria.

Con la stessa esortazione dell’angelo, Giuseppe ora è coinvolto nel mistero dell’Incarnazione di Dio. Alla comunicazione circa il concepimento del bambino per virtù dello Spirito Santo, segue poi un incarico: Maria «darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Insieme con l’invito di prendere con sé Maria come sua moglie, Giuseppe riceve l’ordine di dare un nome al bambino e così di adottarlo giuridicamente come figlio suo. È lo stesso nome che l’angelo aveva indicato anche a Maria come nome del bambino: Gesù. Il nome Gesù (Yeshua) significa: YHWH è salvezza.

Il messaggero di Dio, che parla a Giuseppe nel sogno, chiarisce in che cosa consiste questa salvezza: «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Con ciò, da una parte, è dato un alto compito teologico, poiché solo Dio stesso può perdonare i peccati.

Il Bambino viene così messo in relazione immediata con Dio, viene collegato direttamente con il potere santo e salvifico di Dio. Dall’altra parte, però, questa definizione della missione del Messia potrebbe apparire anche deludente. L’attesa comune della salvezza è orientata soprattutto verso la concreta situazione penosa di Israele: verso la restaurazione del regno davidico, verso la libertà e l’indipendenza di Israele e con ciò, naturalmente, anche verso il benessere materiale di un popolo in gran parte impoverito.

La promessa del perdono dei peccati appare troppo poco e insieme troppo: troppo, perché si invade la sfera riservata a Dio stesso; troppo poco, perché sembra che non sia presa in considerazione la sofferenza concreta di Israele e il suo reale bisogno di salvezza.

In fondo, già in queste parole è anticipata tutta la controversia sulla messianicità di Gesù: ha veramente redento Israele o forse non è rimasto tutto come prima?

È la missione, così come Egli l’ha vissuta, la risposta alla promessa o non lo è?

Sicuramente non corrisponde all’attesa immediata della salvezza messianica da parte degli uomini, che si sentivano oppressi non tanto dai loro peccati, quanto piuttosto dalle loro sofferenze, dalla loro mancanza di libertà, dalla miseria della loro esistenza.

Gesù stesso ha sollevato in modo drastico la questione circa la priorità del bisogno umano di redenzione, quando i quattro uomini che, a causa della folla, non poterono far entrare il paralitico attraverso la porta, lo calarono giù dal tetto e Glielo posero davanti. L’esistenza stessa del sofferente era una preghiera, un grido che chiedeva salvezza, un grido a cui Gesù, in pieno contrasto con l’attesa dei portatori e del malato stesso, rispose con le parole:«Figlio, ti sono perdonati i peccati» (Mc 2,5). Proprio questo la gente non si aspettava.

Proprio questo non rientrava nell’interesse della gente.

Il paralitico doveva poter camminare, non essere liberato dai peccati.

Gli scribi contestavano la presunzione teologica delle parole di Gesù; il malato e gli uomini intorno erano delusi, perché Gesù sembrava ignorare il vero bisogno di quest’uomo. Io ritengo tutta la scena assolutamente significativa per la questione circa la missione di Gesù, così come viene descritta per la prima volta nella parola dell’angelo a Giuseppe. Qui viene accolta sia la critica degli scribi che l’attesa silenziosa della gente. Che Gesù sia in grado di perdonare i peccati, lo mostra adesso comandando al malato di prendere la sua barella per andare via guarito.

Con questo, però, rimane salvaguardata la priorità del perdono dei peccati quale fondamento di ogni vera guarigione dell’uomo. 



L’uomo è un essere relazionale. Se è disturbata la prima, la fondamentale relazione dell’uomo - la relazione con Dio -, allora non c’è più alcun’altra cosa che possa veramente essere in ordine. Di questa priorità si tratta nel messaggio e nell’operare di Gesù: Egli vuole, in primo luogo, richiamare l’attenzione dell’uomo al nocciolo del suo male e mostrargli: se non sarai guarito in questo, allora, nonostante tutte le cose buone che potrai trovare, non sarai guarito veramente.

In tal senso, nella spiegazione del nome di Gesù data a Giuseppe nel sogno sta già una chiarificazione fondamentale su come sia da concepire la salvezza dell’uomo e in che cosa consista, pertanto, il compito essenziale del portatore della salvezza.

L’annuncio dell’angelo a Giuseppe circa la concezione e nascita verginali di Gesù, in Matteo viene integrato da altre due affermazioni.

Innanzitutto l’evangelista mostra che con ciò si compie quanto aveva predetto la Scrittura. Questo fa parte della struttura fondamentale del suo Vangelo: fornire per tutti gli eventi essenziali una «prova dalla Scrittura» - rendere evidente che parole della Scrittura hanno atteso tali eventi, li hanno preparati dall’interno.

Così Matteo mostra che, nella storia di Gesù, le parole antiche diventano realtà. Ma mostra, al tempo stesso, che la storia di Gesù è vera, proveniente cioè dalla Parola di Dio, sostenuta e tessuta da essa. Dopo la citazione biblica, Matteo porta a termine la narrazione. Riferisce che Giuseppe si alzò dal sonno e fece ciò che gli era stato comandato dall’angelo del Signore. Prese con sé Maria, sua sposa, ma non la «conobbe» prima che ella avesse dato alla luce il Figlio. Così si sottolinea, ancora una volta, che il Figlio non è generato da lui, ma dallo Spirito Santo. Infine, l’evangelista aggiunge: «Egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,25).

Ancora una volta, Giuseppe ci viene qui presentato molto concretamente come «uomo giusto»: il suo essere interiormente vigilante per Dio - un atteggiamento grazie al quale può accogliere e comprendere il messaggio - diventa spontaneamente obbedienza. Se prima aveva fatto congetture con le proprie capacità, ora sa che cosa deve fare come cosa giusta. Da uomo giusto egli segue il comando di Dio, come dice il Salmo 1.


Ora, però, dobbiamo ascoltare la prova scritturistica presentata da Matteo, che - come poteva essere diversamente? - è diventata oggetto di ampie discussioni esegetiche.

Il versetto suona così: «Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,22s; cfr. Is 7,14). Cerchiamo di comprendere, anzitutto nel suo originario contesto storico, questa frase del profeta, diventata attraverso Matteo un grande e fondamentale testo cristologico, per vedere poi in che maniera si rispecchi in essa il mistero di Gesù Cristo. Eccezionalmente possiamo fissare la datazione di questo versetto di Isaia in modo molto preciso: si colloca nell’anno 733 a.C. Il re assiro Tiglat-Pilèser III, con una campagna militare improvvisa, aveva respinto l’inizio di un’insurrezione degli Stati siro-palestinesi.

Ora, i re Rezin di Damasco/Siria e Pekach di Israele si unirono in una coalizione contro la grande potenza assira. Poiché non erano riusciti a persuadere il re Acaz di Giuda ad aderire alla loro alleanza, decisero di scendere in campo contro il re di Gerusalemme per includere il suo Paese nella loro coalizione. Acaz e il suo popolo - ben comprensibilmente - sono colti da paura di fronte all’alleanza nemica; il cuore del re e del popolo si agita «come si agitano gli alberi della foresta per il vento» (Is 7,2).

Ciononostante, Acaz - evidentemente un politico che calcola con prudenza e freddezza - rimane nella linea già presa: non vuole aderire ad un’alleanza anti-assira alla quale, di fronte all’enorme prevalenza della grande potenza, chiaramente non dà alcuna chance.

Stipula invece un patto di protezione con l’Assiria - cosa che, da un lato, gli garantisce la sicurezza e salva il suo Paese dalla distruzione, dall’altro, però, esige come prezzo l’adorazione delle divinità statali della potenza protettrice. Di fatto, fu dopo la stipulazione del patto, concluso da Acaz con l’Assiria malgrado l’avvertimento del profeta Isaia, che si arrivò alla costruzione di un altare secondo il modello assiro nel Tempio di Gerusalemme (cfr. 2 Re 16,11ss; cfr. Kaiser, Der Prophet Jesaja, p. 73).

Nel momento a cui si riferisce la citazione di Isaia riportata da Matteo non si era ancora giunti fino a questo punto. Una cosa, però, era chiara: se Acaz avesse stipulato il patto con il grande re assiro, ciò avrebbe significato che egli, come uomo politico, si fidava più del potere del re che non della potenza di Dio, la quale, evidentemente, non gli pareva sufficientemente reale. 




In ultima analisi, quindi, si trattava qui non di un problema politico, ma di una questione di fede.

Isaia, in tale contesto, dice al re che non deve aver paura di fronte a «quei due avanzi di tizzoni fumanti», Siria ed Israele (Efraim), e che quindi non c’è alcun motivo per il patto di protezione con l’Assiria: deve puntare sulla fede e non su un calcolo politico. In modo del tutto inusuale, invita Acaz a chiedere un segno da Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto.

La risposta del re ebraico sembra devota: non vuole tentare Dio e non vuole chiedere alcun segno (cfr. Is 7,10-12). Il profeta che parla da parte di Dio non si lascia mettere in imbarazzo. Egli sa che la rinuncia del re a un segno non è - come sembra - un’espressione di fede, ma, al contrario, un indice del fatto che non vuol essere disturbato nella sua «realpolitik».

A questo punto, il profeta annuncia che ora il Signore stesso darà un segno: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele [Dio con noi]» (Is 7,14).

Qual è il segno che con ciò viene promesso ad Acaz? Matteo, e con lui tutta la tradizione cristiana, vi vede un annuncio della nascita di Gesù dalla Vergine Maria - Gesù che, veramente, non porta il nome di Emmanuele, bensì è l’Emmanuele, come cerca di illustrare l’intero racconto dei Vangeli. Quest’uomo - ci mostrano i Vangeli - è Egli stesso la permanenza di Dio con gli uomini. È vero uomo e, insieme, Dio, vero Figlio di Dio.

Ma Isaia ha compreso così il segno annunciato?

Su questo, da una parte, anzitutto si obietta - e con ragione - che, appunto, ad Acaz viene annunciato un segno, che in quel momento gli sarebbe stato dato per portarlo alla fede nel Dio di Israele quale vero padrone del mondo. Quindi, il segno dovrebbe essere cercato ed individuato nel contesto storico contemporaneo in cui è stato annunciato dal profeta.

Conformemente, l’esegesi, con grande acribia e con tutte le possibilità dell’erudizione storica, è andata alla ricerca di una spiegazione storica contemporanea allo svolgersi dei fatti - ed ha fallito. Rudolf Kilian, nel suo commento ad Isaia, ha descritto brevemente i tentativi essenziali di questo genere. Ne mostra quattro tipi principali. Il primo dice: con il termine «Emmanuele» ci si riferisce al Messia. L’idea del Messia, però, si è pienamente sviluppata solo nel periodo dell’esilio e poi successivamente.

Qui potrebbe quindi essere trovata tutt’al più un’anticipazione di questa figura; una corrispondenza storica contemporanea non è individuabile.

La seconda ipotesi suppone che il «Dio con noi» sia un figlio del re Acaz, forse Ezechia - una tesi che non trova alcun riscontro.

La terza teoria immagina che si tratti di uno dei figli del profeta Isaia, i quali ambedue portano nomi profetici: Seariasùb: «un resto ritornerà», e Maher-salal-cas-baz: «pronto bottino - veloce saccheggio» (cfr. Is 7,3; 8,3).

Ma anche questo tentativo non risulta convincente.

Una quarta tesi s’impegna per un’interpretazione collettiva: Emmanuele sarebbe il nuovo Israele e la ‘almah («vergine») sarebbe «nient’altro che la figura simbolica di Sion».

Ma il contesto del profeta non offre alcun indizio per una tale concezione, anche perché neppure questo potrebbe essere un segno storico contemporaneo. Kilian conclude la sua analisi dei vari tipi di interpretazione così: «Come esito di questa visione d’insieme, risulta dunque che neanche uno dei tentativi di interpretazione riesce veramente a convincere. Intorno alla madre e al figlio resta il mistero, almeno per il lettore di oggi, ma presumibilmente anche per l’ascoltatore di allora, forse addirittura per il profeta stesso» (Jesaja, p. 62).

Quindi, che cosa dobbiamo dire? L’affermazione circa la vergine che dà alla luce l’Emmanuele, analogamente al grande carme del Servo di YHWH in Isaia 53, è una parola in attesa. Nel suo contesto storico non si trova alcun riscontro. Resta così una questione aperta: non è parola rivolta soltanto ad Acaz. Neppure è rivolta soltanto a Israele. È rivolta all’umanità. Il segno che Dio stesso annuncia non viene offerto per una determinata situazione politica, ma riguarda l’uomo e la sua storia nel suo insieme.

Non dovevano forse i cristiani sentire questa parola come parola per loro? Non dovevano forse, colpiti dalla parola, arrivare alla certezza: la parola, che sempre stava lì in modo così strano e aspettava di essere decifrata, ora è divenuta realtà? Non dovevano essere convinti: nella nascita di Gesù dalla Vergine Maria, Dio ci ha donato ora questo segno?

L’Emmanuele è venuto. Marius Reiser ha riassunto l’esperienza che fecero i lettori cristiani circa questa parola nella frase: «Il vaticinio del profeta è come un buco di serratura miracolosamente predisposto, nel quale la chiave Cristo entra perfettamente» (Bibelkritik, p. 328). Sì, io credo che proprio oggi, dopo tutta la ricerca affannosa dell’esegesi critica, possiamo condividere, in modo del tutto nuovo, lo stupore per il fatto che una parola dell’anno 733 a.C., rimasta incomprensibile, al momento del concepimento di Gesù Cristo si è avverata - che Dio, in effetti, ci ha dato un grande segno che riguarda il mondo intero.



5. Il parto verginale - mito o verità storica?

Alla fine, però, dobbiamo ora domandarci con tutta serietà: ciò che i due evangelisti Matteo e Luca, in modi diversi e in base a tradizioni diverse, ci riferiscono sul concepimento di Gesù per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, è una realtà storica, un reale evento storico, oppure è una pia leggenda che, a modo suo, vuole esprimere ed interpretare il mistero di Gesù?

Soprattutto a partire da Eduard Norden († 1941) e Martin Dibelius († 1947) si è cercato di far derivare la narrazione della nascita verginale di Gesù dalla storia delle religioni e, apparentemente, è stata fatta una particolare scoperta nei racconti circa la generazione e la nascita dei faraoni egiziani. Un secondo ambito di idee affini si è trovato nell’antico giudaismo, nuovamente in Egitto, in Filone d’Alessandria († dopo il 40 d.C.).

Questi due ambiti di idee, tuttavia, sono molto diversi tra di loro. Nella descrizione della generazione divina dei faraoni, in cui la divinità si avvicina corporalmente alla madre, si tratta, in ultima analisi, della legittimazione teologica del culto al sovrano, di una teologia politica che vuole collocare il re nella sfera del divino e così legittimare la sua pretesa divina.

La descrizione che Filone fa della generazione dei figli dei Patriarchi da un seme divino, invece, ha un carattere allegorico.

«Le mogli dei Patriarchi [...] diventano allegorie delle virtù. In quanto tali, restano incinte da Dio e partoriscono per i loro mariti le virtù da esse impersonate» (Gnilka, Das Matthäusevangelium I/1, p. 25). Fino a che punto, al di là dell’allegoria, si consideri la cosa anche in modo concreto, è difficile da valutare. Una lettura attenta rende evidente che, né nel primo né nel secondo caso, si ha un vero parallelismo con la narrazione della nascita verginale di Gesù.

La stessa cosa vale per testi provenienti dall’ambiente greco-romano, che si credeva di poter citare come modelli pagani della narrazione del concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo: per l’unione tra Zeus ed Alcmena, dalla quale sarebbe nato Ercole; per quella tra Zeus e Danae, dalla quale sarebbe nato Perseo ecc. La differenza delle concezioni è così profonda che, in effetti, non si può parlare di veri paralleli. Nei racconti dei Vangeli rimangono pienamente conservate l’unicità dell’unico Dio e l’infinita differenza tra Dio e la creatura.

Non esiste alcuna confusione, non c’è alcun semidio.

La Parola creatrice di Dio, da sola, opera qualcosa di nuovo. Gesù, nato da Maria, è totalmente uomo e totalmente Dio, senza confusione e senza divisione, come preciserà il Credo di Calcedonia nell’anno 451. Le narrazioni in Matteo e Luca non sono miti ulteriormente sviluppati.

Secondo la loro concezione di fondo, sono saldamente collocati nella tradizione biblica di Dio Creatore e Redentore.

Quanto al loro contenuto concreto, però, provengono dalla tradizione familiare, sono una tradizione trasmessa che conserva l’accaduto. Vorrei considerare come l’unica vera spiegazione di quei racconti ciò che Joachim Gnilka, riferendosi a Gerhard Delling, esprime sotto forma di domanda: «Il mistero della nascita di Gesù [...] forse è stato premesso al Vangelo in un secondo tempo, o non si dimostra in ciò piuttosto che il mistero era noto?

Solo che non si voleva farne troppe parole e renderlo un avvenimento a portata di mano» (Das Matthäusevangelium I/1, p. 30). Mi sembra normale che solo dopo la morte di Maria il mistero potesse diventare pubblico ed entrare nella comune tradizione del cristianesimo nascente.

Ora poteva essere anche inserito nello sviluppo della dottrina cristologica e collegato con la professione che riconosceva in Gesù il Cristo, il Figlio di Dio - ma non nel senso che da un’idea sarebbe stata sviluppata una narrazione, trasformando un’idea in un fatto, bensì viceversa: l’avvenimento, un fatto ora reso noto, diventava oggetto di riflessione, alla ricerca della sua comprensione.

Dall’insieme della figura di Gesù Cristo cadeva una luce su questo evento e, inversamente, a partire dall’evento si capiva anche più profondamente la logica di Dio.

Il mistero dell’inizio illuminava ciò che seguiva e, inversamente, la fede in Cristo già sviluppata aiutava a comprendere l’inizio, la sua densità di significato. Così si è sviluppata la cristologia. Forse è opportuno menzionare a questo punto un testo che, come un presagio del mistero del parto verginale, ha fatto riflettere la cristianità occidentale fin dai primi tempi.

Penso alla quarta egloga di Virgilio che fa parte delle Bucoliche (poesie pastorali), composte all’incirca quarant’anni prima della nascita di Gesù. In mezzo ai versi giocosi sulla vita di campagna, risuona lì all’improvviso un tono molto diverso: viene annunciato l’avvento di un nuovo grande ordine del mondo a partire da ciò che è «integro» (ab integro). «Iam redit et virgo - già ritorna la vergine.» Una nuova progenie discende dall’alto del cielo. Nasce un Bambino con cui finisce la progenie «di ferro».

Che cosa viene promesso lì? Chi è la vergine? Chi è il bambino di cui si parla? Anche qui - come nel caso di Isaia 7,14 - gli studiosi hanno cercato identificazioni storiche che, però, sono finite altrettanto nel vuoto.


Dunque, che cosa viene detto?

Il quadro immaginativo dell’insieme proviene dall’antica raffigurazione del mondo: sullo sfondo sta la dottrina del ciclo degli eoni e del potere del destino. Ma queste idee antiche acquisiscono un’attualità vivace mediante l’attesa secondo cui sarebbe ormai arrivata l’ora di una grande svolta degli eoni.

Ciò che fino a quel momento era stato soltanto uno schema lontano, all’improvviso si rende presente. Nell’epoca di Augusto, dopo tutti gli sconvolgimenti a causa di guerre e di guerre civili, il Paese è attraversato da un’ondata di speranza: ora dovrebbe finalmente iniziare un grande periodo di pace, dovrebbe spuntare un nuovo ordine del mondo.

Di questa atmosfera di attesa della novità fa parte anche la figura della vergine, immagine della purezza, dell’integrità, della partenza «ab integro». E ne fa parte l’attesa del bambino, del «germoglio divino» (deum suboles). Per questo si può forse dire che la figura della Vergine e quella del Bambino divino fanno, in qualche modo, parte delle immagini primordiali della speranza umana, che emergono in momenti di crisi e di attesa, senza che vi siano in prospettiva figure concrete.

Torniamo ai racconti biblici sulla nascita di Gesù dalla Vergine Maria, che aveva concepito il bambino per opera dello Spirito Santo. Questo, allora, è vero? O forse sono state applicate alle figure di Gesù e di sua Madre idee archetipiche?

Chi legge i racconti biblici e li confronta con le tradizioni affini, delle quali poc’anzi si è parlato brevemente, vede subito la profonda differenza. Non solo il confronto con le idee egizie, di cui abbiamo parlato, ma anche il sogno della speranza, che incontriamo in Virgilio, ci conduce in mondi di carattere molto diverso. In Matteo e Luca non troviamo nulla di una svolta cosmica, nulla di contatti fisici tra Dio e gli uomini: ci viene raccontata una storia molto umile e, tuttavia, proprio per questo, di una grandezza sconvolgente.


È l’obbedienza di Maria ad aprire la porta a Dio. La Parola di Dio, il suo Spirito, crea in lei il Bambino.


Lo crea attraverso la porta della sua obbedienza. Così Gesù è il nuovo Adamo, un nuovo inizio «ab integro» - dalla Vergine che è pienamente a disposizione della volontà di Dio. In questo modo avviene una nuova creazione che, tuttavia, si lega al «sì» libero della persona umana di Maria. Forse si può dire che i sogni segreti e confusi dell’umanità di un nuovo inizio si sono realizzati in questo avvenimento - in una realtà come solo Dio poteva creare.

Quindi, è vero ciò che diciamo nel Credo: «Credo [...] in Gesù Cristo, suo [di Dio] unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine»?

La risposta senza riserve è: sì.

Karl Barth ha fatto notare che nella storia di Gesù ci sono due punti nei quali l’operare di Dio interviene immediatamente nel mondo materiale: la nascita dalla Vergine e la risurrezione dal sepolcro, in cui Gesù non è rimasto e non ha subìto la corruzione. Questi due punti sono uno scandalo per lo spirito moderno.

A Dio viene concesso di operare sulle idee e sui pensieri, nella sfera spirituale - ma non sulla materia. Ciò disturba. Lì non è il suo posto. Ma proprio di questo si tratta: che cioè Dio è Dio, e non si muove soltanto nel mondo delle idee. In questo senso, in ambedue i punti si tratta dello stesso essere-Dio di Dio. È in gioco la domanda: gli appartiene anche la materia?

Naturalmente non si possono attribuire a Dio cose insensate o irragionevoli o in contrasto con la sua creazione.

Ma qui non si tratta di qualcosa di irragionevole e di contraddittorio, bensì proprio di qualcosa di positivo: del potere creatore di Dio, che abbraccia tutto l’essere. Perciò questi due punti - il parto verginale e la reale risurrezione dal sepolcro - sono pietre di paragone per la fede. Se Dio non ha anche potere sulla materia, allora Egli non è Dio. Ma Egli possiede questo potere, e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù Cristo ha inaugurato una nuova creazione. Così, in quanto Creatore, è anche il nostro Redentore. Per questo, il concepimento e la nascita di Gesù dalla Vergine Maria sono un elemento fondamentale della nostra fede e un segnale luminoso di speranza.

 


Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - L’infanzia di Gesù - RIZZOLI


    


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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05/12/2014 13:00


   Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI seconda parte 


SECONDA PARTE,

per la prima parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI prima parte

(ricordiamo anche di cliccare sulle immagini per ingrandirle)

7 dicembre

Finché viviamo in questo mondo, il nostro credere e il nostro amare sono in cammino, e sempre incombe la minaccia che possano inaridirsi.

Ciò è un vero e proprio avvento. Nessuno può dire di sé: io sono definitivamente salvo.

Nel tempo della vita terrena la salvezza non si dà come una grandezza passata, già definita e compiuta, né come un presente stabile e definitivo, bensì solo nella forma della speranza.

La luce di Dio risplende in questo mondo non altrimenti che nei segnali di speranza che la sua bontà ha disposto lungo la nostra via.

Quanto spesso ci rattrista il fatto che noi vorremmo di più, che desidereremmo una presenza piena, completa e indefettibile. Ma in fondo dobbiamo pur ammettere: potrebbe esserci una modalità più umana di redenzione di quella che dice a noi — a noi, che siamo in cammino lungo il divenire del tempo, del mondo e persino di noi stessi — che possiamo sperare? Potrebbe darsi una luce migliore per noi viandanti, di quella che ci dà la libertà di procedere senza timore, perché sappiamo che alla fine della strada c'è la luce dell’amore eterno?

Nella liturgia della Santa Messa, il quarto mercoledì di Avvento ci viene incontro proprio il mistero della speranza. In questo giorno, la Chiesa ce lo dischiude nella figura della madre del Signore, la santa Vergine Maria.

In tutte le settimane d’Avvento, Maria ci appare come la donna che custodisce nel suo seno la speranza del mondo, e così ci precede sul nostro cammino come segno di speranza.

Ella si presenta a noi come quella donna nella quale quanto è umanamente impossibile è diventato, per la misericordia redentrice di Dio, possibile.

E in questo modo ella diviene un segno per tutti noi: perché se dipendesse da noi, dalla fiamma ben misera della nostra buona volontà e dalla pochezza del nostro fare, non riusciremmo a salvarci. Non basterebbe. Resterebbe impossibile. Ma, nella sua misericordia, Dio ha reso possibile l’impossibile. Così che noi abbiamo soltanto bisogno di dire, in tutta umiltà: « Ecco, sono l’ancella del Signore» (cfr. Le 2,37s; Me 10,27). (Vom Sinn des Christseins, pp. 69s)

 

8 dicembre

Maria, la pura ancella del Signore. Il suo messaggio è quello della totale e femminile disponibilità a ricevere.

Ogni giorno, nel « Rorateamt », viene letto il vangelo dell’annunciazione a Maria e della miracolosa concezione del Figlio: « L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea che ha nome Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David, e il nome della vergine era Maria. Entrato da lei, disse: “Ti saluto, piena di grazia...!”» (Lc.1,26-         28).

È un’ora fatale per la storia del mondo; qui, in questo punto, infatti, è incominciata in senso pieno la presenza di Dio tra gli uomini. Qui si è verificato realmente un «avvento».

Ma riflettiamo: quest’ora fatale della storia mondiale è stata, al tempo stesso, una delle sue ore più silenziose e quiete. Un'ora dimenticata, che nessun giornale ha segnalato e della quale nessuna rivista ha fatto o avrebbe fatto menzione, se già allora ci fosse stato qualcosa del genere.

Pertanto, quanto qui ci vien detto è, innanzi tutto, un mistero di silenzio. Ciò che è veramente grande cresce inosservato, e il silenzio è più fruttuoso, a suo tempo, di un ininterrotto attivismo, che troppo facilmente si riduce a un insulso correre a vuoto.

Noi tutti, in quest’epoca di americanizzazione della vita pubblica, siamo ossessionati da una strana irrequietezza, che subodora una perdita di tempo a ogni momento di silenzio e di tranquillità.

Ogni grammo di tempo viene calcolato e ponderato, e così noi dimentichiamo il vero segreto del tempo, il vero segreto della crescita è dell'azione: la quiete.

Anche in campo religioso è così: attendiamo e speriamo tutto dalla nostra opera; con ogni sorta di imprese e di progetti scansiamo, senza accorgercene, quello che è il vero segreto della crescita interiore dinanzi a Dio. Eppure, anche in ambito religioso il ricevere ha un'importanza per lo meno uguale al fare. (Dogma e predicazione, p. 308)

9 dicembre

La corretta devozione mariana garantisce alla fede la convivenza dell’indispensabile ragione con le altrettanto indispensabili « ragioni del cuore », come direbbe Pascal. Per la Chiesa l’uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l’unione di queste due dimensioni. La testa deve riflettere con lucidità ma il cuore deve essere riscaldato: la devozione a Maria [...] assicura alla fede la sua dimensione umana completa.

Per usare le espressioni stesse del Vaticano II, Maria è «figura», «immagine», «modello» della Chiesa.

Allora, guardando a lei, la Chiesa è messa al riparo da quel modello maschilista che la vede come strumento di un programma d'azione socio-politico.

In Maria, sua figura e modello, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre [...]. Se in certe teologie ed ecclesiologie Maria non trova più posto, la ragione è semplice: esse hanno ridotto la fede a un’astrazione.

E un’astrazione non ha bisogno di una madre.

Con il suo destino, che è insieme di vergine e di madre, Maria invece continua a proiettare luce su ciò che il Creatore ha inteso per la donna di ogni tempo, il nostro compreso. Anzi, forse soprattutto il nostro, dove l’essenza stessa della femminilità è minacciata. La sua verginità e la sua maternità radicano il mistero della donna in un destino altissimo da cui non può essere scardinata.

Maria è l’intrepida annunciatrice del Magnificat; ma è anche Colei che rende fecondi il silenzio e il raccoglimento. È Colei che non teme di stare sotto la croce, che è presente alla nascita della Chiesa; ma è anche Colei che, come sottolinea più volte l’evangelista, « serba e medita nel suo cuore » ciò che le avviene intorno.

Creatura del coraggio e dell’obbedienza, ella è (ancora e sempre) un esempio al quale ogni cristiano — uomo e donna — può, deve guardare.

(Rapporto sulla fede, pp. 108s)

 

10     dicembre

La decisione con cui oggi viene contestata e respinta la nascita verginale di Gesù non si capisce partendo dai problemi storici. La ragione principale, che sottende le questioni storiche, è altrove: nella differenza tra la nostra visione del mondo e il messaggio biblico, e nell'idea che quest’ultimo non possa trovare posto in un mondo visto con l’occhio delle scienze naturali.

Una visione del mondo è sempre una sintesi di sapere e di valutazioni [...]. Proprio su questo fatto si basa anche la sua problematicità [...].

Ora, a proposito della visione del mondo e dei suoi presupposti che vorrebbero obbligarci psicologicamente a considerare impossibile la nascita verginale, è chiaro che essa non deriva da sapere, ma da giudizi di valore.Oggi come allora, la nascita verginale è l’improbabile, ma non l’assolutamente impossibile; non c’è prova della sua impossibilità e nessun serio studioso di scienze naturali affermerebbe una cosa del genere [...].

Ora, qui non è in gioco qualcosa di accidentale, bensì piuttosto una delle questioni tra le più fondamentali: Chi era questo Gesù? Chi è o che cos’è l’uomo? E, da ultimo, la questione di tutte le questioni: Chi è, o che cosa è Dio?

Da essa, in definitiva, dipende ancor sempre come vanno le cose per l’uomo: anche in una visione atea del mondo, il problema di Dio è decisivo — in senso negativo — peri il problema dell’uomo.

La testimonianza della nascita di Gesù dalla Vergine Maria non è un angolo idillico di devozione nella struttura della fede neotestamentaria; non è la cappellina privata di due evangelisti, che si potrebbe alla fin fine anche trascurare.

Si tratta del problema di Dio: Dio è, non so dove, è una profondità dell’essere che per dir così dilava ogni cosa, non si sa bene come, oppure Egli è l’agente che ha potenza, che conosce e che ama la sua creazione, le è presente, opera in essa, sempre, anche oggi? [...].

In ultima istanza, il « natus ex Maria virgine » è una proposizione rigorosamente teologica: essa testimonia il Dio che non ha abbandonato a se stessa la creazione. Qui si fondano la speranza, la libertà, la tranquillità e la responsabilità del cristiano. (La figlia di Sion, pp. 54-58)

11 dicembre

La Chiesa ha proclamato i dogmi mariani — prima la verginità perpetua e la maternità divina, e poi, dopo una lunga maturazione e riflessione, il concepimento senza la macchia del peccato originale e l’assunzione al cielo — come atto direttamente funzionale alla fede in Cristo e non, in prima battuta, per devozione verso Maria, sua madre.

Questi dogmi mettono al riparo la fede autentica in Cristo, come vero Dio e vero uomo: due nature in una sola persona. Mettono al riparo anche l’indispensabile tensione escatologica, indicando in Maria assunta il destino immortale che tutti ci attende.

E mettono al riparo pure la fede, oggi minacciata, in Dio creatore che (questo è tra l’altro uno dei significati della più che mai incompresa verità sulla verginità perpetua di Maria) può liberamente intervenire anche sulla materia.

Insomma, come ricorda ancora il concilio, « Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce in certa misura e riverbera i massimi dati della fede» (Lumen gentium, n. 65).

La mariologia della Chiesa suppone il giusto rapporto, la necessaria integrazione tra Bibbia e tradizione.

I quattro dogmi mariani hanno la loro base indispensabile nella sacra Scrittura.

Ma qui vi è come un germe che cresce e dà frutto nella vita calda della tradizione così come si esprime nella liturgia, nell’intuizione del popolo credente e nella riflessione della teologia guidata dal magistero.

Nella sua persona stessa di fanciulla ebrea divenuta madre del Messia, Maria lega insieme in modo vitale e inestricabile antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo, Sinagoga e Chiesa. È come il punto di giunzione senza il quale la fede (come oggi succede) rischia di sbilanciarsi o sull’Antico Testamento o soltanto sul Nuovo. In Maria possiamo invece vivere la sintesi della Scrittura intera. (Rapporto sulla fede, pp. 107ss)

Sia lodato Gesù Cristo +  sempre sia lodato

Fonte:  Conferenze, Omelie, Discorsi del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) raccolta di testi "365 giorni con il Papa" - Ed.paoline 2006

Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

Benedetto XVI spiega il Concepimento del Verbo nei Vangeli

QUI per tornare all'indice dei Testi di Ratzinger Benedetto XVI

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11/12/2014 11:49

  Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI terza parte

 

per la prima parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI prima parte

per la seconda parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI seconda parte

(ricordiamo anche di cliccare sulle immagini per ingrandirle)

 

12 dicembre

Giovanni il Battista e Maria sono le due grandi figure tipiche dell’esistenza umana così come essa si modella in riferimento all'Avvento: perciò essi dominano la liturgia di questo periodo.

Ecco per primo Giovanni il Battista.

Esigente e attivo, egli sta dinanzi a noi come simbolo dell’uomo che sa di avere un compito.

Chiama severamente alla metànoia, al cambiamento della mentalità.

Chi vuol diventare cristiano deve continuamente « cambiare opinione ».

La nostra inclinazione naturale ci porta a voler affermare noi stessi, a rendere pan per focaccia, a porci sempre in mezzo. Chi vuol trovare Dio, deve continuamente convertirsi interiormente, andare controcorrente.

E questo vale per l’intero modo di concepire la vita. Ogni giorno ci imbattiamo nel mondo del visibile: esso ci invade, dai manifesti, dalla radio, nel traffico, in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di pensare che non ci sia altro che questo.

Ma, in realtà, l’invisibile è più grande e vale più di tutto il visibile. Una sola anima — ci dice una meravigliosa espressione di Pascal — vale più di tutto l’universo visibile.

Ma, per sperimentare nella vita questa verità, è necessario convertirsi, capovolgersi per così dire interiormente, superare l’illusione del visibile e farsi sensibili, attenti e delicati nei confronti dell’invisibile; considerarlo più importante di tutto ciò che ci assale così prepotentemente tutti i giorni.

Metanoieite: cambiate modo di pensare, affinché la presenza di Dio nel mondo resti visibile al vostro sguardo; cambiate modo di pensare, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di voi, nel mondo.

Neppure a Giovanni fu risparmiato questo pesante processo del cambiare modo di pensare, del dovere della conversione. Questo è anche il destino del sacerdote, di ogni cristiano che annuncia Cristo: anche noi lo conosciamo e non lo conosciamo!

(Dogma e predicazione, p. 305)

 

13     dicembre

Se finora non si è deciso di rendere pubblico il contenuto del terzo segreto di Fatima, non è perché i papi vogliano nascondere qualcosa di terribile.

Ma da Fatima è stato lanciato un segnale severo, che va contro la faciloneria imperante, un richiamo alla serietà della vita e della storia, ai pericoli che incombono sull'umanità.

È quanto Gesù stesso ricorda assai spesso, non temendo di dire: « Se non vi convertite, tutti perirete» (Le 13,3).

La conversione, e Fatima lo ricorda in pieno, è un'esigenza perenne della vita cristiana. Dovremmo già saperlo da tutta quanta la Scrittura. Il Santo Padre giudica che quel segreto non aggiungerebbe nulla a quanto un cristiano deve sapere dalla rivelazione e, anche, dalle apparizioni mariane approvate dalla Chiesa nei loro contenuti noti, che non fanno che riconfermare l’urgenza di penitenza, di conversione, di perdono, di giudizio.

Pubblicare il « terzo segreto » significherebbe anche esporsi al pericolo di utilizzazioni sensazionaliste del contenuto [...].

Nessuna apparizione è indispensabile alla fede, la rivelazione è terminata con Gesù Cristo, egli stesso è la Rivelazione. Ma non possiamo certo impedire a Dio di parlare a questo nostro tempo, attraverso persone semplici e anche per mezzo di segni straordinari che denuncino l’insufficienza delle culture che ci dominano, marchiate di razionalismo e di positivismo.

Le apparizioni che la Chiesa ha approvato ufficialmente — innanzitutto Lourdes e ancora Fatima — hanno un loro posto preciso nello sviluppo della vita della Chiesa nell'ultimo secolo. Mostrano tra l’altro che la rivelazione — pur essendo unica, conchiusa e dunque non superabile — non è cosa morta, è viva e vitale. (Rapporto sulla fede, pp. 110s)

 

14     dicembre

Tra i significati della parola «Avvento» vi è anche quello di visitatio, che significa di per sé semplicemente «visita», ma che da tempo in molte lingue — tra cui il tedesco e l’italiano — viene reso con vocaboli che propriamente significano «visitazione».

A questo proposito si è compiuta una curiosa oscillazione del nostro pensiero: la parola « visitazione » ha quasi del tutto perduto il contenuto gioioso delle espressioni « visita » e « visitare », e ora noi — non prestando più per niente attenzione al suo significato originario — la intendiamo per lo più nel senso di disgrazie e tribolazioni, che interpretiamo come punizioni di Dio.

A dire il vero, dovrebbe essere esattamente il contrario: la parola « visitazione » dovrebbe aiutarci a discernere che persino nei momenti difficili può nascondersi qualcosa della bellezza dell’Avvento.

Sofferenza e malattia possono essere — allo stesso modo che una grande gioia — qualcosa come un avvento del tutto personale: una visita che Dio fa alla mia vita, volendosi rivolgere proprio a me.

Anche se ci risulta difficile, tuttavia dovremmo per una volta cercare di comprendere i giorni della malattia in questo modo: il Signore ha interrotto per un po’ la mia attività, per riportarmi un momento alla calma e alla tranquillità.

Una visita del Signore: forse la malattia può rivelarci un altro suo volto, quando la consideriamo come un pezzo d’Avvento. Noi non ci ribelliamo a essa solo perché ci fa soffrire, perché lo star fermi e la solitudine ci sono pesanti: ci ribelliamo perché avremmo tante cose importanti da fare e perché essa ci sembra senza senso.

Ma la malattia non è affatto senza senso. Essa riveste una sua grande importanza nell’insieme della vita umana. Può essere il momento di Dio nella nostra vita: il tempo in cui ci apriamo a lui e così impariamo a ritrovare nuovamente noi stessi.(Licht, das uns leuchtet, pp. 13ss)

 

15     dicembre

L’amore si riferisce alla persona come essa è, anche con le sue debolezze. Ma un amore reale, al contrario del breve incanto di un momento, ha a che fare con la verità e si rivolge in tal modo alla verità di questa persona, che può essere anche non sviluppata o nascosta o deformata.

Certamente l’amore include una disponibilità inesauribile al perdono, ma il perdono presuppone il riconoscimento del peccato come peccato. Il perdono è guarigione, mentre l’approvazione del male sarebbe distruzione, sarebbe accettazione della malattia e proprio in tal modo non bontà per l’altro.

Ciò lo si vede subito se consideriamo l’esempio di un tossicodipendente, divenuto prigioniero del suo vizio.

Chi realmente ama non segue la distorta volontà di questo malato, il suo desiderio di autoavvelenamento, ma lavora per la sua vera felicità: farà di tutto per guarire l’amato dalla sua malattia, anche se costa dolore e anche contro la cieca volontà del malato.

Un altro esempio. In un sistema totalitario un tale ha salvato la sua pelle e forse anche la sua posizione, ma al prezzo del tradimento di un amico e del tradimento delle sue convinzioni, della sua anima. Il vero amore è pronto a comprendere, ma non ad approvare, dichiarando buono ciò che non si può approvare e non è buono.

Il perdono ha una sua strada interiore: perdono è guarigione, cioè esige il ritorno alla verità. Quando non lo fa, il perdono diventa un’approvazione dell’autodistruzione, si mette in contraddizione con la verità e in tal modo con l’amore. (Guardare Cristo, p. 75)

 

16     dicembre

Oggi è quasi un punto d’onore per chi voglia stimarsi buon predicatore o buon teologo sottoporre a critica più o meno pungente lo stile della nostra convenzionale celebrazione del Natale e, al placido e soddisfatto benessere dell’odierna festività, contrapporre a tinte forti la dura realtà del primo Natale.

La solennità del Natale, sentiamo dire, sarebbe stata deplorevolmente commercializzata, degenerando a rumoroso affare di compravendita e guastando la sua valenza religiosa [...].

Indubbiamente questa critica ha buone ragioni di esistere, sebbene non consideri forse abbastanza che, dietro la facciata del commercio e del sentimentalismo, non è andata totalmente perduta la nostalgia per ciò che di originario e di grande vi è nel Natale; anzi, la cornice sentimentale rappresenta spesso il rifugio nel quale si nasconde un sentimento grande e puro, trop-po timido per offrirsi allo sguardo altrui [...].

Dietro, però, a quel febbrile commercio che ci disgusta e che, in effetti, è così inadatto a ricordare il timido mistero di Betlemme — il mistero del Dio che si è fatto bisognoso per noi (cfr. 2Cor 8,9) — non vi è forse e pur sempre, come punto di partenza, il pensiero e l'intento del donare, e quindi quella profondissima esigenza dell’amore che costringe a comunicare, a uscire da se stessi e andare agli altri?

E con questa idea della donazione non ci troviamo forse già nel cuore del mistero del Natale?

La preghiera sulle offerte della Messa della vigilia di Natale chiede a Dio che noi riusciamo a ricevere con gioia i doni eterni, che ci giungono dalla celebrazione della nascita di Cristo.

Ciò àncora profondamente l’intenzione del donare nel nucleo della liturgia ecclesiale e richiama così alla nostra coscienza il gesto originario di quel dono che è il Natale: in questa Notte Santa Dio stesso ha voluto farsi dono per gli uomini, ha consegnato se stesso a noi.

Il vero dono natalizio all’umanità, alla storia, a ciascuno di noi è Gesù Cristo stesso. Persino chi non crede che egli sia il Dio incarnato dovrà ammettere che, di generazione in generazione, pure egli ha arricchito e realizzato uomini.(Dogma e predicazione, pp. 311ss)

 

17     dicembre

Nella Messa della vigilia di Natale, si eleva il canto del Salmo 24 (23), che celebra il Signore come re che viene: « Alzate, o porte, i vostri frontali, alzateli ancora, o porte antichissime, ed entri il re della gloria » (Sal. 24 [23];7; offertorio).

In origine quest'inno venne cantato quando l’arca santa fu portata nel tempio di Gerusalemme; forse apparteneva a una liturgia, nella quale le porte del tempio erano simbolicamente invitate ad aprirsi al re, a Dio.

Nella liturgia di Natale, l’evento di Betlemme viene visto come questo solenne ingresso del re, e il mondo stesso, tutto l’universo, che è il suo santuario, viene invitato a spalancare le sue porte, per lasciare entrare il suo Creatore. L’antifona d’ingresso e il canto al vangelo riprendono la potente promessa di Mosè, con la quale egli annunciava al popolo, che mormorava, il prodigio della manna nel deserto:

« Questa sera conoscerete che il Signore vi ha tratti fuori della terra d’Egitto e domattina vedrete la gloria del Signore» (Es 16,6s).

Analogamente, l’evento di Betlemme non è un commovente idillio familiare, ma una svolta storica che abbraccia cielo e terra: Dio non è più separato da noi dalla cortina di ferro della sua inviolabile trascendenza, egli ha oltrepassato il limite, per essere uno di noi.

D’ora innanzi, egli incontra me stesso nel mio prossimo e un’adorazione che dimenticasse il prossimo trascurerebbe anche Dio, che ha assunto volto umano. Pertanto, se ripensassimo fino in fondo questo concetto, ci accorgeremmo che, dietro la minimizzata felicità per Dio che si è fatto bambino, si trova una grande verità cristiana, che in effetti ci introduce nel vero e proprio nucleo centrale del mistero natalizio.

Si tratta del paradosso per cui la gloria di Dio non ha voluto manifestarsi nel trionfo di un sovrano, che assoggetta con potenza il mondo, ma nella povertà di un bambino che, ignorato dalla grande società, viene al mondo in una stalla. L’impotenza di un bambino è diventata l’espressione vera dell’onnipotenza di Dio, che non adopera altro potere se non quello della potenza silenziosa della verità e dell'amore. La bontà salvifica di Dio ha voluto venirci incontro nell’indifesa impotenza di un fanciullo.

E in effetti com'è consolante, in mezzo a tutto l’esibizionismo dei poteri del mondo, vedere questa calma serena di Dio e sperimentare così la sicurezza della sua potenza, che alla fine sarà superiore a tutte le altre potenze e che sopravviverà a tutti i chiassosi trionfi del mondo. Quale libertà deriva da un simile sapere e quale umanità vi è in esso! (Dogma e predicazione, pp. 313s)

 

18     dicembre

È purtroppo vero che per molti la religione si è dissolta in uno stato d’animo dietro al quale non vi è più alcuna realtà, perché è spenta la fede dalla quale era sgorgato un giorno quel sentimento.

Ma, per un certo aspetto, forse è molto più pericolosa ancora la condizione di coloro che si ritengono dei buoni credenti, ma che limitano la loro religione all’ambito del sentimento e non le permettono intromissione alcuna nel sistema della vita quotidiana, dove essi si comportano solo ed esclusivamente secondo il principio del loro utile personale.

È chiaro che una condotta del genere rappresenta soltanto una caricatura di ciò che la fede è in verità; l’inaudito realismo dell’amore divino, di cui parla il Natale — l’agire di Dio non si accontenta di parole, ma assume su di sé il bisogno e il peso della vita umana —         ci dovrebbe di anno in anno stimolare a interrogarci sul realismo della nostra fede e a cercare di andare oltre il puro sentimentalismo dell’emozione.

Una volta riconosciuto questo, dovrà essere facile anche liberarci da un’ingiusta diffamazione del sentimento..

Ancora nella Messa della vigilia di Natale troviamo un’espressione che ci deve far riflettere. Nella preghiera conclusiva, i fedeli chiedono a Dio che conceda loro di respirare per la celebrazione della nascita del Figlio suo. In rapporto a che cosa, e in che senso essi vogliano respirare e sentirsi sollevati non è specificato e così noi siamo liberi di prendere la parola come suona, sotto il profilo semplicemente e più completamente umano.

La festa ci deve far respirare. Certo, così come oggigiorno l’abbiamo colmala di cose da fare, essa piuttosto ci toglie il respiro e ci soffoca completamente con i suoi impegni prefissati. Ma, proprio in questo caso, ci viene detto che la festa ci è data per trovare un po’ di tranquillità e di gioia: dobbiamo accogliere come dono di Dio e senza timore il bel sentimento di festività offerto da questo giorno.

Forse, in quel respirare, ci toccherà persino di provare qualcosa del respiro dell’amore divino, della pace santa, della quale il Natale ci fa dono. Di conseguenza, a coloro che ritengono di non saper più credere, non dovremmo voler togliere quel sentimento che è rimasto forse come un'ultima risonanza della loro fede e che li fa partecipare a quel respirare della Notte Santa, per il quale arriva l’alito della pace divina. Dovremmo piuttosto esser grati che sia loro restato un ultimo frammento del dono divino del Natale, e dovremmo cercare di celebrare con tutti loro un Natale benedetto. (Dogma e predicazione, pp. 314s) 

 

19  dicembre

«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Le 3,6; Is 40,5).

Qui viene alla luce fin dal principio la sottolineatura particolare che Luca ha voluto porre: la luce di Gesù risplende per tutti i popoli; la sua salvezza è essenzialmente destinata all'universo intero e a tutti gli uomini, e perciò essa è sempre presente in ogni singolo individuo ma sempre con l'accento sul «per», cioè come destinata a essere comunicata ad altri.

Si possiede questo Dio solo se lo si possiede con gli altri; si parla con lui, soltanto quando lo si nomina Padre « nostro » e lo si fa nel noi di tutti i figli di Dio.

Gesù non appartiene solo a un popolo o a un'associazione, quanto piuttosto alla ecumene, cui si fa riferimento nell'accenno al mondo dell'impero romano. La fede è una strada aperta a tutti i popoli.

Per questo il tempo di Gesù, il tempo della Chiesa sono il tempo della missione. Noi siamo credenti al fianco di Gesù soltanto quando crediamo e viviamo in modo missionario: quando vogliamo che ogni uomo veda la salvezza di Dio.

Così questa parola di promessa e di gioia è anche una domanda rivolta a noi, che rende visibili il compito e il senso dell'Avvento. Solo quando tutti gli uomini lo vedranno, la venuta di Dio sarà compiuta; poiché potranno esserci « i nuovi cieli e la terra nuova» soltanto se ci saranno per tutti.

Quest'annuncio perciò vuole allargare ininterrottamente il cuore della cristianità, il nostro proprio cuore.

Recitiamo dunque bene l'invocazione che chiede la sua venuta — Adveniat regnum tuum — e che il Signore stesso ha posto sulle nostre labbra, quando da essa ci lasciamo aprire a tutti i figli di Dio: « ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». (Gottes Angesicht suchen, pp. 59s)

 

Sia lodato Gesù Cristo +  sempre sia lodato

 

Fonte:  Conferenze, Omelie, Discorsi del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) raccolta di testi "365 giorni con il Papa" - Ed.paoline 2006

Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

Benedetto XVI spiega il Concepimento del Verbo nei Vangeli

 

QUI per tornare all'indice dei Testi di Ratzinger Benedetto XVI

 

***


    


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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11/12/2014 20:04


Novena di Natale
Rialzati, per te dio si È fatto uomo

Sant’Agostino, Discorsi, 185,1

 

 

1° giorno - 16 dicembre
2° giorno - 17 dicembre
3° giorno - 18 dicembre
4° giorno - 19 dicembre
5° giorno - 20 dicembre
6° giorno - 21 dicembre
7° giorno - 22 dicembre
8° giorno - 23 dicembre
9° giorno - 24 dicembre

Tutti i canti presenti nella Novena sono tratti
dal libretto "Nella Casa del Padre"

 

 

 

Brani tratti dal Magistero
dell'emerito Papa Benedetto XVI

per la Novena in comunità

 

1° Giorno - IL CIELO E LA TERRA

La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio, che ottiene nuovamente la sua vera luce e, nella sintonia tra volere umano e volere divino, nell’unificazione dell’alto col basso, recupera la sua bellezza, la sua dignità.
Così Natale è una festa della creazione ricostituita. A partire da questo contesto i Padri interpretano il canto degli Angeli nella Notte santa: esso è l’espressione della gioia per il fatto che l’alto e il basso, cielo e terra si trovano nuovamente uniti; che l’uomo è di nuovo unito a Dio. Secondo i Padri fa parte del canto natalizio degli Angeli che ora Angeli e uomini possano cantare insieme e in questo modo la bellezza del cosmo si esprima nella bellezza del canto di lode. Il canto liturgico – sempre secondo i Padri  – possiede una sua dignità particolare per il fatto che è un cantare insieme ai cori celesti. È l’incontro con Gesù Cristo che ci rende capaci di sentire il canto degli Angeli, creando così la vera musica che decade quando perdiamo questo con-cantare e con-sentire. Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto.

(Omelia nella Notte di Natale 2007)

 

 

2° Giorno - LA MANGIATOIA

In alcune rappresentazioni natalizie del tardo Medioevo e dell’inizio del tempo moderno la stalla appare come un palazzo un po’ fatiscente. Se ne può ancora riconoscere la grandezza di una volta, ma ora è andato in rovina, le mura sono diroccate – è diventato, appunto, una stalla. Pur non avendo nessuna base storica, questa interpretazione, nel suo modo metaforico, esprime tuttavia qualcosa della verità che si nasconde nel mistero del Natale. Il trono di Davide, al quale era promessa una durata eterna, è vuoto. Altri dominano sulla Terra santa. Giuseppe, il discendente di Davide, è un semplice artigiano; il palazzo, di fatto, è diventato una capanna. Davide stesso aveva cominciato da pastore. Nella stalla di Betlemme, proprio lì dove era stato il punto di partenza, ricomincia la regalità davidica in modo nuovo – in quel bimbo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Il nuovo trono dal quale questo Davide attirerà il mondo a sé è la Croce. Il nuovo trono – la Croce – corrisponde al nuovo inizio nella stalla. Ma proprio così viene costruito il vero palazzo davidico, la vera regalità. Questo nuovo palazzo è così diverso da come gli uomini immaginano un palazzo e il potere regale. Esso è la comunità di quanti si lasciano attrarre dall’amore di Cristo e con Lui diventano un corpo solo, un’umanità nuova. Il potere che proviene dalla Croce, il potere della bontà che si dona – è questa la vera regalità, la stalla diviene palazzo – proprio a partire da questo inizio, Gesù edifica la grande nuova comunità, la cui parola-chiave cantano gli Angeli nell’ora della sua nascita: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» – uomini che depongono la loro volontà nella sua, diventando così uomini di Dio, uomini nuovi, mondo nuovo. (Omelia nella Notte di Natale 2007)

 

3° Giorno - IL BUE E L’ASINO

Il bue e l’asino non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento. In Isaia 1,3 leggiamo infatti: «il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi e asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore. Nelle rappresentazioni medievali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino. Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.(Immagini di speranza)

 

 

4° Giorno - GIUSEPPE

[Quello di san Giuseppe] un silenzio permeato di contemplazione del mistero di Dio, in atteggiamento di totale disponibilità ai voleri divini. In altre parole, il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore, e che guida ogni suo pensiero e ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con gli avvenimenti della vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal “padre” Giuseppe Gesù abbia appreso – sul piano umano – quella robusta interiorità che è presupposto dell’autentica giustizia, la “giustizia superiore”, che egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli. (Angelus della IV Domenica di Avvento 2005)

 

5° Giorno - MARIA

Maria risponde all’Angelo: «Sono la Serva del Signore, sia fatto come hai detto tu». Maria anticipa così la terza invocazione del Padre Nostro: «Sia fatta la tua volontà». Dice “sì” alla volontà grande di Dio, una volontà apparentemente troppo grande per un essere umano; Maria dice “sì” a questa volontà divina, si pone dentro questa volontà, inserisce tutta la sua esistenza con un grande “sì” nella volontà di Dio e così apre la porta del mondo a Dio. Adamo ed Eva con il loro “no” alla volontà di Dio avevano chiuso questa porta. «Sia fatta la volontà di Dio»: Maria ci invita a dire anche noi questo “sì” che appare a volte così difficile. Siamo tentati di preferire la nostra volontà, ma Ella ci dice: “Abbi coraggio, dì anche tu: ‘Sia fatta la tua volontà’, perché questa volontà è buona. Inizialmente può apparire come un peso quasi insopportabile, un giogo che non è possibile portare; ma in realtà non è un peso la volontà di Dio, la volontà di Dio ci dona ali per volare in alto, e cosi possiamo osare con Maria anche noi di aprire a Dio la porta della nostra vita, le porte di questo mondo, dicendo “sì” alla Sua volontà, nella consapevolezza che questa volontà è il vero bene e ci guida alla vera felicità. (Omelia nella IV Domenica di Avvento 2005)

 

 

6° Giorno - I PASTORI

Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l’annuncio dell’angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità, disponibilità ad ascoltare, disponibilità a incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un’idea precisa. Nel loro animo aperto all’attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. (Omelia nella Notte di Natale 2005)

 

7° Giorno - GLI ANGELI

Narra il Vangelo che la moltitudine angelica cantava: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama». Gli angeli annunciano ai pastori che la nascita di Gesù “è” gloria per Dio nel più alto dei cieli; ed “è” pace sulla terra per gli uomini che egli ama. Opportunamente, pertanto, si usa porre sulla grotta queste parole angeliche a spiegazione del mistero del Natale, che nel presepe si è compiuto. Il termine “gloria” (doxa) indica lo splendore di Dio che suscita la riconoscente lode delle creature… A questo punto l’annuncio degli angeli suona per noi anche come un invito: “sia” gloria a Dio nel più alto dei cieli, “sia” pace in terra agli uomini che egli ama. L’unico modo di glorificare Dio e di costruire la pace nel mondo consiste nell’umile e fiduciosa accoglienza del dono di Natale: l’amore. Il canto degli angeli può allora diventare una preghiera da ripetere spesso. (Udienza Generale 27 dicembre 2006)

 

 

 

8° Giorno - LA STELLA

Così quella luce, pur modesta nel suo apparire sulla terra, si proiettava con potenza nei cieli: la nascita del Re dei Giudei era stata annunciata dal sorgere di una stella, visibile da molto lontano. Fu questa la testimonianza di “alcuni Magi”, giunti da oriente a Gerusalemme poco dopo la nascita di Gesù, al tempo del re Erode (cfr. Mt 2,1-2). Ancora una volta si richiamano e si rispondono nel linguaggio degli astri. «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17), aveva annunciato il veggente pagano Balaam, chiamato a maledire il popolo d’Israele, e che invece lo benedisse perché – gli rivelò Dio – «quel popolo è benedetto” (Nm 22,12). Cromazio di Aquileia, nel suo Commento al Vangelo di Matteo, mettendo in relazione Balaam con i Magi; scrive: «Quegli profetizzò che Cristo sarebbe venuto; costoro lo scorsero con gli occhi della fede». E aggiunge un’osservazione importante: «La stella era scorta da tutti, ma non tutti ne compresero il senso. Allo stesso modo il Signore e Salvatore nostro è nato per tutti, ma non tutti lo hanno accolto» (ivi, 4,1-2). Appare qui il significato, nella prospettiva storica, del simbolo della luce applicato alla nascita di Cristo: esso esprime la speciale benedizione di Dio sulla discendenza di Abramo, destinata ad estendersi a tutti i popoli della terra. (Omelia nella Epifania 2008)

 

9° Giorno - BAMBINO GESÙ

Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino – inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente a entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà – impariamo a vivere con lui e a praticare con Lui anche l’umiltà della rinuncia che fa parte dell’essenza dell’amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo... Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti e abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati, vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro è il bambino di Betlemme che ci chiama in causa; ci chiama in causa il Dio che si è fatto piccolo. (Omelia nella notte di Natale 2006)




   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/12/2014 10:30


   Ratzinger spiega bue e asinello nel Presepio

 

(clicca sull'immagine per ingrandirla)

"Il bue e l’asino del presepe non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento.

In Isaia leggiamo: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. 

I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.

Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino.

Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.

Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo - cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.

Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?

Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è cieca?

Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale.

Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?

Orbene, il primo a non riconoscere fu Erode.

Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione(Mt 2,3).

A non riconoscere fu poi “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).

A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” - se paragonati con queste persone rinomate - i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è Lui, non abitano le persone raffinate, quelle che si sentono sapienti, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.

 

E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo?

Non ci perdiamo anche noi, troppo spesso, in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di Lui?

Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare il Bambino?

In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda:il mio popolo non comprende: comprendi tu la voce del tuo Signore?

Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta San Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di San Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla Messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia."

(Joseph Ratzinger, "Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa")

 

Ricordiamo, qui, una raccolta di testi per l'Avvento di Ratzinger-Benedetto XVI

***



 
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/12/2014 16:53





(cliccare sulle immagini per ingrandirle) 

Presentazione

Nel paradosso dell'Incarnazione, il Santo Padre Benedetto XVI, scorge un Dio che si è dato un volto umano, quello di Gesù, indicando così concretamente e praticamente a tutti che la ricerca di Dio non può approdare a un Dio sconosciuto, inventato o solo pensato, ma deve giungere a un Dio che ha mostrato se stesso e il suo volto in Gesù (cfr. Discorso, 6.4.06).
Anche noi vogliamo approdare al Dio "dal volto umano", quello assunto dal Figlio Gesù Cristo e che ha i connotati umani dell'Immacolata Vergine Maria, la Sua Santissima Madre.
Non vogliamo un Dio a "nostra immagine" e proprio per questo vogliamo lasciarci guidare dal più grande teologo vivente del nostro tempo, il Pontefice Benedetto XVI, un grande ed umile Dottore della Chiesa, attraverso il suo Magistero petrino.

« Vogliamo vedere Gesù » dicono alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per la Pasqua (cfr. Gv 12,20-22), lo stesso che volevano i Magi quando si misero in viaggio per adorarlo, salvo poi dover constatare che il nuovo Re si differenziava molto dalla loro attesa (Omelia, 20.8.05) e che quel volto che avevano cercato era diverso da come se lo aspettavano: "Nel Bambino di Betlemme Dio si è rivelato nell'umiltà della «forma umana », « nella condizione di servo », anzi di crocifisso" (Omelia, 6.1.06).
Essi dovevano vivere in prima persona il paradosso cristiano e scorgere proprio in questo nascondimento la più eloquente manifestazione di Dio.
Essi dovevano farsi una nuova idea di Dio e così anche una nuova opinione di se stessi.

Il Dio della mangiatoia insegna a loro e a noi che dobbiamo imparare a servire piuttosto che a farci servire, a fare dono di noi stessi — un dono minore non basta per questo Re —; che dobbiamo imparare che il potere si esercita non con la forza — a Gesù nell'Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo — ma nella verità, nella bontà, nel perdono, nella misericordia; questo Dio ci insegna che dobbiamo imparare a perdere noi stessi e così a trovare noi stessi.
Sono queste le stesse risposte che Gesù dà a quei Greci che volevano vederlo: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25).

Il Vangelo non ci dice se quei pellegrini le hanno ascoltate oppure se ne siano andati rattristati senza essere riusciti « a vedere Gesù ».
Diversamente accade nel mistero del Natale: la Madonna infatti col suo « sì », con la sua scelta di fare la volontà di Dio, col suo donarsi incondizionato al Signore ci mostra Gesù prima di darlo alla luce, rivelando il volto di una umanità nuova. Sant'Agostino dice che Maria «prima di concepire il Signore nel corpo, lo aveva già concepito nell'anima», in lei Dio imprime la propria immagine, l'immagine di Colui che rinuncia al suo splendore divino per farsi piccolo perché noi possiamo trovarlo e amarlo e così, dice papa Benedetto, Ella diventa la figura anticipata e il ritratto permanente del Figlio (Omelia, 8.12.05).

Il tempo di Avvento dice ad ognuno di noi che il Signore desidera sempre venire attraverso di noi (Omelia, 26.11.5), come a Maria Egli ci chiede se siamo disposti a dargli la nostra carne, il nostro tempo, la nostra esistenza. Il Signore bussa alla porta del nostro cuore, cerca una dimora vivente, la nostra vita personale (Omelia, 26.11.05).
Perciò, sorretti da questa speranza, che caratterizza il clima in cui si compie la venuta del Signore, che il Padre conceda a noi, che siamo terra riarsa, per mezzo dello Spirito Santo, il dono di diventare terra feconda per una lieta maternità di grazia, chiediamo anche noi al Signore in questo tempo di preparazione al Natale quella grazia generatrice che ci fa non solo accogliere Gesù nella nostra anima e nella nostra vita: "non solo portarlo nel cuore, ma portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi" (Catechesi, 15.2.06).

Parti da dirsi ogni giorno:

+ Deus, in adiutòrium meum intende. Domine, ad adiuvandum me festina.
Dio, volgiti in mio aiuto. Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.
Amen.

C: La grazia e la pace di Cristo, Figlio di Dio e della Vergine Maria, sia con tutti voi.
A: E con il tuo spirito.

Canto delle « Profezie »

(Nota: Tutte le strofe dal n.1 al n.7 devono essere recitate o cantate ogni giorno dal 16° fino al 23 dicembre; la Vigilia di Natale, il 24 dicembre, si aggiunge la strofa n. 8)

(in latino)

Responso: Regem venturum Dominum, venite, adoremus.
(Il responsorio va recitato o cantato anche alla fine di ogni strofa)

1. Jucundare, filia Sion, et exulta satis, filia Jerusalem.
Ecce Dominus veniet, et erit in die illa lux magna, et stillabunt montes dulcedinem, et colles fluent lac et mel; quia veniet Propheta magnus, et ipse renovabit Jerusalem.

2. Ecce veniet Deus et homo de domo David sedere in throno, et videbitis et gaudebit cor vestrum.

3. Ecce veniet Dominus protector noster, Sanctus Israel, coronam regni habens in capite suo: et dominabitur a mari usque ad mare, et a flumine usque ad terminos orbis terrarum.

4. Ecce apparebit Dominus, et non mentietur: si mora fecerit, expecta eum, quia veniet, et non tardabit.

5. Descendet Dominus sicut plùvia in vellus, orietur in diebus eius iustitia et abundantia pacis: et adorabunt eum omnes reges terrae, omnes gentes servient ei.

6. Nascetur nobis parvulus et vocabitur Deus fortis; ipse sedebit super thronum David patris sui, et imperabit; cuius potestas super humerum eius.

7. Bethlehem, civitas Dei summi, ex te exiet Dominator Israel, et egressus eius sicut a principio dierum aetemitatis, et magnificebitur in medio universae terrae; et pax erit in terra nostra dum venerit.

Alla vigilia di Natale si aggiunge

8. Crastina die delebitur iniquitas terrae, et regnabit super nos Salvator mundi.

Responso: Regem venturum Dominum, venite, adoremus.
Assemblea: Prope est iam Dominus: venite, adorémus.

***
(in italiano)

Responso: Ecco il Signore viene, venite adoriamo.
(Il responsorio va recitato o cantato alla fine di ogni strofa)

1. Rallégrati, popolo di Dio, ed esulta di gioia, città di Sion: ecco verrà il Signore e ci sarà grande luce in quel giorno e i monti stilleranno dolcezza, scorrerà latte e miele tra i colli perché verrà il grande profeta ed egli rinnoverà Gerusalemme.

2. Ecco, verrà il Signore Dio, un uomo della casa di Davide salirà sul trono; voi lo vedrete ed esulterà il vostro cuore.

3. Ecco, verrà il Signore, nostra difesa, il Santo d'Israele con la corona regale sul capo; il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume fino agli ultimi confini della terra.

4. Ecco apparire il Signore: non mancherà alla parola data; se ancor non giunge, ravviva l'attesa, poiché certo verrà e non potrà tardare.

5. Scenderà il Signore dal cielo come rugiada sul vello: nei suoi giorni fiorirà la giustizia e abbonderà la pace; lo adoreranno i potenti del mondo e lo serviranno tutte le nazioni della terra.

6. Nascerà per noi un bambino e sarà chiamato « Dio forte »; siederà sul trono di Davide suo padre e sarà nostro sovrano: ed avrà sulle spalle la potestà regale.

7. Betlemme, città dell'Altissimo, da te uscirà il dominatore d'Israele; nascerà nel tempo, egli, l'Eterno e nell'universo sarà glorificato: quando egli verrà fra noi, ci farà dono della pace.

Alla vigilia di Natale si aggiunge

8. Domani sarà sconfitto il male della terra e regnerà su noi il Salvatore del mondo.

Responso: Ecco il Signore viene, venite adoriamo.
Assemblea: Signore è vicino, venite adoriamo.

***
Al termine della Preghiera e delle Letture
Cantico della Beata Vergine (Magnificat) Lc 1, 46-55

L'anima mia magnifica il Signore * e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l'umiltà della sua serva. * D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente * e Santo è il suo nome:
di generazione in generazione la sua misericordia * si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, * ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni, * ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati, * ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, * ricordandosi della sua misericordia,
come aveva promesso ai nostri padri, * ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

in latino

Magníficat * ánima mea Dóminum, et exsultávit spíritus meus * in Deo salutári meo;
quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ, * ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes.
Quia fecit mihi magna, qui potens est, * et sanctum nomen eius,
et misericórdia eius a progénie in progénies * timéntibus eum.
Fecit poténtiam in brácchio suo, * dispérsit supérbos mente cordis sui
depósuit poténtes de sede, * et exaltávit húmiles,
esuriéntes implévit bonis, * et dívites dimísit inánes.
Suscépit Israel, púerum suum, * recordátus misericórdiæ suæ
sicut locútus est ad patres nostros, * Abraham et sémini eius in sæcula.

 

NOVENA DI NATALE: 1° GIORNO LA VENUTA DEL SIGNORE

16     dicembre

Liturgia della parola: Sir 48,1-4.9-11; Sal. 79; Mt 17, 10-13

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Benedetto XVI ci dice che:

"Come nella storia dell'umanità vi è al centro il primo avvento di Cristo e alla fine il suo ritorno glorioso, così ogni esistenza personale è chiamata a misurarsi con lui — in modo misterioso e multiforme — durante il pellegrinaggio terreno, per essere trovata « in lui » al momento del suo ritorno" (Omelia, 26.11.05).

La domanda su Elia

"Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». Ed egli rispose: « Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro ». Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista..." (Mt.17,10-13)

Con Benedetto XVI meditiamo:

"Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia? (Mt 17,10-13)

Dobbiamo domandarci: che cosa vuol dire venuta dal Signore? In greco è « parusia », nel latino « adventus »: « avvento », « venuta ». Che cos'è questa venuta? Ci coinvolge oppure no?... Questa venuta è singolare: «la» venuta del Signore. E tuttavia non c'è soltanto l'ultima venuta alla fine dei tempi: in un certo senso il Signore desidera sempre venire attraverso di noi. E bussa alla porta del nostro cuore: sei disponibile a darmi la tua carne, il tuo tempo, la tua vita? E' questa la voce del Signore, che vuole entrare anche nel nostro tempo, vuole entrare nella vita umana tramite noi. Egli cerca anche una dimora vivente, la nostra vita personale. Ecco la venuta del Signore. Questo vogliamo di nuovo imparare nel tempo dell'Avvento: Il Signore possa venire anche tramite noi" (Omelia, 26.11.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto e ascoltato)

Antifona al Magnificat del 1° giorno

[forma classica latina e italiana come preferite]

- Ecce Rex veniet, Dominus terrae, et ipse auferet iugum captivitatis nostrae.

- Ecco, verrà il Re, Signore della terra, che toglierà il giogo della nostra schiavitù.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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NOVENA DI NATALE: 2° GIORNO UN DIO DAL VOLTO UMANO

17     dicembre

Liturgia della parola: Sof 3,14-18a; Cant. Is 12; Fil 4,4-7; Lc. 3,10-18

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Essere discepoli di Giovanni Battista vuol dire essere uomini che cercano, che condividono la speranza d'Israele, che vogliono conoscere più da vicino la parola del Signore, la realtà del Signore presente; vuol dire essere anche noi uomini di fede e di speranza" (cfr. Catechesi, 14.6.06).

La predicazione di Giovanni Battista

Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». (..) « E noi che dobbiamo fare? ». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». (..) Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile ». Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

Con Benedetto XVI meditiamo:

"Annunziava al popolo la buona novella (Lc. 3, 10-18)

Il Nuovo Testamento è veramente «Vangelo», la « Buona Notizia » che ci porta gioia. Dio non è lontano da noi, sconosciuto, enigmatico, forse pericoloso. Dio è vicino a noi, così vicino che si fa bambino, e noi possiamo dare del « tu » a questo Dio... C'è il vero Dio e questo vero Dio è buono, ci ama, ci conosce, è con noi, con noi fino al punto di essersi fatto carne! Questa è la grande gioia che il cristianesimo annuncia. Conoscere questo Dio è veramente la «buona notizia», una parola di redenzione" (Omelia, 18.12.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 2° giorno

O Sapientia, quae ex ore Altissimi prodisti, attingens a fine usque ad finem, fortiter suaviterque disponens omnia: veni ad docendum nos viam prudentiae.

O Sapienza, che esci dalla bocca dell'Altissimo, ti estendi ai confini del mondo, e tutto disponi con soavità e con forza: vieni, insegnaci la via della saggezza.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

 

NOVENA DI NATALE: 3° GIORNO IN SILENZIO

18     dicembre

Liturgia della parola: Ger 23,5-8; Sal. 71; Mt 1,18-24

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"La grandezza di san Giuseppe, al pari di quella di Maria, risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell'umiltà e nel nascondimento della casa di Nazaret. Del resto, Dio stesso, nella Persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questa via e questo stile nella sua esistenza terrena" (Angelus, 19.3.06).

Il sogno di Giuseppe

"Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: « Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati ». Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa".

Con Benedetto XVI meditiamo:

"Giuseppe, figlio di Davide, non temere (Mt 1,18-24) Il silenzio di san Giuseppe non manifesta un vuoto interiore, ma, al contrario, la pienezza di fede che egli porta nel cuore e che guida ogni sua azione. Un silenzio grazie al quale Giuseppe, all'unisono con Maria, custodisce la Parola di Dio, conosciuta attraverso le Sacre Scritture, confrontandola continuamente con la vita di Gesù; un silenzio intessuto di preghiera costante, preghiera di benedizione del Signore, di adorazione della sua santa volontà e di affidamento senza riserve alla sua provvidenza. Non si esagera se si pensa che proprio dal « padre » Giuseppe Gesù abbia appreso — sul piano umano — quella robusta interiorità che è presupposto dell'autentica giustizia, la « giustizia superiore », che Egli un giorno insegnerà ai suoi discepoli (cfr. Mt 5,20). Lasciamoci « contagiare » dal silenzio di san Giuseppe! Ne abbiamo tanto bisogno in un mondo spesso troppo rumoroso, che non favorisce il raccoglimento e l'ascolto della voce di Dio" (Angelus, 18.12.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 3° giorno

O Adonai, et Dux domus Israel, qui Moysi in igne flammae rubi apparuisti et ei in Sina legem dedisti: veni ad redimendum nos in brachio extento.

O Signore, guida della casa d'Israele che sei apparso a Mosè nel fuoco del roveto, e sul monte Sinai gli hai dato la legge: vieni a liberarci con braccio potente.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

 

NOVENA DI NATALE: 4° GIORNO CREDERE

19     dicembre

Liturgia della parola: Gdc 13,2-7.24-25a; Sal. 70; Lc. 1,5-25

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Dio si nasconde nel mistero: pretendere di comprenderLo significherebbe volerlo circoscrivere nei nostri concetti e nel nostro sapere e così irrimediabilmente perderlo. Mediante la fede, invece, possiamo aprirci un varco attraverso i concetti, perfino quelli teologici, e possiamo «toccare» il Dio vivente. E Dio, una volta toccato, ci trasmette immediatamente la sua forza (Discorso, 26.5.06).

L'annunzio della nascita di Giovanni Battista (Lc. 1,5-25)

Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta. Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni. Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso. Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso. Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso. Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore. Ma l'angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio. Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto». Zaccaria disse all'angelo: « Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni ». L'angelo gli rispose: «Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio. Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo ». Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio. Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto. Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa. Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva: « Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini ».

Con Benedetto XVI meditiamo:

"Ed ecco sarai muto... perché non hai creduto alle mie parole (Le 1,20)

Credere vuol dire prima di tutto accettare come verità ciò che la nostra mente non comprende fino in fondo. Bisogna accettare ciò che Dio ci rivela su se stesso, su noi stessi e sulla realtà che ci circonda, anche quella invisibile, ineffabile, inimmaginabile. Questo atto di accettazione della verità rivelata allarga l'orizzonte della nostra conoscenza e ci permette di giungere al mistero in cui è immersa la nostra esistenza.

Un consenso a tale limitazione della ragione non si concede facilmente. Ed è proprio qui che la fede si manifesta nella sua seconda dimensione: quella di affidarsi ad una persona — non ad una persona ordinaria, ma a Cristo.

È importante ciò in cui crediamo, ma ancor più importante è Colui a cui crediamo" (Omelia, 28.5.06).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 4° giorno

O Radix lesse, qui stas in signum populorum, super quem continebunt reges os suum, quem gentes deprecabuntur: veni ad liberandum nos, iam noli tardare.

O Germoglio di lesse, che ti innalzi come segno per i popoli, tacciono davanti a te i re della terra, e le nazioni t'invocano: vieni a liberarci, non tardare.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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Post: 826
Sesso: Femminile
13/12/2014 16:59



NOVENA DI NATALE: 5° GIORNO LA VIVENTE CASA DI DIO

20     dicembre

Liturgia della parola: Is 7,10-14; Sal. 23; Lc. 1,26-38

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Maria ci insegna che per amare secondo Dio occorre vivere in Lui e di Lui: è Dio la prima «casa» dell'uomo e solo chi in Lui dimora arde di un fuoco di divina carità in grado di « incendiare » il mondo" (Messaggio, 2.6.06).

L'annuncio a Maria

Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te ». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine ». Allora Maria disse all'angelo: « Come è possibile? Non conosco uomo ». Le rispose l'angelo: « Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio ». Allora Maria disse: « Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto ». E l'angelo partì da lei.

Con Benedetto XVI meditiamo:

"Ti saluto, o piena di grazia (Lc. 1,28)

La prima parola che vorrei meditare è il saluto dell'Angelo a Maria. Nella traduzione italiana l'Angelo dice: « Ti saluto, Maria ».

Ma la parola greca sottostante, « Kaire », significa di per sé « gioisci », « rallegrati»...

Questa è la prima parola che risuona nel Nuovo Testamento come tale, perché l'annuncio fatto dall'angelo a Zaccaria circa la nascita di Giovanni Battista è parola che risuona ancora sulla soglia tra i due Testamenti. Solo con questo dialogo, che l'angelo Gabriele ha con Maria, comincia realmente il Nuovo Testamento. Possiamo quindi dire che la prima parola del Nuovo Testamento è un invito alla gioia: « Gioisci, rallegrati! » (..)

Forse noi cattolici, che lo sappiamo da sempre, non siamo più sorpresi, non avvertiamo più con vivezza questa gioia liberatrice. Ma se guardiamo al mondo di oggi, dove Dio è assente, dobbiamo constatare che anch’esso è dominato dalle paure, dalle  incertezze:  è bene essere uomo o no? è bene vivere o no? è realmente un bene esistere? o forse è tutto negativo? E vivono in realtà in un  mondo oscuro, hanno bisogno di anestesie per potere vivere. Così la parola: “gioisci, perché Dio è con te, è con noi", è parola che apre realmente un tempo nuovo. Carissimi, con un atto di fede dobbiamo di nuovo accettare e comprendere nella profondità del cuore questa parola liberatrice: “gioisci!”. (Omelia, 18.12.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 5° giorno

O Clavis David, et sceptrum domus Israel, qui aperis, et nemo claudit, claudis, et nemo aperit: veni, et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris et umbra mortis.

O Chiave di Davide, scettro della casa d'Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi, e nessuno può aprire: vieni, libera l'uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell'ombra di morte.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

 

NOVENA DI NATALE: 6° GIORNO IL VIAGGIO DELLA GIOIA

21     dicembre

Liturgia della parola: Ct 2,8-14 opp. Sof.3,14-18a; Sai 32; Lc. 1,39-45

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Maria, la Madre di Cristo e della Chiesa ci insegni ad essere «epifania» del Signore, nell'apertura del cuore alla forza della grazia e nell'adesione fedele alla parola del suo Figlio, luce del mondo e traguardo finale della storia" (Omelia, 6.1.06).

La visitazione

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore ».

Con Benedetto XVI meditiamo:

"In quei giorni Maria si mise in viaggio (Lc. 1,39)

Occorre far capire che il piacere non è tutto. Il cristianesimo ci dà gioia, come l'amore dà gioia. Ma l'amore è anche sempre rinuncia a se stesso. Il Signore stesso ci ha dato la formula di che cosa è amore: chi perde se stesso si trova; chi guadagna e conserva se stesso si perde. È sempre un Esodo e quindi anche una sofferenza. La vera gioia è una cosa distinta dal piacere, la gioia cresce, matura sempre nella sofferenza in comunione con la Croce di Cristo. Solo qui nasce la vera gioia della fede" (Discorso, 25.7.05).

"Nel vedere strade e piazze delle città addobbate da luminarie sfolgoranti, ricordiamo che queste luci ci richiamano ad un'altra luce, invisibile agli occhi ma non al cuore. Mentre le ammiriamo, mentre accendiamo le candele nelle Chiese o l'illuminazione del presepe o dell'albero di Natale nelle case, si apra il nostro animo alla vera luce spirituale recata a tutti gli uomini di buona volontà... Il vero mistero del Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa accesa nella fede si spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e facciamone dono agli altri!" (Catechesi, 21.12.05; Omelia, 24.12.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 6° giorno

O Oriens, splendor lucis aetemae et sol iustitiae: veni, et illumina sedentes in tenebris et umbra mortis.

O Astro che sorgi, splendore della luce eterna, sole di giustizia: vieni, illumina chi giace nelle tenebre e nell'ombra di morte.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

 

NOVENA DI NATALE: 7° GIORNO UN DIO GRANDE

22     dicembre

Liturgia della parola: 1Sam 1,24-28; Cant. 1Sam 2; Lc. 1, 46-55

+ Deus, in adiutòrium meum intende. Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Maria ci insegna che non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diventiamo divini; tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro" (Omelia, 15.8.05).

La poesia del Magnificat

Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre ». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Con Benedetto XVI meditiamo:

"L'anima mia magnifica il Signore (Lc. 1,46)

Nel Vangelo abbiamo sentito il Magnificat, questa grande poesia venuta dalle labbra, anzi dal cuore di Maria, ispirata dallo Spirito Santo. In questo canto meraviglioso si riflette tutta l'anima, tutta la personalità di Maria. Possiamo dire che questo suo canto è un ritratto, una vera icona di Maria, nella quale possiamo vederla proprio così com'è. Vorrei rilevare solo due punti di questo grande canto.

Esso comincia con la parola « Magnificat »: la mia anima « magnifica » il Signore, cioè «proclama grande» il Signore. Maria desidera che Dio sia grande nel mondo, sia grande nella sua vita, sia presente tra tutti noi. Non ha paura che Dio possa essere un « concorrente » nella nostra vita, che possa toglierci qualcosa della nostra libertà, del nostro spazio vitale con la sua grandezza. Ella sa che, se Dio è grande, anche noi siamo grandi. La nostra vita non viene oppressa, ma viene elevata e allargata: proprio allora diventa grande nello splendore di Dio.

(..) Gli uomini pensano e credono che, accantonando Dio ed essendo autonomi, seguendo solo le proprie idee, la propria volontà, possano diventare realmente liberi, potendo fare quanto vogliono senza che nessun altro possa dare alcun ordine. Ma dove scompare Dio l'uomo non diventa più grande; perde anzi la dignità divina, perde lo splendore di Dio sul suo volto. Alla fine risulta solo il prodotto di un'evoluzione cieca e, come tale, può essere usato e abusato. E proprio quanto l'esperienza di questa nostra epoca ha confermato. Solo se Dio è grande anche l'uomo è grande " (Omelia, 15.8.05).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 7° giorno

O Rex gentium et desideratus earum, lapisque angularis qui facis utraque unum: veni, et salva hominem quem de limo formasti.

O Re delle genti, atteso da tutte le nazioni, pietra angolare che riunisci i popoli in uno, vieni, e salva l'uomo che hai formato dalla terra.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/12/2014 17:00



NOVENA DI NATALE: 8° GIORNO IN RELAZIONE CON GESÙ

23     dicembre

Liturgia della parola: MI 3,1-4.23-24; Sal. 24; Lc. 1, 57-66

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Nel Calendario Romano (Giovanni Battista) è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte, il 29 agosto, avvenuta attraverso il martirio. Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte..." (Udienza 29.8.2012)

La nascita di Giovanni Battista

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: « No, si chiamerà Giovanni ». Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome ». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: « Che sarà mai questo bambino?», si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.

Con Benedetto XVI meditiamo:

Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio (Lc. 1,57)

"Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così: San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità. (cfr Om. 23: CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.

(...) Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36).

(...) Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie." (Udienza 29.8.2012)

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 8° giorno

O Emmanuel, rex et legifer noster, exspectatio gentium et Salvator earum: veni ad salvandum nos, Domine Deus noster.

O Emmanuele, nostro re e legislatore, speranza e salvezza dei popoli: vieni a salvarci, o Signore nostro Dio.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

 

NOVENA DI NATALE: 9° GIORNO L'ADEMPIMENTO DELLA PAROLA

24     dicembre

Liturgia della parola: Mi 5,l-4a; Sai 79; Eb 10,5-10; Lc. 1, 39-48

+ Deus, in adiutòrium meum intende.Domine, ad adiuvandum me festina.

Dio, volgiti in mio aiuto.  Signore, affrettati a soccorrermi. (Salmo 69,2)

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

Amen.

- Canto delle profezie (vedi sopra)

Papa Benedetto ci dice che:

"Maria è una donna che ama. Noi lo intuiamo nei gesti silenziosi, di cui ci riferiscono i racconti evangelici dell'infanzia. Lo vediamo nella delicatezza, con la quale a Cana percepisce la necessità in cui versano gli sposi e la presenta a Gesù. Lo vediamo nell'umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l'ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù. Allora, quando i discepoli saranno fuggiti, lei resterà sotto la croce. Più tardi, nell'ora di Pentecoste, saranno loro a stringersi intorno a lei nell'attesa dello Spirito Santo (Enc. Deus caritas est, 41).

Il  dialogo tra Maria ed Elisabetta

In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: « Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore ».

Allora Maria disse: «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata ».

Con Benedetto XVI meditiamo:

Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore (Lc. 1,45)

«Magnificat anima mea Dominum», dice in occasione di questa visita — « L'anima mia rende grande il Signore » — ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo — solo allora il mondo diventa buono.

Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient'altro che l'ancella del Signore. Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio. È una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l'angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. Essa è una donna di fede: « Beata sei tu che hai creduto », le dice Elisabetta... Maria è una donna che ama (Enc. Deus caritas est, 41).

( si faccia qualche minuto di silenzio per interiorizzare quanto si è letto)

Antifona al Magnificat del 9° giorno

Cum ortus fuerit sol de caelo, videbitis Regem regum procedentem a Patre, tamquam sponsum de thalamo suo.

Quando sorgerà il sole, vedrete il Re dei re: come lo sposo dalla stanza nuziale egli viene dal Padre.

- si dice il Magnificat (vedi sopra) e alla fine si ripete l'antifona

- alla fine della preghiera, ogni giorno, si dica questa giaculatoria:

- Gesù Bambino, Amor Divino, Verbo incarnato, ricordati di me che mi hai creato;

- Gesù Bambino, Eterna Sapienza, infondi nel mio cuore umiltà, carità ed obbedienza;

- Gesù Bambino, sguardo d'Amore, col tuo Cuor per me lacerato, vieni a nascere nel mio cuore.

Orazione conclusiva

Padre buono e misericordioso, che nello Spirito Santo ci hai sostenuto nel cammino di questo Avvento, donaci di saper vivere in pienezza la grazia del Santo Natale in cui la tua Parola si compie.

Conformandoci al Tuo Figlio umile e obbediente, fa' che anche noi spendiamo la nostra vita in un generoso e fedele servizio che dia gloria a Te e giovi ai nostri fratelli.

Per Cristo nostro Signore.

Amen.

- Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male e ci conduca alla vita eterna. Amen

In nomine Patris +, et Filii +, et Spiritus Sancti +.

***

Vogliamo concludere questa Novena con la bellissima catechesi di Ratzinger sulla presenza del bue e dell'asinello nel Presepe - cliccare qui -


   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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