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IL CRISTIANO E IL MONDO spiegato da Ratzinger in Dogma e Predicazione

Ultimo Aggiornamento: 24/10/2014 15:07
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24/10/2014 15:05



2. L’esperienza della fattibilità del mondo.Dall’esperienza della secolarità del mondo deriva il riconoscimento della sua fattibilità, il quale introduce, dall’inizio del XIX secolo, la seconda fase dell’era moderna, quella dello sviluppo tecnico del mondo. I cambiamenti, che grazie ad essa si sono realizzati nel rapporto globale dell’uomo con la realtà e nell’orientamento generale dell'esistenza, sono stati descritti molte volte e a sufficienza; non occorre ripeterli qui. È evidente infatti che la situazione dell’uomo si è modificata se egli non incontra più da nessuna parte l’in-sé della natura, ma ovunque trova soltanto se stesso, se egli non si imbatte più direttamente nell’ars Dei, ma soltanto nella tecnica dell’uomo, che è diventata per lui lo spazio della sua esistenza. Dando questo per scontato, occupiamoci subito delle conseguenze che sono derivate nell’atteggiamento spirituale di fondo dell’uomo. Esse sono di straordinaria portata.


a) È cambiato il rapporto col lavoro e con la missione terrena. Mentre per l’antichità la piena liberazione da preoccupazioni terrene, per dedicarsi all’«ozio a favore della verità», costituiva il vero e proprio ideale, mentre l’occuparsi di cose terrene appariva, perciò, come un peso ed una deviazione dall’essenziale, l’uomo d’oggi considera il servizio al mondo quasi con una specie di fervore religioso. Egli non tiene in nessuna considerazione la fuga dal mondo ed ancor meno l’ozio; egli reputa come positiva possibilità dell’uomo il cambiare l’aspetto di questo mondo, l’estrarne le sue possibilità, il migliorare la sua abitabilità.


b) È mutato l’atteggiamento verso la cultura e la scienza. La superba frase di Tertulliano: «Che ha in comune Gerusalemme con Atene?» esprime certo una posizione particolarmente estremista, ma è indicativa di una fondamentale disposizione di spirito. Anche il grande maestro dell’Occidente, Agostino, nel suo programma educativo vuol accettare la scienza solo per quel tanto che è utile alla comprensione della Scrittura ed alla edificazione della fede. Durante il medioevo si è usato il termine di curiositas per indicare quel desiderio di sapere, die, alla fin fine, può solo allontanare l’uomo dall’essenziale, che non è scienza ma sapienza. E Bonaventura, nei confronti dei suoi colleghi della facoltà filosofica di Parigi che facevano pressione per l’autonomia della scienza, ha affermato che non servirebbe niente all’uomo imparare a misurare il mondo, se dimenticasse, nel frattempo, come misurare se stesso.


Il libretto dell’Imitazione di Cristo, sul finire del medioevo ha ripetuto ancora una volta il no energico ad una concezione della scienza che prescinde dalla salvezza; e proprio quest’ultima è una delle componenti caratteristiche dell’era moderna e del suo modo di comprendere la esistenza. La difficoltà di orientamento del cristiano nel mondo scientifico contemporaneo ha, come si vede, delle radici molto profonde. Una sguardo alla prima lettera ai Corinti ci dice che sarebbe troppo semplicistico parlare qui di spiegazioni errate, tramandatesi per lungo tempo; la stoltezza della croce e la saggezza del mondo non si possono fondere in una lieta e vivace sintesi. Il problema, da noi incontrato, è esistito perciò, in certa misura, fin dall’inizio; ha trovato un’amplissima estensione soltanto in un mondo «scientifico».


c) È mutato anche l’atteggiamento verso la società umana. Antichità e medioevo cercarono di risolvere il problema della necessità dell’altro prevalentemente nella forma della «caritas», per mezzo dunque del momentaneo alleviamento del bisogno, che tuttavia non cambia nulla della condizione complessiva come tale; essa è vista, in un mondo che va incontro alla distruzione, come irrimediabile. Oggi invece noi troviamo una disposizione quasi fanatica per la giustizia, per la messa in opera di condizioni ed ordinamenti che garantiscano a ciascuno il suo diritto, di modo che egli non abbia più bisogno delle «elemosine». Di conseguenza, la caritas di una volta appare all’osservatore contemporaneo in una luce problematica; egli la vede proprio come un tentativo di dispensare se stessi dalla giustizia, che rappresenterebbe la premessa di una vera caritas.


Frattanto si riesce a scorgere, pian piano, qualcosa di simile ad un’autocritica di questa tendenza in una situazione, nella quale lo sviluppo tecnico tende ad un punto di saturazione tale, che può portare alla sua auto soppressione, se non si lascia di nuovo fecondare e limitare da concezioni di valore, ritenute superate e seppellite da lungo tempo. Si potrebbe facilmente dimostrarlo riferendosi a ciascuno dei tre punti, che abbiamo ricordati come esempio del nuovo atteggiamento. Cos’è che accresce l’abitabilità del mondo? Dopo che il conforto, portato dalla tecnica, ha raggiunto il suo sviluppo estremo, sorge la nostalgia per la semplicità delle origini; il mondo autoprodottosi, dal quale l’uomo è ovunque circondato, diventa la prigione, che fa sgorgare il grido verso la libertà, verso qualcosa di totalmente diverso. Ci si rende conto che il tempo libero non sostituisce l’ozio, che l’ozio vuol essere reimparato, se il lavoro vuol conservare un senso.


L’affermare che l’uomo, il quale costruisce tutto il mondo per sé, distrugge, in fine dei conti, sia esso che il proprio particolare spazio di vita, non è più una profezia di Cassandra, (atta da persone romantiche, contrarie alla tecnica, ma una valutazione di se stessa da parte della tecnica. La scienza svalutativa diventa così l’incubo ed il vero accusato di tutto il progresso; la ideologia è un vantaggio; in essa emerge di nuovo, senza vergogna, la brama della saggezza, della contemplazione e della libertà interiore, che essa dà.
È chiaro, infine, che un amore, che deve sostituire una giustizia, non è un amore; però una giustizia che voglia render superfluo l’amore, è un fantasma di Satana; e lo si vede ancor più chiaramente se si osservano le società che vogliono curare l’uomo soltanto per mezzo del sistema, trasformando così la morale nel fanatismo per il futuro; ma in questo modo distruggono l’uomo dall’intimo.

In tale raffronto di esperienze e conoscenze prende forma il dilemma della cristianità moderna. Per un verso, l’era moderna rinuncia a lei per gli ideali della libertà, dell’umanizzazione del mondo tramite la potenza della ragione umana, della giustizia; si ha qui l’impressione, tuttavia, che le forze motrici per quest’esodo dalla chiesa siano state prelevate dal nucleo del messaggio cristiano; si fa strada l’idea che proprio in questo classico movimento dell’era moderna venga portato a compimento il contenuto più profondo del cristianesimo e che perciò il cristiano debba decidersi, con la massima rapidità, ad entrare in questo movimento, a stimolarlo, per diventare un vero cristiano proprio in virtù della sua assoluta solidarietà con lo spirito dell’era moderna.

D’altro canto rimane l’interrogativo se il cristiano non debba esercitare proprio il compito di correttivo e proteggere così l’uomo da se stesso. La strada della cristianità nell’epoca moderna fa vedere perciò un singolare zig-zag di movimenti: nell’illuminismo si sale con decisione sul treno dell’era moderna; in seguito, dopo gli sconvolgimenti della rivoluzione e delle guerre da essa suscitate, si ritorna, piuttosto spaventati, a ciò che è parte costitutiva della chiesa. Dopo il nuovo rafforzamento di un’accusa d’eresia sempre più decisa, rivolta al ghetto ecclesiastico di quel periodo (che non comprese i grandi impulsi, che proprio allora entrarono in azione sia nel campo sociale che in quello educativo, grazie alle fondazioni di nuovi ordini ed ai nuovi movimenti laicali), si ebbe una nuova, radicale solidarietà con lo spirito contemporaneo ed infine sorse il dilemma delle divisioni contemporanee e di una chiesa travagliata nell’intimo.

La tragica unilateralità degli ultimi dibattiti conciliari era dovuta al predominio del trauma dell’arretratezza e di una enfasi di ricuperata modernità, che rimase cieca nei confronti della contraddittorietà del mondo contemporaneo e, a causa della reazione troppo dottrinaria e scolastica dell’opposizione conciliare, non poté neppure accostarsi alla crudezza della situazione reale. Le conseguenze di quanto non venne deciso nel dibattito conciliare devono perciò venir sopportate ora, e con fatica, nella chiesa post-conciliare; ma forse il soffrire insieme di questa situazione è anche Tunica strada per la quale si possa trovare una forma di conoscenza che ci faccia progredire.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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